Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 45 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 45 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Faenza il 01-09-1981, avverso l’ordinanza del 08-03-2023 del Tribunale di Trento; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOMEunica; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ric:orso; letta la memoria di replica trasmessa dall’avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME quale terzo interessato, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza dell’8 marzo 2023, con cui il Tribunale del Riesame di Trento confermava il provvedimento del 21 novembre 2022, eseguito il 9 febbraio 2023, con cui il G.I.P. del medesimo Tribunale, nell’ambito di un articolato procedimento penale in tema di associazione a delinquere e reati di sottrazione al pagamento dell’accisa di prodotti petroliferi, aveva, tra l’altro disposto il sequestro del deposito denominatc:i “Area Parcheggio” di proprietà del ricorrente, oltre che di NOME COGNOME e NOME COGNOME soggetti non indagati, assumendosi che il deposito fosse gestito dall’associato NOME COGNOME
2. Il ricorso è affidato a quattro motivi.
Con il primo, oggetto di doglianza sono il vizio di motivazione e l’erronea applicazione degli art. 8, 9, 10, 12, 16 e 125 cod. proc. pen., 125 Cost., 61 bis e 416 cod. pen., 40 e 49 del d. Igs. n. 504 del 1995; la difesa, in particolare, contesta il rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Trento, osservando che va dichiarata la competenza territoriale del Tribunale di Foggia, posto che il presunto reato associativo e i reati fine sono stati commessi nell’unico contesto territoriale di Cerignola, che è il luogo fisico, monitorat peraltro dalla P.G., dove i tre concorrenti cerignolani si sarebbero riuniti e avrebbero dato vita al sodalizio e assunto le decisioni operative; né sarebbe pertinente il riferimento alla connotazione anche estera dell’associazione, posto che l’aggravante ex art. 61 bis cod. pen. non risulta sia stata contestata. In ogni caso, pur a voler seguire il ragionamento del Tribunale del Riesame, resta il fatto che l’unico luogo del territorio nazionale in cui si sarebbe manifestata una parte della condotta illecita è sempre Cerignola, mentre la località di Trento è emersa in maniera del tutto occasionale, in relazione al fermo di un autotreno che, in ogni caso, era diretto proprio nel territorio foggiano.
Con il secondo motivo, la difesa censura il rigetto dell’eccezione di nullità del provvedimento genetico per difetto dell’aul:onoma valutazione da parte del G.I.P., non essendosi confrontato il Tribunale del Riesame con l’eccezione difensiva, con cui era stata rimarcata l’assenza di un percorso argomentativo autonomo da parte del giudice della cautela, non già rispetto alla richiesta del P.M., ma proprio in ordine al copiosissimo materiale probatorio che era stato semplicemente richiamato sulla scorta della sua asserita auto-evidenza e con la semplice aggiunta di clausole di stile rispetto al reato associativo, ma senza alcuna valutazione sui plurimi reati fine ascritti ai 41 indagati in 204 imputazioni
Con il terzo motivo, ci si duole del difetto assoluto di motivazione rispetto alle doglianze con cui il ricorrente aveva eccepito la insussistenza del fumus boni
iuris e del periculum in mora, rilevandosi che l’art. 322 cod. proc. pen. pone sullo stesso piano, in condizioni di parità, l’imputato, il suo difensore, la persona alle quale sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, legittimando tutti a promuovere istanza di nesame “anche nel merito”, per cui alcuna limitazione pare sostenibile, tanto più ove si consideri che nel caso di specie viene in rilievo un sequestro impeditivo, per cui a maggior ragione doveva essere consentito al terzo di interloquire pienamente sul ravvisato collegamento tra il bene oggetto della misura e il reato, oltre che sul quantum confiscabile.
Con il quarto motivo, sono state eccepite l’erronea applicazione degli art. 192, comma 2, 321, 322, 324 cod. proc. pen., 240 cod. pen. e 44 del d. Igs. n. 504 del 1992 e la mancanza e illogicità della motivazione, evidenziandosi che il ricorrente è risultato completamente estraneo alle ipotesi delittuose contestate, neppure dal punto di vista della carenza di diligenza rispetto a un eventuale utilizzo improprio dell’Area Parcheggio di cui era comproprietario da parte di soggetti privi di qualsiasi collegamento con NOME non versando questi in alcuna condizione di conoscenza o conoscibilità specifica delle condotte altrui, fermo restando che il ricorrente non ha ricavato vantaggi di sorta, avendo egli adeguata capacità economica, avendo sempre lavorato in agric:oltura.
2.1. Con memoria trasmessa il 6 ottobre 2023, il difensore di fiducia del ricorrente, nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, sviluppandone le argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ fondato il primo motivo di ricorso e, in quanto assorbente, determina l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, imponendosi sul punto un nuovo esame da parte del Tribunale, alla luce dei principi di seguito esposti.
