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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8077/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver raggiunto un concordato in appello sulla pena, ha contestato la sentenza per vizi di motivazione. La Corte ha stabilito che l’accordo implica una rinuncia agli altri motivi di impugnazione, creando una preclusione processuale che si estende fino al giudizio di legittimità, impedendo di sollevare questioni precedentemente abbandonate.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando diventa impossibile il ricorso in Cassazione

L’istituto del concordato in appello, introdotto dalla legge n. 103 del 2017, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso penale, ma le sue implicazioni procedurali possono essere decisive. Con l’ordinanza n. 8077 del 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’accordo sulla pena preclude la possibilità di impugnare la sentenza per motivi ai quali si è rinunciato, anche se relativi a presunti vizi di motivazione. Questa pronuncia offre un’importante lezione sulla portata della rinuncia e sui limiti del giudizio di legittimità.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte di Appello di Catania. In secondo grado, le parti avevano raggiunto un accordo sulla pena ai sensi degli artt. 599-bis e 602 del codice di procedura penale. La sentenza di primo grado era stata quindi riformata solo quoad poenam, ovvero limitatamente all’entità della sanzione, sulla base dell’intesa raggiunta.

Nonostante l’accordo, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione, in particolare la mancanza di essa, in violazione dell’obbligo costituzionale sancito dall’art. 111 della Costituzione.

Il concordato in appello e i suoi effetti preclusivi

Il cuore della questione giuridica ruota attorno agli effetti del concordato in appello. Questa procedura permette alle parti di accordarsi sull’accoglimento, totale o parziale, dei motivi di appello, con una conseguente rideterminazione della pena. La condizione essenziale è la rinuncia agli altri eventuali motivi.

La Corte di Cassazione chiarisce che tale rinuncia non è un atto formale privo di conseguenze. Al contrario, essa determina una precisa limitazione del potere di cognizione del giudice d’appello, che potrà pronunciarsi solo sui motivi non rinunciati e su quelli oggetto dell’accordo. Questo meccanismo produce una ‘preclusione processuale’ che impedisce al giudice di esaminare questioni che le parti hanno volontariamente escluso dal dibattito.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato che l’effetto preclusivo generato dalla rinuncia ai motivi e dal concordato in appello non si esaurisce nel giudizio di secondo grado, ma si estende all’intero svolgimento del processo, compreso il giudizio di legittimità.

Di conseguenza, è inammissibile un ricorso per cassazione che sollevi questioni alle quali l’interessato aveva rinunciato per ottenere l’accordo sulla pena. Il potere dispositivo riconosciuto alle parti dall’art. 599-bis c.p.p. ha un impatto definitivo sull’oggetto del giudizio, analogamente a quanto accade con la rinuncia all’impugnazione stessa. La Corte ha anche respinto i dubbi di incostituzionalità del rito, richiamando precedenti pronunce che ne hanno confermato la piena compatibilità con i principi costituzionali.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una logica di coerenza e auto-responsabilità delle parti processuali. Accettando il concordato, l’imputato compie una scelta strategica: ottiene una pena più mite in cambio della certezza della decisione su tutti gli altri punti. Sollevare nuovamente questioni oggetto di rinuncia in sede di Cassazione equivarrebbe a contraddire la propria precedente manifestazione di volontà, minando la stabilità e l’efficienza del sistema giudiziario.

La Corte ha specificato che i motivi esclusi dalla rinuncia erano unicamente quelli relativi al trattamento sanzionatorio, che però era stato definito proprio sulla base dell’indicazione concordata. Non essendo stati rilevati profili di illegalità nella pena pattuita, non vi era alcuno spazio per un sindacato della Cassazione.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale ormai granitico. Chi opta per il concordato in appello deve essere consapevole che tale scelta comporta un ‘costo’ processuale: la rinuncia definitiva a far valere altri motivi di doglianza. Il ricorso per cassazione resta possibile, ma solo per contestare eventuali illegalità della pena concordata o per i motivi che non sono stati oggetto di rinuncia. La decisione rafforza la natura dispositiva di questo istituto, sottolineando come la volontà delle parti possa delimitare in modo vincolante l’ambito del giudizio, con effetti che si propagano fino all’ultimo grado di giurisdizione.

È possibile presentare ricorso in Cassazione per vizi di motivazione dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in appello?
No, l’ordinanza chiarisce che l’accordo sulla pena in appello (concordato) comporta la rinuncia agli altri motivi di impugnazione, inclusi quelli relativi a vizi di motivazione, creando una preclusione processuale che rende inammissibile il ricorso su tali punti.

Cosa succede se un imputato rinuncia a parte dei motivi di appello per ottenere un concordato sulla pena?
La rinuncia limita la cognizione del giudice d’appello ai soli motivi non rinunciati. Questo effetto preclusivo si estende anche al giudizio di legittimità, rendendo inammissibile il ricorso per cassazione su questioni oggetto di rinuncia, anche se potenzialmente rilevabili d’ufficio.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, a meno che non riesca a dimostrare l’assenza di colpa nel determinare la causa di inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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