Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 52136 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 52136 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/11/2019
SENTENZA
sul conflitto di competenza sollevato da:
GIP TRIBUNALE DI TRENTO nei confronti di:
TRIBUNALE VERONA
con l’ordinanza del 27/06/2019 del GIP TRIBUNALE di TRENTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi la competenza del TRIBUNALE VERONA.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza resa in data 27.6.2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trento, chiamato a decidere sulla richiesta di sequestro probatorio contenuta nell’atto di denuncia – querela sporta da NOME COGNOME trasmessagli dal Pubblico ministero con parere contrario, accogliendo la sollecitazione dell’organo della pubblica accusa ex art. 30, comma 2, cod. proc. pen, ha dichiarato la propria incompetenza a provvedere ed ha proposto conflitto di competenza con il Tribunale di Verona che, con sentenza del 16-5-2019, emessa in esito all’udienza dibattimentale celebratasi nel
procedimento nei confronti di COGNOME aveva declinato la competenza in applicazione dell’art. 11 cod. proc. pen., osservando a ragione che il reato, secondo l’incolpazione provvisoria, era stato commesso ai danni di un magistrato militare, il dott. NOME COGNOME attualmente sostituto procuratore militare presso il Tribunale Militare di Verona.
Secondo il giudice confliggente, invece, la norma attributiva della competenza funzionale prevista dall’art. 11 cod. proc. pen., non poteva essere estesa, per la sua natura derogatoria ed eccezionale, anche ai magistrati diversi da quelli ordinari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che sussiste materia di conflitto ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen., giacché sia il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trento sia il Tribunale di Verona hanno ricusato la loro competenza.
2. Nel merito, il conflitto va risolto nel senso della competenza del Tribunale di Verona.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità nella sua massima espressione e precisamente da Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 229632, sia pure con riferimento al caso dei magistrati onorari, per la definizione dei limiti di applicazione della disciplina della competenza derogatoria di cui all’art. 11 cod. proc. pen., è indispensabile fare capo alla «ratio» che presiede a tale disciplina, da individuarsi «nell’esigenza di garantire che il processo penale si svolga, e appaia svolgersi, nella più perfetta imparzialità, potendo questa essere, o apparire, alterata, dalla circostanza che a giudicare di un reato nel quale è indagato, imputato, offeso o danneggiato un magistrato, sia un giudice che, per appartenere allo stesso plesso territoriale in cui il detto magistrato abbia esercitato o sia venuto ad esercitare le sue funzioni, abbia con quello un rapporto di colleganza e di normale frequentazione». Proprio in considerazione di tale esigenza, si è, fra l’altro, affermata la tesi della natur funzionale, e non semplicemente territoriale, della competenza in esame, con conseguente rilevabilità, anche officiosa, del relativo difetto, in ogni stato grado del procedimento.
La specifica formulazione dell’attuale art. 11 cod. proc. pen. – che rende rilevante ogni procedimento attribuibile a un qualsiasi ufficio dell’intero distrett nel cui ambito operi il soggetto interessato e ne comporta lo spostamento in altro distretto – lascia chiaramente intendere che il legislatore ha voluto rafforzare in modo particolare la tutela dell’immagine della terzietà agli occhi del pubblico, al di là del grado più o meno intenso dei rapporti intersoggettivi di colleganza, che s’instaurano all’interno dell’area distrettuale.
In relazione alla “ratio”, così definita, della disciplina speciale vigente, è evidente, osservano ancora le S.U. citate «che il presupposto saliente per l’insorgere di quella situazione di comune appartenenza, con il connesso più agevole sviluppo di relazioni soggettive, da cui scaturisce, o si teme possa scaturire, il condizionamento psicologico idoneo a minare l’imparzialità del giudizio, è costituito dalla stabilità, e cioè dalla continuatività riconosci formalmente per un arco temporale significativo, dell’incarico assunto dal magistrato onorario coinvolto nel procedimento penale, in un ufficio giudiziario compreso nel distretto ove il procedimento stesso dovrebbe essere celebrato».
Alla luce dei rapporti tra magistrati ordinari e magistrati militari, delinea dalla legislazione vigente in termini di separatezza e completa autonomia in ragione della rispettiva appartenenza a due giurisdizioni separate dal punto di vista organizzativo, oltre che funzionale (se si esclude la fase di legittimit davanti alla Corte di Cassazione estranea all’applicazione dell’art. 11 cod. proc. pen. anche per i magistrati ordinari), deve escludersi la sussistenza di rischi, anche solo astratti, di compromissione dell’imparzialità del magistrato ordinario chiamato a celebrare un giudizio in cui in cui assuma la qualifica di «imputato, persona offesa o danneggiato» un magistrato militare che eserciti le sue funzioni nella medesima sede territoriale; detta situazione non giustifica la competenza derogatoria neanche sotto il profilo legato all’esigenza di tutela dell’immagine «pubblica» della neutralità della giustizia, stante l’assenza di qualunque collegamento concreto nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali tra magistrati militari ed ordinari.
In senso contrario non depone l’equiparazione tra magistrati militari e magistrati ordinari prevista nell’art. 52, commi 1 e 4,del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66 – Codice dell’ordinamento militare Magistrati militari («1. I magistrati militari sono distinti secondo le funzioni esercitate e sono equiparati ai corrispondenti magistrati ordinari. 4. Lo stato giuridico, le garanzie d’indipendenza, l’avanzamento e il trattamento economico dei magistrati militari sono regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati ordinari, in quant applicabili»). Detta, norma, infatti, estende ai magistrati militari le garanzie di autonomia ed indipendenza, sia di tipo organizzativo che funzionale, riconosciute dall’ordinamento ai magistrati ordinari, ma non introduce interferenze tra i due ordini suscettibili di ingenerare nell’opinione pubblica la convizione di una comune appartenenza dei magistrati ordinari e militari ad un unico organo di giustizia e non rende, pertanto, necessaria quella particolare tutela rafforzata dell’imparzialità e dell’immagine dell’organo giudicante nel singolo procedimento che giustifica la disciplina derogatoria di cui all’art. 11 cod. proc. pen.
3. Il conflitto negativo deve pertanto essere risolto con la trasmissione degli atti restituiti al Tribunale di Verona.
P.Q.M.
atti. Dichiara la competenza del Tribunale di Verona cui dispone trasmettersi gli
Così deciso in Roma il 22 novembre 2019.