Occorre innanzitutto premettere, che con riguardo al giudizio di riesame proposto dal terzo interessato alla restituzione di un bene sottoposto a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, la competenza per territorio va individuata in relazione al procedimento per tale reato pendente nei confronti della persona indagata nella disponibilità della quale il bene sottoposto a vincolo è stato ritenuto (in tal caso NOME COGNOME il quale si assume sia stato coadiuvato nella gestione del deposito da COGNOME e COGNOME Ciò posto, deve a questo punto osservarsi che il procedimento in esam concerne reati tra i quali tutti potrebbe sussistere – ed in parte già riconosciuto – il vincolo della connessione ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pe
2.1. Sono stati infatti contestati:
a COGNOME COGNOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME Domenico il reato di associazione per delinquere finalizzato alla commissione di più delitti concernenti la sottrazione al pagamento delle accise dovute sulla produzione e sul commercio di prodotti energetici utilizzati per autotrazione, di cui all’art. 40, comma 1, lett. b), e comma 4 d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, accertato dal 16 settembre 2020;
a taluno di costoro, unitamente ad altri soggetti estranei al sodalizio, la commissione di decine di reati-fine riconducibili all’ipotesi criminosa appena citata, oltre che, talvolta, unitamente alla stessa, anche di quella di cui all’art. d.lgs. n. 504 del 1995, ininterrottamente commessi, con pressoché identiche modalità, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, nei successivi mesi ed in particolare accertati nel periodo di monitoraggio effettuato dal febbraio 2021 sino all’aprile 2022.
Già il provvedimento genetico (pag. 144), sulla scorta della stretta connessione logica e cronologica tra reato mezzo e reati-fine, ha individuato, con riguardo agli associati – che risultano tali sin dal momento dell’accertamento del sodalizio – la sussistenza del vincolo della continuazione, con ciò ravvisando l’ipotesi di connessione di cui all’art. 12, lett. b), cod. proc. pen. e l’ordinanza impugnata ha condiviso quest’impostazione, che in ricorso non viene peraltro contestata.
Sulla base degli unici atti a disposizione del Collegio e in assenza di specifiche contestazioni, la decisione appare conforme al consolidato principio secondo il quale, ai fini della determinazione della competenza per territorio, la connessione tra delitto associativo e reati-fine può ritenersi sussistente quando risulti che, fi dalla costituzione del sodalizio criminoso o dall’adesione a esso, un determinato soggetto, nell’ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, da lui poi effettivamente commessi (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 46134 del 21/10/2009, COGNOME e a., Rv. 245503; Sez. 1, n. 17831 del 10/04/2008, COGNOME e aa., Rv. 240309).
2.2. Quanto ai reati-fine contestati anche a soggetti diversi dai sodali, non vale invece richiamare l’ipotesi di connessione di cui all’art. 12, lett. b), co proc. pen., avendo questa Corte già precisato che, in tema di competenza determinata dall’ipotesi di connessione oggettiva fondata sull’astratta configurabilità del vincolo della continuazione fra le analoghe, ma distinte, fattispecie di reato ascritte ai diversi imputati, l’identità del disegno criminos perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l’episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o – se sono più di uno – gli stessi imputati, giacché l’interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti i continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto
al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza (cfr. Sez. 2, n. 57927 del 20/11/2018, Bianco, Rv. 275519; Sez. 2, n. 17090 del 28/02/2017, Bilalaj, Rv. 269960; Sez. 1, n. 8526 del 09/01/2013, COGNOME e aa., Rv. 254924). In tal caso non opera dunque l’ipotesi della connessione di cui all’art. 12, lett. b) cod. proc. pen. e il procedimento per il reato attribuito anche ad altri soggetti appartiene, per tutti gli imputati, alla competenza per territorio del giudice individuato a norma degli art. 8 e 9 cod. proc. pen., meni:re il vincolo della continuazione, per coloro i quali sussista, produrrà i suoi effetti solo sul piano sostanziale, ai fini della determinazione della pena (cfr. Sez. 4, n. 11963 del 07/11/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236276).
2.3. Nella motivazione della citata sentenza Bianco si puntualizza, tuttavia, la differenza strutturale al riguardo ravvisabile tra l’ipotesi di cui all’art. 12 b) e quella di cui all’art. 12 lett. c) cod. proc. pen., posto che quest’ultima, differenza della prima, non contiene l’incipit “se una persona è imputata di più reati…” e pertanto non postula necessariamente l’identità soggettiva tra gli autori dei reati connessi.
