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Concordato in appello: i limiti al ricorso in Cassazione

Un imputato ha proposto ricorso in Cassazione contro una sentenza di concordato in appello, lamentando la mancata motivazione sul proscioglimento. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che l’accordo sulla pena implica la rinuncia a contestare la responsabilità, inclusa la mancata valutazione delle cause di non punibilità.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando la rinuncia ai motivi preclude il ricorso in Cassazione

Il concordato in appello, introdotto nel nostro ordinamento processuale penale con l’articolo 599-bis c.p.p., rappresenta uno strumento di efficienza processuale che permette alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Tuttavia, questa scelta comporta conseguenze significative sui successivi mezzi di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i limiti del ricorso avverso una sentenza emessa a seguito di tale accordo, chiarendo quali doglianze siano inammissibili.

Il Fatto Processuale

Nel caso di specie, un imputato, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena con la Procura Generale presso la Corte d’Appello, ha proposto ricorso per cassazione. Il motivo del ricorso non riguardava vizi dell’accordo o della sua formazione, ma lamentava un vizio di motivazione della sentenza d’appello per non aver adeguatamente considerato le condizioni per un proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. In sostanza, l’imputato sosteneva che il giudice di secondo grado avrebbe dovuto, prima di ratificare l’accordo, spiegare perché non sussistessero i presupposti per una sua completa assoluzione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso palesemente inammissibile. La decisione si fonda su un principio ormai consolidato, uno ius receptum, secondo cui la scelta di accedere al concordato in appello implica una rinuncia implicita a far valere determinate questioni, tra cui proprio quelle relative alla sussistenza delle cause di non punibilità.

I limiti del ricorso dopo un concordato in appello

Il cuore della decisione risiede nella natura stessa dell’istituto. Il concordato è un accordo processuale che si basa sulla rinuncia delle parti a parte delle proprie pretese in cambio di una definizione più rapida e certa del processo. L’imputato, in particolare, rinuncia ai motivi d’appello (fatta eccezione per quelli su cui si fonda l’accordo) per ottenere una pena concordata, spesso più mite.

Secondo la Cassazione, questa rinuncia ha un effetto preclusivo che si estende a tutto lo svolgimento processuale, compreso l’eventuale giudizio di legittimità. Di conseguenza, non è più possibile, dopo aver raggiunto l’accordo, sollevare questioni che si sarebbero dovute far valere con i motivi d’appello a cui si è rinunciato.

L’Effetto Devolutivo e la Rinuncia ai Motivi

La Corte chiarisce che l’effetto devolutivo dell’impugnazione viene limitato dalla volontà delle parti. Una volta che l’imputato rinuncia ai motivi di appello per accedere al concordato, la cognizione del giudice di secondo grado è circoscritta esclusivamente alla valutazione della correttezza dell’accordo. Il giudice non è tenuto, pertanto, a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p.

Sono ammissibili solo i ricorsi che contestano:
1. La formazione della volontà della parte di accedere al concordato (ad esempio, per un vizio del consenso).
2. Il consenso prestato dal Procuratore Generale.
3. Un contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto.

Qualsiasi altra doglianza, specialmente se relativa al merito della responsabilità penale, è da considerarsi inammissibile.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la propria decisione richiamando una vasta e consolidata giurisprudenza, sia precedente che successiva alla riforma del 2017 che ha reintrodotto il patteggiamento in appello. Il principio cardine è che il potere dispositivo riconosciuto alla parte dal nuovo art. 599-bis c.p.p. non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma produce effetti preclusivi sull’intero iter processuale. Analogamente a quanto avviene con la rinuncia all’impugnazione, l’accordo sulla pena cristallizza il giudizio di colpevolezza, precludendo ogni successiva discussione in merito. Contestare la mancata valutazione delle cause di proscioglimento equivale a rimettere in discussione proprio ciò a cui si è rinunciato: l’accertamento della responsabilità. Pertanto, tale motivo di ricorso è logicamente e giuridicamente incompatibile con la scelta processuale effettuata.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per la difesa. La scelta di percorrere la strada del concordato in appello deve essere attentamente ponderata, poiché è una scelta che preclude quasi ogni possibilità di un successivo ricorso in Cassazione. Sebbene possa rappresentare un’opzione vantaggiosa per una definizione rapida e certa della pena, essa implica l’abbandono definitivo di ogni contestazione sulla colpevolezza. La pronuncia della Suprema Corte rafforza la natura dispositiva dell’istituto, confermando che la volontà delle parti di chiudere il processo con un accordo prevale sulla possibilità di rimettere in discussione il merito della vicenda in sede di legittimità.

È possibile ricorrere in Cassazione per mancato proscioglimento dopo aver concluso un “concordato in appello”?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che tale ricorso è inammissibile. L’accordo sulla pena in appello implica la rinuncia ai motivi relativi alla responsabilità, inclusa la valutazione delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p.

Quali sono gli unici motivi validi per impugnare in Cassazione una sentenza di “concordato in appello”?
Il ricorso è ammissibile solo per motivi relativi alla formazione della volontà di accedere al concordato, al consenso del Procuratore Generale o a un contenuto della sentenza difforme dall’accordo raggiunto.

Il giudice d’appello, nell’accogliere un “concordato”, deve motivare perché non ha prosciolto l’imputato?
No. A seguito della rinuncia ai motivi di appello da parte dell’imputato, la cognizione del giudice è limitata ai punti non oggetto di rinuncia, e non deve quindi motivare sul mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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