Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26569 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26569 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, emessa il 19 settembre 2023, la Corte di appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri il 7 ottobre 2022, che aveva giudicato, con rito abbreviato, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, imputati, in concorso tra loro, di tentato omicidio aggravato nei confronti di NOME COGNOME (capo 1), di porto e detenzione illegali, teleologicamente aggravati, di pistola calibro 45 (capo 2) e di danneggiamento, anch’esso teleologicamente aggravato, di due autovetture (capo 3).
In primo grado, il giudice aveva dichiarato gli imputati colpevoli dei reati loro ascritti, avvinti in continuazione, e, ritenuto più grave il delitto di cui al c 1), esclusa per tutti e tre l’aggravante della premeditazione, aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni sette, mesi sei di reclusione, COGNOME alla pena di anni otto, mesi due di reclusione, NOME COGNOME alla pena di anni otto, mesi sei di reclusione, con la loro interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’interdizione legale durante la pena, la confisca e la distruzione dei beni in sequestro.
La Corte di appello di Roma ha pronunciato la suddetta sentenza ratificando il concordato tra le parti, ex art. 599-bis cod. proc. pen., sulla pena da irrogare, con rinuncia ai restanti motivi; in tal senso riformando il trattamento sanzionatorio, esclusa la recidiva contestata a NOME COGNOME e a COGNOME, riconosciute agli imputati le circostanze attenuanti generiche, la Corte di appello ha rideterminato la pena irrogata a NOME COGNOME in anni cinque, mesi quattro di reclusione, la pena irrogata ad NOME COGNOME in anni quattro, mesi sei di reclusione nei confronti di NOME COGNOME e la pena irrogata a COGNOME in anni quattro, mesi quattro di reclusione.
Premesso che i fatti di interesse avevano avuto luogo il 15 agosto 2021, alle ore 2:00 circa, nel parcheggio del ristorante “RAGIONE_SOCIALE” in Castel Gandolfo, dove, a seguito di un’animata discussione tra due gruppi di persone, erano stati esplosi dei colpi d’arma da fuoco dal sedile passeggero di una Smart di proprietà di NOME COGNOME, padre di NOME, all’indirizzo di NOME COGNOME, senza colpirlo, ma danneggiando due autovetture (una Fiat Panda e una Renault Clio lì parcheggiate), la penale responsabilità dei tre imputati è stata riconnessa all’apprezzamento dei seguenti elementi: la comunicazione dei Carabinieri di Marino, che poco prima della sparatoria avevano fermato e riconosciuto i COGNOME all’interno della Smart, pur lasciando riprendere la vettura nella corsa in quanto il conducente aveva detto che il passeggero al suo fianco aveva avvertito un malore, al punto che si tamponava il
naso con dei fazzoletti sporchi di sangue; la querela sporta da NOME COGNOME, proprietaria della Renault Clio, e a quella presentata da NOME COGNOME, proprietario della Fiat Panda, che riferivano dei colpi d’arma da fuoco uditi e dei fori successivamente rinvenuti nelle autovetture; le sommarie informazioni testimoniali di NOME COGNOME COGNOME NOME, responsabile della sicurezza del ristorante, che riferiva dell’alterco e delle tre persone all’interno del veicol Smart; l’acquisizione dei filmati delle telecamere di videosorveglianza del ristorante e degli snodi stradali nel territorio dei Comuni di Marino e di Ciampino, oltre che i tabulati del traffico telefonico delle utenze dei tre indagati e intercettazioni all’interno dei veicoli; la perquisizione dei domicili degli imputati.
1.1. Avverso la sentenza di appello propone ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME, sulla scorta di un unico motivo con cui contesta violazione di legge, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., per essere pervenuta alla condanna dell’imputato senza la prova certa della sua responsabilità, con corrispondente vizio della motivazione.
In particolare, non sarebbe possibile pervenire alla prova della colpevolezza dell’imputato ogni oltre ragionevole dubbio, nemmeno la sua volontà omicidiaria essendo risultata accertata, posto che COGNOME, al momento dell’esplosione dei colpi di arma da fuoco, si era già riparato dietro le auto parcheggiate e, quindi, non era in posizione tale da essere attinto in parti vitali del corpo, a riprova che la volontà degli imputati era di voler solo intimidire, senza attentare alla vita della persona offesa.
