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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

Un soggetto, condannato in primo grado, ottiene una riduzione di pena tramite un concordato in appello, rinunciando a quasi tutti i motivi di impugnazione. Successivamente, presenta ricorso in Cassazione. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, specificando che dopo un concordato in appello, l’impugnazione è consentita solo per vizi relativi alla formazione dell’accordo e non per i motivi oggetto di rinuncia.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il concordato in appello, introdotto nell’ordinamento processuale penale dall’art. 599-bis c.p.p., rappresenta uno strumento con cui l’imputato e la Procura Generale possono accordarsi su una parziale riforma della sentenza di primo grado. L’accordo, che si basa sulla rinuncia dell’imputato a determinati motivi di appello, mira a una definizione più rapida del processo in cambio di una pena più mite. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i rigidi limiti entro cui è possibile impugnare la sentenza che recepisce tale accordo, sottolineando le conseguenze della rinuncia ai motivi di impugnazione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una sentenza del Tribunale di Roma che aveva condannato un imputato a sei anni di reclusione e 4.000 euro di multa per i reati di rapina aggravata, lesioni personali aggravate e porto ingiustificato di arma impropria.

In sede di appello, la difesa dell’imputato e il Procuratore Generale raggiungevano un accordo processuale. In base a questo concordato in appello, l’imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione tranne quelli relativi al trattamento sanzionatorio. La Corte di Appello, prendendo atto dell’accordo e ritenendo congrua la nuova pena, rideterminava la condanna in 5 anni, 7 mesi e 10 giorni di reclusione e 3.000 euro di multa. Nonostante l’accordo, l’imputato presentava ricorso per Cassazione contro questa decisione.

La Decisione della Corte sul concordato in appello

La Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una interpretazione rigorosa della normativa che disciplina il concordato in appello. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: la sentenza emessa a seguito di un accordo tra le parti in appello può essere impugnata in Cassazione solo per motivi estremamente specifici e circoscritti. Questi non includono la riconsiderazione dei motivi ai quali l’imputato ha volontariamente rinunciato per ottenere il beneficio della riduzione di pena.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha spiegato che il ricorso per cassazione contro una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. è consentito esclusivamente per contestare:
1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Difetti nel consenso prestato dal pubblico ministero.
3. Un contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto.

Qualsiasi altro motivo, specialmente se relativo a questioni a cui si è rinunciato (come la valutazione delle prove o l’esistenza di cause di assoluzione ex art. 129 c.p.p.), è precluso.
La rinuncia ai motivi di appello, infatti, ha un effetto preclusivo che limita la cognizione del giudice di secondo grado ai soli aspetti non coperti dalla rinuncia stessa. Questo principio, noto come effetto devolutivo dell’impugnazione, si estende anche al successivo giudizio di legittimità. Di conseguenza, una volta che l’imputato ha rinunciato a contestare la propria colpevolezza in cambio di uno sconto di pena, non può pretendere che la Cassazione rivaluti quegli stessi punti. Il giudice d’appello, inoltre, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato, poiché la sua competenza è vincolata ai motivi residui.

Conclusioni

Questa ordinanza conferma che la scelta di aderire a un concordato in appello è una decisione strategica con conseguenze definitive sul piano processuale. Se da un lato offre il vantaggio di una pena certa e ridotta, dall’altro comporta la perdita della possibilità di contestare nel merito la sentenza di condanna nei gradi di giudizio successivi. L’imputato e il suo difensore devono ponderare attentamente questo scambio, poiché la rinuncia ai motivi di impugnazione è un atto che chiude quasi ogni porta a un riesame della vicenda, salvo i limitatissimi casi di vizi genetici dell’accordo stesso. La pronuncia rafforza l’idea del concordato come strumento deflattivo basato sulla disponibilità del diritto a impugnare, rendendo la scelta dell’imputato un punto di non ritorno.

È possibile ricorrere in Cassazione dopo aver raggiunto un concordato in appello?
Sì, ma solo per motivi molto specifici: vizi nella formazione della volontà di accedere all’accordo, difetti nel consenso del pubblico ministero, o se la sentenza del giudice è difforme da quanto concordato. Non è possibile impugnare per i motivi ai quali si è rinunciato.

Se si fa un concordato in appello, il giudice deve comunque verificare la possibilità di un’assoluzione?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che, a causa dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della rinuncia ai motivi di appello, la cognizione del giudice è strettamente limitata ai soli punti non oggetto di rinuncia. Questo esclude una valutazione d’ufficio delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p.

Cosa succede se il ricorso contro una sentenza emessa dopo un concordato in appello viene dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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