Risolvendo il contrasto di giurisprudenza al proposito insorto sul punto, questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha infatti chiarito che, ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12, lett. c), cod proc. pen. e della sua idoneità a determinare uno spostamento della competenza per territorio, non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fin quelli del reato mezzo, ferma restando la necessità di accertare che l’autore di quest’ultimo abbia avuto presente l’oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all’occultamento di un altro reato (cfr. Sez. Un., n. 53390 del 26/10/2017, G. Rv. 271223; nello stesso senso, Sez. 2, n. 44678 del 16/10/2019, COGNOME, Rv. 278000).
Sulla scorta delle stesse ragioni esposte dai giudici del merito cautelare, laddove fosse possibile ravvisare la connessione teleologica tra il real:o associativo ed i reati-fine (contestati anche a persone diverse dai sodali) nella misura in cui possa dirsi che il primo è stato commesso per eseguire questi ultimi, potrebbe dunque nella specie affermarsi la sussistenza della connessione di cui all’art. 12 cod. proc. pen. – sia pur all’insegna della lett:. c) – anche con riguardo ai reati fine commessi anche da soggetti non associati che abbiano agito in concorso con taluno di questi. Questa verifica, tuttavia, è nella specie mancata, benché NOME risponda di reati-fine commessi anche in concorso con persone estranee al sodalizio e pure ad essa questi si riferisca la confisca per equivalente del profitto eseguita sul bene intestato al ricorrente.
2.4. Se risulti la connessione tra delitto associativo e reati-fine e si tratti, c che nella specie è pacifico, di reati che appartengono tutti alla competenza del
tribunale, laddove in relazione agli stessi la competenza per territorio spetti a giudici diversi, va applicato il criterio di cui all’art. 16 cod. pen., in base al q la competenza per territorio appartiene al giudice competente per il reato più grave ovvero, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato (Sez. 2, n. 45337 del 04/11/2015, Preci e aa.’ Rv. 265031).
Muovendosi in quest’ottica, sia pur senza aver approfondito il punto di cui supra sub §§. 2.2 e 2.3, i giudici del merito cautelare, con affermazione al proposito indubbiamente esatta e condivisa anche dalla parte ricorrente, hanno individuato nel delitto associativo il più grave tra i reati connessi.
3.1. Ciò premesso, trattandosi di reato permanente, osserva il Collegio che il giudice territorialmente competente va individuato in quello del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, ex art. 8, comma 3, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 1, n. 20908 del 28/04/2015, Minerva e aa., Rv. 263612), vale a dire – secondo il più recente e preferibile orientamento – quello in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio (Sez. 2, n. 41012 del 20/06/2018, C., Rv. 274083), assumendo rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il pactum sceleris, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura (cfr. Sez. 6, n. 4118 del 10/01/2018, Piccolo, Rv. 272185;, Sez. 6, n. 49995 del 15/09/2017, COGNOME, Rv. 271585).
3.2. Nel caso di specie, secondo la non illogica ricostruzione operata nel provvedimento impugnato – sul punto neppure specificamente contestata dalla parte ricorrente – il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato, essendosi colà manifestata per la prima volta l’operatività della struttura, ricade all’estero.
Il Tribunale del riesame – e in ciò si ravvisa la violazione di legge dedotta in ricorso – ha tuttavia erroneamente parificato tale situazione a quella dell’impossibilità di stabilire la competenza con riguardo al più grave reato associativo per individuare conseguentemente la competenza con riguardo, in via gradata rispetto ai residui reati connessi, al reato-fine più grave, in forza di un consolidato orientamento interpretativo che reputa inapplicabili le regole suppletive di cui all’art. 9, commi 2 e 3, cod. proc. pen., ritenute riferib soltanto al procedimento relativo ad un singolo reato (Sez. U, n. 40537 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244330; Sez. 2, n. 3850 del 21/10/2016, dep. 2017, Cassola e a., Rv. 269246). Tale conclusione è errata perché il Tribunale del riesame non ha tenuto conto del disposto di cui all’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., al quale l’ordinanza impugnata neppure accenna.
4.1. Come ben chiarito dalla Sezioni unite nella citata sentenza COGNOME, la disposizione da ultimo richiamata, a differenza di quelle contenute nei
successivi due commi, detta una regola integrativa dei criteri stabiliti nell’art. cod. proc. pen. che continua ad ancorare l’individuazione del giudice competente al luogo in cui, almeno in parte, è stata realizzata la condotta criminosa e resta dunque applicabile anche nel caso di procedimenti per reati connessi (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 35861 del 19/06/2019, Rv. 276812).
L’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., del resto, è certamente riferibile anche ai reati permanenti, come da questa Corte ripetutamente affermato, ad es., con riguardo al delitto di detenzione di sostanze stupefacenti (Sez. 4, n. 31522 del 01/06/2023, COGNOME, Rv. 284959; Sez. 4, n. 24719 del 03/03/2016, Lusha, Rv. 267227) e pure laddove la consumazione sia iniziata in territorio estero (cfr. Sez. 4, n. 8665 del 22/01/2010, COGNOME e a., Rv. 246851), purché, in quest’ultimo caso, nel territorio nazionale si sia consumata una parte della condotta essenziale per l’integrazione della fattispecie, dovendosi in caso contrario fare riferimento ai criteri contemplati dai successivi commi della norma menzionata (Sez. 4, n. 29187 del 19/06/2007, Paja, Rv. 236996).
