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Concordato in appello: inammissibile il ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1555/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’. La Corte ha stabilito che, aderendo al patteggiamento in secondo grado, l’imputato rinuncia ai motivi di appello, limitando la cognizione del giudice e rendendo non necessario motivare la mancata assoluzione ex art. 129 c.p.p.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente alle parti di accordarsi sulla pena in secondo grado, rinunciando a specifici motivi di impugnazione. Ma cosa accade se, dopo aver raggiunto tale accordo, si decide comunque di ricorrere in Cassazione? Una recente ordinanza della Suprema Corte chiarisce i limiti di tale impugnazione, ribadendo un principio fondamentale: l’accordo preclude la possibilità di sollevare determinate questioni.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una decisione della Corte d’Appello di Napoli. In quella sede, accogliendo una richiesta congiunta del Procuratore Generale e della difesa, la Corte aveva riformato una sentenza di primo grado, rideterminando la pena inflitta all’imputato proprio attraverso l’istituto del concordato in appello. Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. In particolare, sosteneva che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente spiegato perché non avesse proceduto a un proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 c.p.p., che impone al giudice di assolvere l’imputato in presenza di specifiche cause di non punibilità, anche quando vi è un accordo sulla pena.

La Decisione sul concordato in appello e il Ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno seguito un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, secondo cui la scelta di accedere al concordato in appello comporta una rinuncia implicita ai motivi di impugnazione non inclusi nell’accordo. Di conseguenza, l’ambito di valutazione del giudice d’appello si restringe notevolmente.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha fondato la sua decisione sul cosiddetto “effetto devolutivo” dell’impugnazione. Quando l’imputato accetta di concordare la pena in appello, rinuncia ai motivi di gravame che aveva inizialmente proposto. Questo atto di rinuncia limita la cognizione del giudice di secondo grado solo ai punti che non sono stati oggetto di rinuncia. Pertanto, il giudice che accoglie la richiesta di pena concordata non è tenuto a motivare il mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p. (ad esempio, perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso). L’obbligo di motivazione, infatti, si rapporta esclusivamente all’effetto devolutivo residuo dell’impugnazione. Una volta che l’imputato ha rinunciato ai motivi di appello, il perimetro decisionale del giudice si riduce alla verifica della correttezza dell’accordo e alla rideterminazione della pena. La Cassazione ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, ritenendo che la proposizione del ricorso fosse viziata da colpa.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza la natura dispositiva e negoziale del concordato in appello. La scelta di questo rito alternativo è strategica e produce effetti processuali definitivi. Chi vi aderisce deve essere consapevole che sta implicitamente abbandonando altre linee difensive, inclusa la possibilità di ottenere un’assoluzione nel merito in quella sede. La pronuncia della Cassazione serve da monito: un ricorso basato su motivi a cui si è rinunciato attraverso l’accordo sarà quasi certamente dichiarato inammissibile, con conseguente condanna alle spese. Questa decisione consolida la funzione dell’istituto come strumento per una più rapida definizione dei processi, precludendo impugnazioni dilatorie o fondate su questioni ormai superate dall’accordo tra le parti.

Quando si accetta un concordato in appello, il giudice deve comunque motivare la mancata assoluzione dell’imputato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il giudice di secondo grado che accoglie una richiesta di pena concordata non è tenuto a motivare il mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., poiché la cognizione del giudice è limitata dai motivi non oggetto di rinuncia.

Cosa comporta la rinuncia ai motivi di appello per accedere al concordato?
La rinuncia ai motivi di appello per accedere al concordato limita l’effetto devolutivo dell’impugnazione. Ciò significa che il potere decisionale della Corte d’Appello viene circoscritto alla sola rideterminazione della pena secondo l’accordo, escludendo l’esame dei motivi a cui l’imputato ha rinunciato.

È possibile ricorrere in Cassazione per vizio di motivazione dopo un concordato in appello?
È possibile solo per motivi specifici, ma non per lamentare la mancata motivazione su punti che sono stati oggetto di rinuncia. Come chiarito dalla Corte, un ricorso che deduca un vizio di motivazione sulla mancata assoluzione ex art. 129 c.p.p. è inammissibile, perché tale questione esula dalla cognizione del giudice d’appello una volta raggiunto l’accordo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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