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Concordato in appello: il PM può revocare il consenso?

Un imputato, condannato per reati legati agli stupefacenti, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo l’illegittimità della revoca del consenso al concordato in appello da parte del Procuratore Generale. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo un principio fondamentale: a differenza del patteggiamento in primo grado, nel concordato in appello il consenso del Pubblico Ministero può essere revocato fino a prima della decisione del giudice, poiché la legge non ne prevede l’irrevocabilità in questa fase processuale avanzata.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Il Consenso del Pubblico Ministero è Revocabile? La Cassazione Fa Chiarezza

Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta un importante strumento per definire il processo in secondo grado. Ma cosa succede se il Procuratore Generale, dopo aver dato il suo assenso a un accordo, cambia idea? La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, offre una risposta netta, delineando i confini e la natura di questo istituto.

Il Caso in Esame: Un Accordo Messo in Discussione

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un uomo per un reato previsto dalla legge sugli stupefacenti (art. 73, D.P.R. 309/1990). In sede di appello, la difesa aveva avanzato una proposta di concordato in appello, ottenendo inizialmente il consenso del Procuratore Generale. Tuttavia, durante l’udienza decisiva, lo stesso Procuratore ha revocato il proprio consenso, portando la Corte di Appello a procedere con il giudizio ordinario.

L’imputato ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge. Secondo la difesa, una volta perfezionato l’accordo tra le parti, il consenso del Pubblico Ministero non potrebbe più essere ritirato, rendendo la sua revoca illegittima.

La Distinzione Cruciale: Patteggiamento vs. Concordato in Appello

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato. Il fulcro della decisione risiede nella netta distinzione tra il “patteggiamento” che si svolge in primo grado (art. 444 c.p.p.) e il concordato in appello. Sebbene entrambi gli istituti si basino su un accordo tra accusa e difesa, la loro natura e il contesto processuale in cui intervengono sono profondamente diversi.

Il patteggiamento in primo grado si colloca in una fase in cui non vi è ancora stata una piena valutazione del merito e delle prove, e mira a evitare il dibattimento. Il concordato in appello, invece, interviene dopo che un giudice ha già esaminato a fondo le prove e pronunciato una sentenza di condanna. La sua funzione è prevalentemente “deflattiva”, ovvero volta a snellire il carico giudiziario del secondo grado, basandosi su un accordo che verte sulla rinuncia ai motivi di appello in cambio di una determinazione della pena.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha affermato, in linea con un orientamento ormai consolidato, che il consenso espresso dal Procuratore Generale per il concordato in appello può essere legittimamente revocato prima che il giudice si sia pronunciato. I giudici hanno evidenziato diversi punti chiave a sostegno di questa tesi:

1. Mancanza di una norma sull’irrevocabilità: A differenza del patteggiamento in primo grado, la disciplina del concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.) non contiene alcuna disposizione che sancisca l’irrevocabilità del consenso una volta prestato. In assenza di una previsione normativa espressa, vale il principio generale tempus regit actum, secondo cui gli atti processuali sono disciplinati dalla legge in vigore al momento in cui vengono compiuti.
2. Diversa natura dei due istituti: La Corte Costituzionale (sent. n. 448/1995) aveva già sottolineato che i due “patteggiamenti” non sono omogenei. Quello in appello è un giudizio che si innesta su una valutazione di merito già avvenuta, dove il giudice valuta la congruità della pena sulla base degli stessi elementi su cui fonderà la sua decisione finale. Non è un’anticipazione del giudizio, ma una sua possibile definizione concordata.
3. Assenza di rimedi processuali: Nel concordato in appello, il rigetto della proposta o il diniego del consenso non sono soggetti a specifiche forme di controllo processuale. Prevedere l’irrevocabilità del consenso complicherebbe la procedura anziché semplificarla, andando contro la sua stessa ratio.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica: il consenso del Procuratore Generale al concordato in appello non è un vincolo immutabile. Esso rimane revocabile fino al momento della decisione della Corte di Appello. Questa interpretazione, se da un lato garantisce flessibilità all’ufficio dell’accusa, dall’altro introduce un elemento di incertezza per la difesa, che non può considerare l’accordo come definitivo fino alla sua ratifica da parte del collegio giudicante. Pertanto, l’accordo si cristallizza solo con la pronuncia del giudice, e qualsiasi ripensamento del Pubblico Ministero prima di quel momento è da considerarsi legittimo e non censurabile in sede di legittimità.

È possibile per il Procuratore Generale revocare il proprio consenso a un concordato in appello dopo averlo espresso?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che, a differenza del patteggiamento in primo grado, nel concordato in appello il consenso del Procuratore Generale può essere revocato in qualsiasi momento prima della decisione del giudice, poiché la legge non ne prevede espressamente l’irrevocabilità.

Qual è la principale differenza tra il patteggiamento in primo grado e il concordato in appello secondo la sentenza?
La differenza fondamentale risiede nel momento processuale e nella funzione. Il patteggiamento in primo grado avviene prima di una piena valutazione del merito e serve a evitare il dibattimento. Il concordato in appello, invece, interviene dopo che c’è già stata una sentenza di primo grado basata su una completa valutazione delle prove, e ha una funzione principalmente deflattiva per snellire il processo di secondo grado.

La revoca del consenso da parte del Pubblico Ministero nel concordato in appello può essere contestata con un ricorso per cassazione?
No. La sentenza chiarisce che la revoca del consenso da parte del Procuratore Generale non costituisce un vizio processuale censurabile con il ricorso per cassazione, in quanto rientra nella discrezionalità dell’accusa fino alla decisione del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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