1.2. Anche il difensore di NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, chiedendone l’annullamento sulla scorta di un unico motivo, con cui lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla scelta della dosimetria sanzionatoria.
1.3. Richiesta dalla difesa la discussione orale, alla corrispondente udienza non è comparso alcun difensore e il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
Sia la doglianza articolata da NOME COGNOME, sia quella dedotta da NOME COGNOME costituiscono motivi inammissibili.
2.1. A seguito della reintroduzione, con legge 23 giugno 2017, n. 103, dell’istituto definito come patteggiamento in appello di cui all’attuale art. 599-bis cod. proc. pen., si è ritenuto (in carenza, per tale istituto, di una norma corrispondente all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. inerente all’applicazione della pena concordata ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen.) reviviscente il principio che l’elaborazione ermeneutica aveva fatto
emergere nella vigenza del similare istituto previsto dall’art. 599, comma 4, cod. proc. pen. (abrogato dal d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125), principio secondo cui il giudice di appello, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di impugnazione, limita la sua cognizione ai motivi non rinunciati e non è neppure tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per taluna delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., in considerazione della radicale diversità tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e l’istituto in esame, già disciplinato dall’ar 599 cod. proc. pen. essendosi puntualizzato che nel suddetto ambito, ai sensi del previgente art. 599, comma 4, cod. proc. pen., le parti esercitano il potere dispositivo loro riconosciuto dalla legge, dando vita a un negozio processuale liberamente concordato, con la conseguente preclusione processuale che impedisce al giudice di prendere cognizione di quanto deve ritenersi non essergli devoluto (non solo in punto di responsabilità), sicché la relativa sentenza non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274522 – 01; Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, Bresciani, Rv. 272853 – 01).
Si deve puntualizzare che è, poi, intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite, la cui messa a punto ha segnalato che l’ordinamento non contempla l’introduzione di speciali limiti di ricorribilità in cassazione per la sentenz emessa a seguito di concordato in appello, ribadendo, in particolare, che anche per questo istituto la constatazione che nessun dato positivo induce a ritenere che non possa censurarsi, con il ricorso per cassazione, l’errore del giudice di appello che ha omesso di dichiarare la già intervenuta prescrizione del reato, pur se non eccepita dalla parte interessata in quel grado, essendo ammissibile il corrispondente motivo di ricorso, perché volto a far valere l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., dato che l’error in iudicando si sarebbe concretizzato proprio nella detta omissione, che si riverbera sul punto della sentenza concernente la punibilità.
È rilevante la precisazione che pure per tale ambito è ammissibile l’impugnazione mira ad emendare tale errore, in quanto l’ammissibilità del ricorso non è pregiudicata dal concordato quando si tratti di applicare 129 cod. proc. pen. che impone al giudice l’obbligo dell’immediata declaratoria di
determinate cause di non punibilità e a tale obbligo il giudice di merito non può sottrarsi, sicché deve ex officio adottare il provvedimento consequenziale.
Richiamando in questo snodo le argomentazioni già sviluppate in via generale con precedente arresto regolatore (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266819 – 01), è stato quindi affermato il principio di diritto in base al quale “nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza” (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, NOME, Rv. 284481 – 01).
3.2. Precisato ciò, si osserva che, nel caso in esame, le difese di NOME COGNOME e di NOME COGNOME – dopo che gli imputati, ritualmente rappresentati, avevano concordato, davanti al giudice di secondo grado, i punti relativi alla loro rispettiva responsabilità e alla pena irroganda – hanno sollevato, per il primo, questioni relative all’accertamento oltre ogni ragionevole dubbio della sua responsabilità e, per il secondo, questioni inerenti alla determinazione della pena, dopo che sull’uno e sull’altro ambito si era formato il concordato ratificato dalla Corte di appello con la sentenza impugnata, con la conseguente rinuncia alla proposizione di motivi di censura da parte degli imputati in ordine alle stesse.
È evidente, quindi, che le questioni poste da entrambi i ricorrenti risultano generiche ed eccentriche rispetto al novero delle censure ammissibilmente deducibili.
3.3. Tale rilievo comporta l’inammissibilità di entrambe le impugnazioni.
Segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di euro tremila alla Cassa delle ammende.
P.Q. M .
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Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle O ,—i spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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Così deciso il 28 marzo 2024