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Competenza magistrato sorveglianza: dove si sconta?

La Corte di Cassazione risolve un conflitto di competenza tra due Magistrati di Sorveglianza sorto in merito alla conversione di una pena pecuniaria. Ribadendo un principio consolidato, la Corte stabilisce che la competenza magistrato sorveglianza spetta a quello del luogo in cui si trova il condannato al momento della richiesta, garantendo così certezza e uniformità procedurale.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Competenza magistrato sorveglianza: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26880 del 2025, è intervenuta per risolvere un conflitto di competenza magistrato sorveglianza, una questione cruciale nella fase di esecuzione della pena. Il caso riguardava la conversione di una pena pecuniaria e vedeva contrapposti i Magistrati di Sorveglianza di L’Aquila e Napoli. La decisione riafferma un principio fondamentale per determinare quale giudice debba occuparsi del fascicolo di un condannato, basandosi su un criterio territoriale chiaro e consolidato.

I fatti di causa: un conflitto tra uffici giudiziari

La vicenda ha origine dalla richiesta del Pubblico Ministero di convertire una multa di 1.291,14 euro, inflitta con una sentenza definitiva del 2000 dalla Corte di Appello di Napoli. A seguito di questa richiesta, il Magistrato di Sorveglianza di Napoli emetteva un’ordinanza. Tuttavia, il Magistrato di Sorveglianza di L’Aquila, investito successivamente della questione, sollevava un conflitto di competenza negativo, ritenendo di non essere il giudice territorialmente competente a decidere.

Il conflitto nasceva, quindi, dalla divergenza tra due uffici giudiziari su chi avesse la giurisdizione per provvedere alla richiesta di conversione della pena pecuniaria. Tocca alla Corte di Cassazione, in questi casi, dirimere la controversia e stabilire il giudice naturale del procedimento.

La questione della competenza magistrato sorveglianza

Il fulcro della decisione ruota attorno all’interpretazione dell’articolo 677 del codice di procedura penale. Questa norma disciplina la competenza territoriale per i procedimenti di sorveglianza. La domanda a cui la Suprema Corte doveva rispondere era semplice ma fondamentale: come si determina la competenza magistrato sorveglianza quando un condannato deve affrontare la fase esecutiva della sua pena, in particolare per materie come la conversione di una sanzione pecuniaria?

La risoluzione di questo dubbio è essenziale per garantire la certezza del diritto e per evitare che i procedimenti si arenino in dispute procedurali, ritardando la definizione della posizione del condannato.

Il principio di diritto richiamato dalla Cassazione

Per risolvere il conflitto, la Corte di Cassazione non ha introdotto un nuovo principio, ma ha richiamato una sua precedente e autorevole pronuncia a Sezioni Unite (sentenza n. 12 del 1997). Questo precedente, definito ‘risalente nel tempo ma consolidato’, stabilisce una regola chiara:

> «La competenza a conoscere le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio di ufficio del procedimento».

In parole semplici, il giudice competente è quello del luogo in cui si trova la persona interessata nel momento in cui il procedimento di sorveglianza ha inizio.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di ancorare la competenza a un criterio oggettivo e facilmente verificabile. Il luogo in cui il condannato si trova al momento della richiesta (sia esso un istituto penitenziario o il suo domicilio) rappresenta il collegamento territoriale più logico e funzionale. Questa regola, derivante dall’art. 677 c.p.p., persegue un duplice obiettivo: da un lato, assicura che il giudice più vicino alla situazione concreta del condannato possa prendere le decisioni più appropriate; dall’altro, fornisce un criterio univoco che previene incertezze e conflitti giurisdizionali, garantendo l’efficienza del sistema giudiziario nella delicata fase dell’esecuzione penale.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ha risolto il conflitto di competenza, indicando quale dei due Magistrati di Sorveglianza dovesse procedere. La decisione non è importante solo per il caso specifico, ma perché rafforza un principio cardine della procedura penale esecutiva. Viene ribadito che la determinazione della competenza magistrato sorveglianza non è discrezionale, ma segue una regola precisa legata alla localizzazione fisica del soggetto interessato. Ciò garantisce uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale e conferisce stabilità e prevedibilità all’azione giudiziaria.

Qual è il criterio per determinare la competenza del Magistrato di Sorveglianza?
La competenza appartiene al magistrato o al tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo (ad esempio, un istituto di pena o di prevenzione) in cui si trova la persona interessata al momento in cui viene presentata la richiesta, la proposta o ha inizio il procedimento d’ufficio.

Cosa si intende per conflitto di competenza negativo?
Si ha un conflitto di competenza negativo quando due o più giudici, in questo caso i Magistrati di Sorveglianza di L’Aquila e Napoli, dichiarano contemporaneamente di non avere la competenza per decidere sullo stesso procedimento, rendendo necessario l’intervento della Corte di Cassazione per stabilire quale sia il giudice competente.

Perché questo principio è considerato consolidato?
Il principio è considerato consolidato perché è stato affermato da una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 1997 e da allora è stato costantemente seguito, rappresentando un punto di riferimento stabile e indiscusso per la giurisprudenza in materia di esecuzione penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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