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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4331/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver raggiunto un concordato in appello sulla pena, ha tentato di impugnare la stessa in sede di legittimità. La Corte ha ribadito che l’accordo ex art. 599 bis c.p.p. comporta la rinuncia a far valere ogni diversa doglianza, rendendo improponibili successivi ricorsi sui punti concordati.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: la parola data preclude il ricorso in Cassazione

Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599 bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente alle parti di accordarsi sull’accoglimento di alcuni motivi di appello, con rinuncia ai restanti. Ma cosa succede se, dopo aver raggiunto tale accordo, l’imputato decide di ricorrere ugualmente in Cassazione contestando proprio i punti oggetto dell’intesa? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4331 del 2024, offre una risposta netta: il ricorso è inammissibile. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine da una sentenza della Corte d’Appello di Torino che, in parziale riforma di una decisione di primo grado, aveva ricalcolato la pena per un imputato accusato di una serie di furti. In sede di appello, le parti avevano raggiunto un accordo: a fronte della rinuncia dell’imputato ai motivi di appello non concordati, si procedeva a riconoscere la continuazione tra i reati oggetto del processo e quelli di una precedente sentenza irrevocabile. La Corte d’Appello, preso atto dell’accordo e della richiesta concorde delle parti, aveva rideterminato la pena complessiva in 4 anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione, oltre a una multa.

Nonostante l’accordo, l’imputato, tramite i suoi difensori, proponeva due distinti ricorsi per Cassazione. Entrambi i ricorsi lamentavano un vizio di motivazione, sostenendo che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente spiegato i criteri utilizzati per determinare gli aumenti di pena per i singoli reati posti in continuazione.

La questione del concordato in appello e i suoi limiti

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione chiedeva che i ricorsi fossero dichiarati inammissibili. La questione giuridica centrale ruota attorno alla natura e agli effetti del concordato in appello. Questo istituto processuale si fonda su un accordo che determina la ratifica da parte del giudice dei punti concordati e, contestualmente, comporta la rinuncia a far valere, anche in un successivo giudizio di legittimità, ogni altra doglianza.

La difesa dell’imputato, invece, tentava di scardinare l’accordo raggiunto, contestando nel merito proprio l’aspetto centrale dell’intesa: la quantificazione della pena. I ricorsi miravano a ottenere un nuovo esame sulla congruità degli aumenti di pena, un punto che si presumeva definito con il patto processuale siglato in appello.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, accogliendo la richiesta del Procuratore Generale. I giudici hanno chiarito che l’adesione al concordato in appello determina un effetto preclusivo. Una volta che l’imputato rinuncia a determinati motivi di impugnazione, la cognizione del giudice è limitata ai soli motivi non rinunciati e oggetto dell’accordo.

Citando un consolidato orientamento giurisprudenziale, formatosi già sotto la vigenza del precedente art. 599 comma 4 c.p.p., la Corte ha affermato che tale rinuncia impedisce di sollevare qualsiasi diversa doglianza nel successivo giudizio di legittimità. Questo vale anche per questioni che, in altre circostanze, potrebbero essere rilevate d’ufficio.

Di conseguenza, i motivi di ricorso presentati dall’imputato, riguardanti la misura della pena concordata, sono stati ritenuti inammissibili perché attinenti a profili che erano stati oggetto di rinuncia esplicita in appello. La Corte ha inoltre specificato che non era ravvisabile alcuna ipotesi di ‘illegalità’ della pena concordata, unico caso in cui sarebbe stato possibile un intervento correttivo in sede di legittimità.

Le conclusioni

La sentenza in commento rafforza la stabilità e la serietà degli accordi processuali come il concordato in appello. La decisione chiarisce che la scelta di accedere a tale istituto è una scelta strategica che comporta conseguenze definitive. L’imputato che accetta di concordare la pena rinunciando ad altri motivi non può, in un secondo momento, ‘ripensarci’ e tentare di rimettere in discussione i termini dell’accordo davanti alla Corte di Cassazione. Questa pronuncia serve da monito: il concordato è un patto che, una volta siglato e ratificato dal giudice, chiude la porta a ulteriori contestazioni sui punti che ne hanno costituito l’oggetto, garantendo così la certezza e la celerità del procedimento.

È possibile ricorrere in Cassazione dopo aver raggiunto un concordato in appello?
No, non è possibile ricorrere in Cassazione per contestare i punti che sono stati oggetto dell’accordo. La sentenza stabilisce che l’accordo sui motivi di appello comporta la rinuncia a sollevare ogni diversa doglianza nel successivo giudizio di legittimità.

Perché il ricorso sulla motivazione della pena è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché verteva sulla determinazione degli aumenti di pena in continuazione, che era proprio l’oggetto dell’accordo raggiunto in appello. Avendo l’imputato accettato la pena concordata e rinunciato agli altri motivi, ha perso il diritto di contestare tale quantificazione in una sede successiva.

In quali casi si potrebbe contestare una pena concordata in appello?
La Corte di Cassazione potrebbe intervenire solo se ravvisasse un’ipotesi di ‘illegalità’ della pena, cioè se la pena concordata fosse contraria a norme imperative di legge (ad esempio, se superasse i massimi edittali). Nel caso di specie, non è stata riscontrata alcuna illegalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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