4.2. Ed invero, allorché si versi in questa situazione non ne è certo preclusa l’operatività. In forza della previsione contenuta nell’art. 10, comma 3, cod. proc. pen., disposizione del pari erroneamente non considerata dall’ordinanza impugnata, quando il reato risulta commesso in parte all’estero, la competenza va infatti determinata alla luce degli artt. 8 e 9 del codice di rito, ciò che, per quanto appena osservato, rende dunque certamente applicabile anche la regola integrativa prevista dal primo comma di tale ultimo articolo, giusta la quale, se la competenza non può essere determinata a norma dell’art. 8 (come nel caso in esame, posto che il luogo di inizio della consumazione del reato associativo è stato individuato in territorio estero), «è competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione».
Che in territorio italiano si sia svolta una parte significativa di condott del delitto associativo è riconosciuto anche dall’ordinanza impugnata.
Dovendosi al proposito avere riguardo al luogo in cui si è concretamente manifestata, secondo un criterio di effettività, la consumazione del reato associativo, sia con riguardo alla programmazione, ideazione e direzione delle attività illecite commesse in territorio nazionale, sia con riguardo all’esecuzione dei delitti programmati (cfr., per la rilevanza di tali criteri ai fini determinazione della competenza per territorio, Sez. 3, n. 35578 del 21/04/2016, Bilali Bilali e aa., Rv. 267635), secondo la ricostruzione operata nel provvedimento impugnato viene in particolare in rilievo la cittadina di Cerignola, luogo di residenza dei sodali italiani che ricoprivano ruolo apicale e sede della “cellula operativa” italiana secondo quanto si legge nell’ordinanza impugnata.
In particolare, in essa si attesta che Cerignola è identificabile proprio come l’ultimo luogo di manifestazione delle attività del sodalizio: «appare innegabile che diverse condotte preparatorie poste in essere dagli associati, quali l’acquisto e la miscelazione del prodotto, nonché l’organizzazione dei trasporti, siano state compiute all’estero in sedi e basi operative diverse da quella italiana, operativa, invece, come si è detto, nella fase finale dell’attività criminosa».
6. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trento, che si atterrà ai principi sopra esposti e verificherà se tra i reati-fine rilevanti ai fini della decisione del prese procedimento cautelare sussista la connessione ex art. 12 cod. proc. pen. – lett. b) o lett. c) – con il reato associativo e quale conseguentemente sia il giudice territorialmente competente. Nel caso di ritenuta incompetenza per territorio del Tribunale di Trento, valuterà il giudice del rinvio se fare applicazione della regola generale fissata nell’art. 27 cod. proc. pen., che disciplina, e contempera, le regole sulla competenza del giudice e quelle legate all’urgenza di assumere provvedimenti in materia cautelare ed è certamente riferibile anche ai sequestri giusta il richiamo agli artt. 317 e 321 cod. proc. pen. Per consolidato orientamento interpretativo, la suddetta efficacia interinale del provvedimento cautelare assunto dal giudice incompetente opera anche laddove l’incompetenza sia stata successivamente dichiarata in sede d’impugnazione (cfr., quanto alle misure cautelari personali, Sez. U, n. 1 del 24/01/1996, COGNOME, Rv. 204164; quanto alle misure cautelari reali, Sez. 6, n. 11637 del 27/02/2020, COGNOME, Rv. 278721). L’adozione di una misura cautelare reale da parte del giudice (dichiaratosi o riconosciuto) incompetente non richiede, peraltro, alcuna ulteriore valutazione in termini di urgenza rispetto alla sussistenza degli ordinari presupposti del fumus e del periculum (cfr. Sez. 5, n. 54016 del 30/10/2017, Sorato e aa., Rv. 271886), diversamente da quanto previsto, per i soli provvedimenti in materia di misure cautelari personali, dall’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., ove si prescrive che l’adozione della misura da parte del giudice incompetente postula, altresì, la riconosciuta sussistenza dell’urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 cod. proc. pen. (cfr., sul punto, Sez. U, n. 19214 del 23/04/2020, Giacobbe, Rv. 279092, nella cui motivazione si specifica che il giudice, anche dell’impugnazione, che dichiari la propria incompetenza ex art. 27 cod. proc. pen., deve trasmettere gli atti al pubblico ministero che ha richiesto la misura, cui spettano le conseguenti determinazioni). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trento, Sezione del Riesame.
Così deciso il 13/10/2023