Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36606 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36606 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SIRACUSA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/12/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza emessa in data 12 dicembre 2024 la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza emessa in data 07 giugno 2017 dal Tribunale di Siracusa, ha applicato a NOME COGNOME la pena di otto mesi di reclusione per il reato a lui ascritto al capo A), stante il concordato raggiunto ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., con rinuncia ai motivi di appello nel merito.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi, con i quali censura l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza, apparenza o contraddittorietà della motivazione, non avendo la Corte compiuto «un’analisi specifica degli elementi acquisiti nel processo di primo grado, onde indicare esaurientemente tutte le ragioni per le quali si ritiene giustificata la pena finale», e non avendo valutato la concedibilità dell’assoluzione per la particolare tenuità del fatto.
Il ricorso deve essere trattato nelle forme “de plano”, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. – come modificato dalla legge n.103/2017 trattandosi di impugnazione presentata avverso una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. che deve essere dichiarata inammissibile perché proposta in relazione a motivi di appello ai quali il ricorrente ha esplicitamente rinunciato, o addirittura da lui non devoluti, e lamentando un vizio di motivazione manifestamente insussistente. Appare opportuno ricordare che questa Corte ha valutato la legittimità costituzionale della norma applicata, concludendo che «In tema di concordato in appello, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. nella parte che prevede la procedura “de plano” per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi proposti avverso le sentenze pronunciate a norma dell’art. 599-bis, cod. proc. pen., poiché è ragionevole la scelta del legislatore di semplificare le forme definitorie dell’impugnazione proposta avverso una decisione che accoglie la concorde prospettazione delle parti e perché avverso la decisione di inammissibilità è comunque esperibile il ricorso straordinario previsto dall’art. 625-bis, cod. proc. pen.» (Sez. 2, ord. n. 40139 del 21/06/2018, Rv. 273920).
La sentenza di appello ha precisato che l’imputato aveva proposto appello chiedendo l’assoluzione da tutti i reati e la concessione delle attenuanti
generiche, con mitigazione del trattamento sanzionatorio, ma in giudizio ha concordato la quantificazione della pena ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., «rinunciando così agli ulteriori motivi di appello proposti».
Il motivo di ricorso relativo all’omessa applicazione dell’istituto di cui all’art 131-bis cod. pen. è quindi inammissibile, in quanto mai prospettato al giudice di appello ovvero, in ogni caso, oggetto di rinuncia, dal momento che la rinuncia ai motivi di appello sul merito della condanna impedisce al giudice tale valutazione, necessaria per decidere sulla tenuità o meno del fatto, essendo tale giudizio ormai coperto dal giudicato.
E’ infondata l’affermazione secondo cui il giudice di appello, in caso di accoglimento del concordato, è comunque tenuto a dichiarare immediatamente, anche d’ufficio, le cause di non punibilità, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. Secondo il consolidato principio di questa Corte, infatti, «È inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dal nuovo art. 599-bis cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso relativo alla valutazione sulla sussistenza di cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen.)» (Sez. 5, ord. n. 29243 del 04/06/2018, Rv. 273194).
Quale ulteriore applicazione di detto principio, questa Corte ha anche stabilito che «In tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ed, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quell prevista dalla legge» (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, Rv. 27817).
Il ricorso è manifestamente infondato quanto all’affermazione di un vizio di motivazione circa l’entità della pena applicata, perché il giudice ha esplicitamente valutato la congruità della pena concordata dalle parti, ritenendola equa, proporzionata e adeguata al fatto concreto e alla personalità
dell’imputato. Il ricorrente non indica, peraltro, quali elementi il giudice avrebbe dovuto analizzare al fine di valutare la congruità della pena concordata, diversi da quelli ormai coperti dal giudicato stante la rinuncia ai motivi di appello relativi al merito dell’accusa.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 ottobre 2025
Il Consigliere estensore
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