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Concordato in appello: i limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena tramite concordato in appello per il reato di ricettazione, si doleva della sua eccessività. La Suprema Corte ribadisce che l’accordo implica la rinuncia a contestare la congruità della sanzione, limitando il ricorso a vizi specifici come l’illegalità della pena o difetti di volontà.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: non si può contestare la pena pattuita

Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per definire il processo nel secondo grado di giudizio attraverso un accordo sulla pena tra imputato e Procura. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce in modo netto i limiti di questo istituto, stabilendo che, una volta raggiunto l’accordo, non è più possibile impugnare la sentenza lamentandosi semplicemente dell’eccessività della pena. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da una condanna per il reato di ricettazione emessa dal Tribunale di Messina. In sede di appello, la difesa dell’imputato e la Procura Generale hanno raggiunto un accordo sulla pena da applicare, secondo la procedura del concordato in appello. La Corte d’Appello di Messina, accogliendo la richiesta concorde delle parti, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, applicando la pena pattuita.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, lamentandosi proprio della determinazione della pena, ritenuta eccessiva.

Limiti al ricorso dopo il concordato in appello

La questione centrale affrontata dalla Suprema Corte riguarda l’ammissibilità di un ricorso che contesta la misura di una pena che l’imputato stesso ha contribuito a determinare e ha accettato. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, aderendo a un orientamento giurisprudenziale consolidato.

Secondo gli Ermellini, il ricorso in Cassazione contro una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. è consentito solo per motivi specifici e circoscritti. In particolare, è possibile impugnare la decisione se si lamentano:

1. Vizi nella formazione della volontà di accedere all’accordo.
2. Mancanza di un valido consenso del pubblico ministero.
3. Un contenuto della sentenza difforme da quanto concordato tra le parti.
4. L’illegalità della sanzione inflitta (ad esempio, perché non prevista dalla legge o fuori dai limiti edittali).

Al di fuori di queste ipotesi, l’accordo sulla pena implica una rinuncia a far valere altre doglianze, incluse quelle relative alla mancata valutazione di cause di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.) o, come nel caso di specie, alla congruità e proporzionalità della pena stessa.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha motivato la propria decisione di inammissibilità sottolineando che l’imputato, nel caso specifico, si era limitato a dolersi in modo generico dell’eccessività di una pena che lui stesso aveva concordato e richiesto alla Corte di merito. Accettare l’accordo sulla pena significa, per l’imputato, rinunciare a contestarne l’equità in una sede successiva.

Il patto processuale cristallizzato nel concordato in appello preclude quindi la possibilità di un ‘ripensamento’ sulla convenienza della pena pattuita. Ammettere un ricorso di questo tipo svuoterebbe di significato l’istituto stesso, che mira a una definizione più rapida del processo in cambio di una certezza sulla sanzione. La lamentela dell’imputato è stata pertanto considerata un ‘motivo non consentito’ dalla legge, che conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un principio fondamentale: la scelta di aderire a un concordato in appello è una scelta processuale seria e con conseguenze definitive. L’imputato che accetta di concordare la pena rinuncia implicitamente al diritto di contestarne la misura, salvo che non si verifichino i vizi tassativamente previsti dalla giurisprudenza. La sentenza si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle Ammende, una sanzione prevista per chi promuove ricorsi inammissibili, gravando inutilmente il sistema giudiziario. Questa pronuncia serve da monito sull’importanza di una valutazione attenta e consapevole prima di accedere a riti premiali come il concordato in appello.

È possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di “concordato in appello”?
Sì, ma solo per motivi specifici. Il ricorso è ammesso se si contestano vizi nella formazione della volontà di patteggiare, il consenso del pubblico ministero, una pena illegale o una decisione del giudice diversa dall’accordo raggiunto. Non è ammesso per contestare la congruità della pena.

Se accetto un concordato in appello, posso poi lamentarmi che la pena è troppo severa?
No. Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’accordo sulla pena implica la rinuncia a contestarne l’eccessività. Lagnarsi della severità di una pena precedentemente concordata è considerato un motivo di ricorso non consentito dalla legge.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso di questo tipo?
Quando il ricorso contro una sentenza di concordato in appello viene dichiarato inammissibile, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende, commisurata alla sua colpa nell’aver avviato un’impugnazione senza fondamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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