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Concordato in appello: i limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1551/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata avverso una sentenza di “concordato in appello”. La Corte ha ribadito che, dopo l’accordo tra le parti sulla pena, il ricorso per cassazione è consentito solo per vizi specifici legati alla formazione della volontà, al consenso del PM o a una pronuncia difforme dall’accordo. Non è possibile, invece, sollevare questioni di merito rinunciate con l’accordo, come la mancata applicazione dell’obbligo di proscioglimento immediato (art. 129 c.p.p.). Il ricorso è stato quindi respinto con condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando il ricorso in Cassazione è un vicolo cieco

Il concordato in appello, noto anche come ‘patteggiamento in appello’, è uno strumento processuale che permette di definire il giudizio di secondo grado in modo più rapido. Tuttavia, la scelta di percorrere questa strada comporta delle conseguenze precise, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di impugnare la decisione successiva. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione (n. 1551/2025) chiarisce in modo inequivocabile i limiti del ricorso contro una sentenza emessa a seguito di tale accordo.

I fatti del caso

Una donna, condannata in primo grado, decideva di fare appello. In sede di giudizio di secondo grado, le parti raggiungevano un accordo ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. In pratica, la difesa e l’accusa concordavano sull’accoglimento di alcuni motivi di appello, rinunciando agli altri, e stabilivano insieme la nuova pena da applicare. La Corte d’Appello, preso atto dell’accordo, emetteva una sentenza conforme.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputata proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 129 del codice di procedura penale, ovvero la norma che impone al giudice di dichiarare d’ufficio determinate cause di non punibilità, anche in presenza di un’impugnazione inammissibile. Il ricorso, tuttavia, non sollevava questioni sull’illegalità della pena concordata.

La decisione della Corte di Cassazione e i limiti del concordato in appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa della normativa introdotta con la riforma del 2017. L’articolo 599-bis c.p.p. è stato creato per deflazionare il carico dei processi d’appello, offrendo alle parti un percorso consensuale. Chi sceglie questa via, però, accetta anche una limitazione delle successive facoltà di impugnazione.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che la sentenza emessa a seguito di concordato in appello può essere impugnata in Cassazione solo per motivi molto specifici. Questi includono:
1. Vizi della volontà: Se il consenso dell’imputato all’accordo è stato viziato (ad esempio, per errore o violenza).
2. Mancato consenso del Procuratore Generale: Se l’accordo non ha ricevuto il necessario assenso dell’accusa.
3. Contenuto difforme: Se la sentenza del giudice si discosta da quanto concordato tra le parti.

Al di fuori di queste ipotesi, il ricorso è precluso. In particolare, la Cassazione ha sottolineato che le doglianze relative a motivi a cui si è rinunciato con l’accordo, o alla mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento secondo l’art. 129 c.p.p., sono inammissibili. Accettando il concordato, l’imputato rinuncia implicitamente a far valere tali questioni.

Nel caso specifico, l’imputata non ha contestato la legalità della pena né ha allegato un vizio nella formazione del suo consenso. Ha semplicemente tentato di riaprire una discussione sul merito della causa, una possibilità che il concordato in appello esclude a priori.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma un principio consolidato: il concordato in appello è una scelta processuale che implica una rinuncia. Chi vi accede ottiene il beneficio di una definizione concordata della pena, ma perde la possibilità di contestare la decisione su aspetti di merito che non attengono alla validità dell’accordo stesso. La decisione della Cassazione serve da monito: prima di optare per questa strada, è fondamentale valutare attentamente le conseguenze e le rinunce che essa comporta. Il tentativo di aggirare questi limiti, come nel caso esaminato, si traduce solo in una dichiarazione di inammissibilità e nell’ulteriore condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa dopo un concordato in appello?
Sì, ma solo per motivi specifici e limitati. Non è possibile contestare il merito della decisione o sollevare questioni a cui si è implicitamente rinunciato con l’accordo.

Quali sono i motivi validi per ricorrere contro una sentenza di concordato in appello?
I motivi ammessi dalla giurisprudenza sono quelli relativi a vizi nella formazione della volontà della parte di aderire all’accordo, al mancato consenso del Procuratore Generale, o a un contenuto della sentenza del giudice diverso da quello pattuito tra le parti.

La mancata assoluzione secondo l’art. 129 c.p.p. può essere motivo di ricorso dopo un concordato in appello?
No, secondo la Corte di Cassazione questa doglianza è inammissibile perché riguarda motivi a cui si rinuncia implicitamente aderendo all’accordo, a meno che non si lamenti l’illegalità della pena concordata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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