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Concordato in appello: errore e limiti del ricorso

La Corte di Cassazione ha stabilito che un errore nel calcolo della pena proposta in un concordato in appello non costituisce un ‘vizio della volontà’ che possa giustificare un ricorso. L’impugnazione è inammissibile se la volontà di accedere all’accordo era legittima e la pena applicata non è illegale. Il caso riguardava un imputato che, a seguito di un concordato in appello per rapina, si è ritrovato con una pena residua da scontare contrariamente alle sue intenzioni, a causa di un errore nella proposta.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando un errore di calcolo non invalida l’accordo

Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare nel giudizio di secondo grado, a fronte della rinuncia ad alcuni motivi di impugnazione. Ma cosa succede se la pena concordata è frutto di un errore di calcolo della difesa, che porta a un risultato diverso da quello sperato? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 115/2025) chiarisce i limiti dell’impugnabilità di tali accordi, sottolineando la differenza tra un semplice errore e un vero e proprio ‘vizio della volontà’.

Il caso in esame

Nel caso specifico, un imputato condannato in primo grado per rapina aggravata e lesioni decideva, nel giudizio d’appello, di accedere al rito del concordato in appello. La difesa avanzava una proposta di pena che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere interamente coperta dal periodo di custodia cautelare già sofferto (il cosiddetto ‘presofferto’), evitando così all’imputato di dover tornare in carcere.

Tuttavia, per un errore di calcolo, la pena concordata con il Pubblico Ministero e ratificata dalla Corte di Appello risultava leggermente superiore, lasciando un residuo da espiare. Ritenendo che la volontà di aderire all’accordo fosse viziata da questo errore determinante, il difensore proponeva ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza.

La questione giuridica e i limiti del concordato in appello

La questione sottoposta alla Suprema Corte era se un errore di calcolo nella formulazione della proposta di concordato in appello, che impedisce il raggiungimento di un obiettivo strategico della difesa (come la sospensione dell’esecuzione della pena), possa essere considerato un ‘vizio della formazione della volontà’ tale da rendere nulla la sentenza. In sostanza, si chiedeva se l’intenzione ‘sbagliata’ del proponente potesse invalidare un accordo formalmente accettato da tutte le parti e recepito dal giudice.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura e l’impugnabilità del concordato in appello.

In primo luogo, i giudici hanno ribadito, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite, che il regime di ricorribilità per questo istituto non è quello, più restrittivo, previsto per il patteggiamento (art. 448, comma 2-bis c.p.p.), ma segue le regole generali. Ciò non significa, però, che ogni doglianza sia ammissibile.

Il punto centrale della decisione risiede nella distinzione tra la ‘volontà di accedere all’istituto’ e le ‘intenzioni sottostanti’ alla proposta. La Corte ha ritenuto che la volontà dell’imputato di utilizzare lo strumento del concordato fosse stata formata in modo legittimo e non viziato. L’errore successivo, riguardante il calcolo della pena, non ha intaccato questa scelta processuale fondamentale.

Secondo la Cassazione, tale discrepanza tra l’intenzione (evitare il carcere) e il risultato (una piccola pena residua) non costituisce un vizio della volontà, ma al massimo un ‘ipotetico errore del proponente’. Questo errore diventa giuridicamente irrilevante ai fini dell’impugnazione, a meno che non si traduca nell’applicazione di una pena illegale. Poiché nel caso di specie la pena concordata era pienamente legale, e anzi validata sia dal Pubblico Ministero che dal giudice d’appello, non esistevano i presupposti per un annullamento.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: l’accordo raggiunto tramite concordato in appello ha una sua stabilità e non può essere messo in discussione per semplici errori di calcolo o per il mancato raggiungimento degli obiettivi strategici sperati dalla difesa. L’unica via per impugnare la sanzione concordata è dimostrare che essa sia contra legem, cioè illegale nella sua specie o quantità. La corretta formazione della volontà si valuta sulla scelta di accedere allo strumento processuale, non sulla perfezione dei calcoli sottostanti alla proposta. Questa decisione rafforza la natura negoziale dell’istituto, responsabilizzando le parti a formulare proposte precise e ponderate, poiché le conseguenze di un errore, se non sfocia nell’illegalità, ricadono su chi lo ha commesso.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’?
Sì, è possibile, ma secondo le regole generali di ricorribilità e non con i limiti più stringenti previsti per il patteggiamento. L’impugnazione è però possibile solo per specifici motivi di diritto.

Un errore nel calcolo della pena proposta in un concordato in appello costituisce un ‘vizio della volontà’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un errore di calcolo che porta a un risultato diverso da quello sperato (ad esempio, una pena residua da scontare) non è un vizio della volontà che invalida l’accordo, ma solo un errore del proponente.

In quale caso sarebbe stato possibile impugnare la sentenza di concordato in appello per un errore sulla pena?
L’impugnazione sarebbe stata possibile solo se l’errore avesse portato all’applicazione di una pena illegale, cioè una sanzione non consentita dalla legge per quel tipo di reato. La semplice divergenza tra la pena voluta e quella applicata, se quest’ultima è legale, non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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