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Concordato in appello: i limiti del ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11805/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza di concordato in appello. L’imputato lamentava una mancata riduzione di pena, ma la Corte ha ribadito che, una volta accettato l’accordo sulla pena, non è possibile contestarne l’entità, salvo vizi del consenso o illegalità della sanzione, confermando la natura vincolante dell’accordo tra le parti.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando l’Accordo è Definitivo e il Ricorso Impossibile

Il concordato in appello, noto anche come ‘patteggiamento in appello’, rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento processuale penale per definire il giudizio di secondo grado in modo più celere. Tuttavia, la sua natura di accordo tra le parti impone limiti stringenti alla possibilità di impugnazione successiva. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 11805/2024) ha ribadito con fermezza questi confini, chiarendo che una volta siglato il patto, non c’è spazio per ripensamenti sull’entità della pena.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da una sentenza della Corte di Appello di Napoli, che aveva accolto una proposta di concordato in appello formulata dalle parti. In base a tale accordo, la pena per l’imputato veniva rideterminata e ridotta.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per Cassazione. Il motivo della doglianza era uno solo: la mancata ulteriore diminuzione della pena a seguito dell’esclusione di una specifica circostanza aggravante (prevista dall’art. 61, n. 11-quater c.p.). In pratica, secondo la difesa, la pena concordata non teneva sufficientemente conto di questo elemento favorevole all’imputato.

La Decisione sul concordato in appello della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si allinea a un orientamento giurisprudenziale consolidato, che mira a preservare la stabilità e la definitività degli accordi processuali. Accettare il concordato in appello significa, per l’imputato, rinunciare a far valere altri motivi che avrebbero potuto portare a un esito diverso. La Cassazione ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, ravvisando una colpa nella proposizione di un ricorso palesemente infondato.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato in modo cristallino le ragioni della sua decisione. Il ricorso in cassazione avverso una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. è consentito solo per un novero ristretto di motivi. È ammissibile, ad esempio, se si lamenta un vizio nella formazione della volontà di accedere all’accordo (come errore, violenza o dolo) o un dissenso del pubblico ministero ingiustificato. Al contrario, sono inammissibili le doglianze relative a motivi a cui si è rinunciato con l’accordo stesso.

In particolare, la giurisprudenza costante esclude la possibilità di contestare vizi relativi alla determinazione della pena, a meno che questa non si traduca in una sanzione ‘illegale’, ovvero non prevista dalla legge o al di fuori dei limiti edittali. Nel caso di specie, l’accordo tra le parti contemplava già, implicitamente, l’esclusione della circostanza aggravante nel calcolo della pena finale di due anni di reclusione. L’imputato, accettando quella pena, ha acconsentito a quella specifica quantificazione, rinunciando a qualsiasi ulteriore contestazione sul punto. Non può, quindi, dolersene in un secondo momento, poiché l’accordo stesso rappresenta la cristallizzazione della volontà delle parti sull’esito del processo.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio cardine della procedura penale: il valore del patto processuale. Il concordato in appello è un istituto che si fonda sull’autonomia e sulla volontà delle parti. Chi vi aderisce compie una scelta strategica, barattando la certezza di una pena ridotta con la rinuncia a contestare altri aspetti della sentenza. La decisione della Cassazione serve da monito: l’accordo, una volta raggiunto e ratificato dal giudice, non può essere rimesso in discussione con argomentazioni che avrebbero dovuto essere valutate prima di prestare il proprio consenso. La stabilità dei rapporti giuridici e l’efficienza del sistema giudiziario prevalgono sui tardivi ripensamenti.

È possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di concordato in appello?
Sì, ma solo per motivi molto specifici, come quelli relativi a un vizio nella formazione della volontà di aderire all’accordo (es. errore, costrizione) o all’illegalità della pena concordata (es. se non prevista dalla legge). Non è possibile lamentarsi dell’entità della pena se questa rientra nei limiti di legge.

Se durante le trattative per il concordato viene esclusa un’aggravante, la pena deve diminuire ulteriormente rispetto a quella concordata?
No. Secondo la Corte, l’accordo sulla pena finale già tiene conto di tutti gli elementi discussi tra le parti, inclusa l’esclusione di eventuali aggravanti. La pena finale concordata è il risultato complessivo della negoziazione e, una volta accettata, non può essere rinegoziata sostenendo che un singolo elemento non sia stato valutato a sufficienza.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso contro una sentenza di concordato?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile per motivi non consentiti, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, se la Corte ravvisa profili di colpa nella proposizione del ricorso (cioè se era palesemente infondato), può condannare il ricorrente anche al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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