Concordato in Appello: L’Accordo Sulla Pena Sostitutiva Deve Essere Totale
Il concordato in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che permette alle parti di accordarsi sull’esito del giudizio di secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un aspetto procedurale cruciale: la richiesta di applicazione di una pena sostitutiva, come il lavoro di pubblica utilità, non può essere un’iniziativa unilaterale della difesa successiva all’accordo, ma deve essere parte integrante del patto stesso. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto affermati dai giudici.
I Fatti del Caso: Dall’Accordo al Ricorso
Nel caso di specie, la Corte di Appello di Bologna, in accoglimento di un accordo tra le parti, rideterminava la pena inflitta a un imputato per i reati di ricettazione e detenzione illecita di stupefacenti. La pena veniva fissata in 1 anno, 8 mesi e 15 giorni di reclusione, oltre a una multa.
Successivamente alla formalizzazione del concordato, e durante l’udienza fissata per la celebrazione del giudizio, il difensore dell’imputato presentava un’istanza per la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità. La Corte di Appello respingeva tale richiesta. Contro questa decisione, la difesa proponeva ricorso per cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge.
Il Principio del Concordato in Appello e il Consenso delle Parti
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha ribadito la natura e la funzione del concordato in appello. Questo istituto si fonda sul consenso di entrambe le parti, accusa e difesa, non solo sulla pena principale ma su ogni aspetto sanzionatorio.
La richiesta di convertire una pena detentiva in una pena sostitutiva è ammessa anche nell’ambito di una procedura a pena concordata. Tuttavia, la Cassazione ha precisato, citando precedenti conformi, che tale richiesta deve necessariamente “fare parte dell’accordo”.
L’Accordo Deve Essere Completo
Il punto centrale della decisione è che l’imputato non può prima concordare la pena detentiva con il Procuratore Generale e, in un secondo momento, chiedere autonomamente alla Corte di Appello di procedere alla sostituzione. L’istituto del concordato in appello impone che il consenso delle parti sia onnicomprensivo.
Nel caso esaminato, la difesa aveva formulato la richiesta di applicazione delle sanzioni sostitutive senza che vi fosse il consenso del Procuratore Generale. Mancava, quindi, un presupposto essenziale per l’accoglimento dell’istanza: l’accordo completo su tutti i punti.
Le Motivazioni della Cassazione
Le motivazioni della Suprema Corte sono state nette e proceduralmente rigorose. I giudici hanno stabilito che, in assenza del consenso del Pubblico Ministero sulla pena sostitutiva, non sussisteva il presupposto per procedere in tal senso. Di conseguenza, il successivo ricorso per cassazione, basato sul rigetto di tale istanza, è stato considerato come avente ad oggetto motivi non proponibili per legge.
Questo ha portato alla declaratoria di inammissibilità de plano, ovvero senza le formalità di procedura, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale. Tale norma consente alla Cassazione di decidere rapidamente sui ricorsi proposti avverso sentenze emesse a seguito di concordato in appello quando questi sono palesemente infondati.
Le Conclusioni
La decisione in commento offre un’importante lezione pratica per gli operatori del diritto. Chi intende avvalersi del concordato in appello e beneficiare di una pena sostitutiva deve assicurarsi che tale opzione sia discussa, negoziata e inclusa nell’accordo finale con il Pubblico Ministero. Qualsiasi richiesta unilaterale e successiva è destinata al fallimento. La natura pattizia del rito speciale richiede una convergenza totale delle volontà delle parti, senza la quale il giudice non può intervenire per modificare l’assetto sanzionatorio concordato. La conseguenza per il ricorrente è stata non solo la conferma della decisione impugnata, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
È possibile chiedere una pena sostitutiva dopo aver già definito un concordato in appello sulla pena principale?
No, la richiesta di applicazione di una pena sostitutiva deve essere parte integrante dell’accordo complessivo stipulato tra l’imputato e il Pubblico Ministero.
Cosa succede se la difesa presenta un’istanza di sostituzione della pena senza il consenso del Pubblico Ministero?
L’istanza non può essere accolta dal giudice. L’eventuale ricorso per cassazione basato sul rigetto di tale richiesta verrà dichiarato inammissibile perché fondato su motivi non proponibili per legge.
Qual è il presupposto fondamentale per applicare una pena sostitutiva in un concordato in appello?
Il presupposto fondamentale è che sussista il consenso di entrambe le parti, difesa e accusa, sia sulla determinazione della pena principale sia sull’eventuale applicazione della pena sostitutiva. L’accordo deve essere completo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22642 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 22642 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 30/04/1995 avverso la sentenza del 31/01/2025 della CORTE APPELLO di BOLOGNA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di Bologna, con sentenza ex art. 599bis cod. proc. pen. in data 31 gennaio 2025, sull’accordo delle parti, rideterminava la pena inflitta ad NOME in ordine ai reati di ricettazione e detenzione illecita di stupefacente in anni 1, mesi 8, giorni 15 di reclusione ed € 500,00 di multa.
Con la stessa pronuncia, il giudice di appello, respingeva l’istanza di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità formulata dal difensore dell’COGNOME successivamente la formulazione del concordato in appello ed all’udienza fissata per la celebrazione del giudizio.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv.to NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo qui riassunto ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. erronea applicazione della legge penale e travisamento della prova quanto al rigetto dell’istanza di sostituzione della pena posto che, la corte di appello, non avrebbe potuto respingere la richiesta in ragione dei soli precedenti penali dell’imputato né fondare tale decisione sulla consumazione del reato durante un periodo di messa alla prova disposto in altri
procedimenti per reati analoghi; invero i fatti oggetto del presente procedimento, risultavano commessi il 2 gennaio 2018, mentre, la messa alla prova, era stata concessa successivamente con ordinanza del 12 dicembre 2019 ed aveva, anche, avuto esito positivo.
Il ricorso appare proposto per motivi non denunciabili e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Ed invero, per costante interpretazione della corte di legittimità la richiesta di conversione di una pena detentiva breve in pena sostitutiva può essere formulata anche nell’ambito di procedure a pena concordata tra le parti ex art. 599bis cod. proc. pen., come modificato dall’art. 2 d.lgs. 19 marzo 2024, n.31, purché faccia parte dell’accordo (Sez. 2, n. 8396 del 04/02/2025, COGNOME, Rv. 287579 -01; ed anche Sez. 6, Ord. n. 30767 del 28/04/2023, COGNOME, Rv. 284978 -01). In applicazione di detto principio l’imputato non poteva concordare la pena con il Procuratore Generale e successivamente richiedere alla Corte di appello di procedere alla sostituzione poiché l’istituto dell’art. 599 -bis cod. proc. pen. impone che sussista il consenso di entrambe le parti sia in ordine alla pena principale che all’eventuale pena sostitutiva. Viceversa, nel caso in esame, risulta che la difesa formulava la richiesta di applicazione delle sanzioni previste dall’art. 20bis cod. pen. senza il consenso del Procuratore generale.
Con la conseguenza che non sussisteva il presupposto del consenso su parte dei motivi di appello ed il successivo ricorso avanzato deve ritenersi avere ad oggetto motivi non proponibili e perciò soggetti alla declaratoria di inammissibilità de plano ex art. 610 comma 5bis cod. proc. pen. secondo cui la Corte di cassazione dichiara senza formalità di procedura l’inammissibilità del ricorso proposto avverso la sentenza pronunciata ex art. 599bis cit.
Alla declar atoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma, 3 giugno 2025