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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6882/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati che avevano precedentemente accettato un ‘concordato in appello’ sulla pena. La Suprema Corte ha ribadito che la scelta di questo rito speciale implica la rinuncia alla maggior parte dei motivi di impugnazione, inclusi quelli relativi alla qualificazione giuridica del fatto e alla sussistenza delle aggravanti. Il ricorso in Cassazione, in questi casi, è consentito solo per vizi specifici, come l’illegalità della pena, non presenti nella fattispecie.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando l’accordo chiude la porta alla Cassazione

L’istituto del concordato in appello, disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta una scelta strategica per l’imputato che può portare a una riduzione della pena. Tuttavia, questa scelta non è priva di conseguenze significative sulle successive possibilità di impugnazione. Con la recente ordinanza n. 6882 del 2024, la Corte di Cassazione ribadisce i rigidi limiti al ricorso avverso una sentenza che ratifica tale accordo, chiarendo quali doglianze si intendono implicitamente rinunciate.

I Fatti di Causa

Il caso in esame trae origine dalla decisione della Corte di Appello di Napoli, che, in riforma di una sentenza di primo grado, aveva rideterminato la pena per due imputati. Questa nuova determinazione era il frutto di un concordato in appello, un accordo raggiunto tra la difesa e la Procura Generale. Nonostante l’accordo, i due imputati decidevano di presentare distinti ricorsi per Cassazione, contestando vari aspetti della loro condanna, tra cui la sussistenza stessa del reato tentato, la qualificazione giuridica dei fatti e la presenza di specifiche circostanze aggravanti.

I Motivi del Ricorso e il concordato in appello

I ricorrenti sollevavano diverse questioni di legittimità. Un imputato lamentava l’erronea applicazione della legge penale in merito alla configurabilità del delitto tentato, all’elemento oggettivo della minaccia nel reato di estorsione e alla sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso. Contestava inoltre la nullità della sentenza per un presunto difetto di contestazione di un’altra aggravante. Il secondo imputato, invece, si concentrava sull’erronea applicazione di una diversa aggravante.

Il punto cruciale, tuttavia, non risiedeva nel merito di tali doglianze, ma nella loro compatibilità con l’accordo precedentemente raggiunto. Scegliendo la via del concordato in appello, gli imputati avevano accettato una pena concordata, rinunciando ai motivi di appello inizialmente proposti.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, trattandoli congiuntamente data la similarità delle questioni procedurali. Il ragionamento della Corte si fonda su un principio consolidato: l’accordo sulla pena in appello limita drasticamente le successive vie di impugnazione.

La Cassazione ha chiarito che, una volta che l’imputato rinuncia ai motivi di appello per accedere al concordato, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia. Di conseguenza, il successivo ricorso per Cassazione è ammissibile solo per motivi molto specifici, quali:

1. Vizi relativi alla formazione della volontà di accedere al concordato.
2. Mancanza di consenso del Procuratore Generale.
3. Contenuto della sentenza difforme dall’accordo.

Sono invece inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, come la qualificazione giuridica del fatto, la mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p., l’insussistenza di circostanze aggravanti e persino le questioni rilevabili d’ufficio, con la sola eccezione dell’irrogazione di una pena palesemente illegale.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte sono nette. L’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, combinato con la rinuncia ai motivi d’appello che è presupposto del concordato, preclude la possibilità di ridiscutere in sede di legittimità quegli stessi punti. I motivi sollevati dai ricorrenti, attinenti tutti al merito della condanna (sussistenza del reato, aggravanti, qualificazione giuridica), rientravano pienamente nell’alveo delle questioni a cui avevano implicitamente rinunciato accettando l’accordo sulla pena. Non essendo stata dedotta né una pena illegale, né vizi del consenso, né altre cause di nullità assoluta, i ricorsi non potevano superare il vaglio di ammissibilità.

Le Conclusioni

La pronuncia in commento consolida l’orientamento giurisprudenziale sul concordato in appello. Questa decisione serve come monito per la difesa: la scelta di concordare la pena è un atto processuale ponderato che comporta un’importante controprestazione, ovvero la rinuncia a far valere gran parte delle proprie ragioni nel merito. L’accesso a questo rito premiale chiude la porta a successive contestazioni sulla sostanza dell’accusa, limitando il controllo della Cassazione a profili meramente procedurali o a casi di palese illegalità sanzionatoria. Pertanto, la valutazione sull’opportunità di un accordo deve tenere attentamente conto della quasi definitività che la sentenza andrà ad assumere.

È sempre possibile ricorrere in Cassazione dopo un concordato in appello?
No. Il ricorso è ammissibile solo per motivi molto specifici, come vizi nella formazione della volontà di accedere all’accordo, un dissenso del Procuratore Generale, una pronuncia del giudice difforme dall’accordo, l’applicazione di una pena illegale, o la presenza di cause di nullità assoluta.

Quali motivi di ricorso si considerano rinunciati con il concordato in appello?
Si considerano rinunciate tutte le doglianze relative ai motivi d’appello oggetto della rinuncia, come quelle sulla qualificazione giuridica del fatto, sulla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento, sull’insussistenza di circostanze aggravanti e sulla valutazione delle prove.

Cosa succede se un ricorso viene dichiarato inammissibile in questi casi?
Come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver promosso un’impugnazione non consentita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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