Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33972 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33972 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
sul conflitto di competenza sollevato da:
GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI DI PERUGIA nei confronti di:
GIP TRIBUNALE DI ROMA
con l’ordinanza del 20/05/2025 del GIP TRIBUNALE di PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi la competenza dell’Autorità giudiziaria di Perugia.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Perugia – investito della opposizione alla richiesta di archiviazione proposta dalla persona offesa NOME COGNOME nel procedimento a carico di numerose persone sottoposte ad indagini per i reati di cui agli artt. 323 e 328 cod. pen. commessi in Napoli, tra cui il magistrato NOME COGNOME e di altri colleghi operanti nel
distretto della Corte di appello di Napoli – ha sollevato conflitto negat competenza investendo la Corte di cassazione ai sensi degli artt. 28 e seg. proc. pen.
Il giudice rimettente premette di essere stato investito della tratt dell’odierno procedimento penale a seguito dell’ordinanza, in data 08 magg 2023, con cui il G.i.p. del Tribunale di Roma aveva dichiarato la pro incompetenza funzionale a decidere l’opposizione proposta dal difensore del persona offesa NOME avverso la richiesta di archiviazione formulata dal locale Ufficio del pubblico ministero in data 28 febbraio 2022.
A sostegno della decisione il G.i.p. capitolino evidenziava che tra gli ind vi era il magistrato NOME COGNOMECOGNOME COGNOME lo stesso ricopriva l’uffi Procuratore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e che, pertanto, doveva ess applicata la speciale regola attributiva della competenza prevista dall’art. cod. proc. pen. con estensione anche ai fatti connessi ai sensi dell’artic cod. proc. pen. a quello ascritto a COGNOMECOGNOME
Ricevuti gli atti, il pubblico ministero procedente aveva disposto la trasmissione al Procuratore della Repubblica del Tribunale di Perugia, che, infine aveva avanzato nuova richiesta di archiviazione.
Secondo il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Perugia argomentazioni giuridiche poste dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma a fondamento della dichiarazione di incompetenza non sono condivisibili ed è, quindi, necessario sollevare conflitto negativo di competenza.
Osserva il Giudice perugino che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice confliggente ed in conformità a quanto di recente statuito dalla giurisprudenza di legittimità in un caso sovrapponibile (Sez. 1, n. 43866 del 23/10/2024, Corte, Rv. 287100 – 01), la regola determinativa della competenza prevista dall’art. 11-bis cod. proc. pen., attraverso il richiamo all’art. 11 co proc. pen non si applica ai magistrati della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che sono chiamati a svolgere funzioni in ambito RAGIONE_SOCIALE, senza limiti territoriali prefissati.
Pur a fronte del rinvio testuale operato dall’art. 11-bis cod. proc. pen. all’ 11 cod. proc. pen. – che individua come criterio di collegamento l’esercizio funzioni giudiziarie in un ufficio compreso in un determinato distretto di cor appello- resta il dato ineludibile della inapplicabilità della regola attribut competenza prevista dall’art. 11-bis cod. proc. pen. nei confronti di magis che esercitano funzioni in ambito RAGIONE_SOCIALE.
L’art. 11 bis cod. proc. pen. regolamenta l’ipotesi residuale in
magistrato della RAGIONE_SOCIALE sia applicato ad una delle direzioni RAGIONE_SOCIALE previste dall’art. 105 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sempre che il fatto oggetto del procedimento penale rientri, ordinariamente, nella competenza dell’ufficio giudiziario presso il quale è stata disposta l’applicazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il conflitto sussiste, in quanto due giudici contemporaneamente ricusano la cognizione del medesimo fatto loro deferito, dando così luogo alla situazione di stallo processuale prevista dall’art. 28 cod. proc. pen., la cui risoluzione demandata a questa Corte di legittimità dalle norme successive.
Il conflitto va risolto dichiarando la competenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma..
E’ pacifico ed incontestato che nel procedimento interessato al conflitto, tra gli indagati dei reati contestati vi è un magistrato all’epoca dei fatti in servi presso la Procura della Repubblica di Napoli, il dottor COGNOME, successivamente nominato Procuratore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
L’autorità giudiziaria romana ha ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 11, comma 2, cod. proc. pen., osservando che il procedimento, inizialmente spostato a Roma ai sensi dell’art. 11, comma 1, cod. proc. pen. – in quanto ufficio giudiziario competente per i procedimenti relativi a reati che coinvolgono magistrati che prestano servizio nel distretto di Napoli – non poteva più proseguire in quella sede, avendo il dottor COGNOME, nelle more, assunto le sue funzioni presso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che ha sede a Roma. Pertanto, gli atti dovevano essere trasmessi all’autorità giudiziaria di Perugia, competente per i procedimenti relativi a reati che coinvolgono magistrati che prestano servizio nel distretto di Roma.
La decisione favorevole alla competenza del Tribunale di Perugia è fondata su un’interpretazione del sistema normativo delineato dagli artt. 11 e 11-bis cod. proc. pen. erronea nei termini già chiariti dalla sentenza di questa prima sezione penale, la n. 43866 del 23/10/2024 Rv. 287100 – 01, ricordata dal Giudice che ha sollevato il conflitto, nonché dalla sentenza n. 26263 del 27/05/2025, non massimata.
3.1. L’art. 11 cod. proc. pen., in deroga alle regole ordinarie di attribuzione della competenza per territorio previste dalle precedenti disposizioni, attribu ce
la competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, siano essi indagati, imputati, persone offese o danneggiate dal reato, al giudice competente per materia «che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge», indicato nella tabella A allegata all’art. 1 disp. att: cod. proc. pen.
La ratio di tale di eccezione al principio generale del giudice naturale è stata individuata dalla giurisprudenza costituzionale nell’esigenza di «tutelare il diritt di difesa del cittadino imputato e gli interessi del magistrato danneggiato o offeso dal reato», e, contestualmente, in quella di «garantire la terzietà e l’imparzialità del giudice», attraverso un sistema che, individuando ex ante ed in via astratta la regola disciplinatrice della competenza territoriale, non vulnera l’art. 25 Cost. (Corte cost., sent. n. 390 del 15 ottobre 1991).
Nella sentenza n. 381 del 30 settembre 1999 la Consulta ha chiarito che la scelta del legislatore di prevedere, in deroga alle regole generali, «una particolare disciplina della competenza per i procedimenti che riguardano i magistrati, quando il magistrato interessato al processo eserciti le sue funzioni nello stesso ufficio che sarebbe competente per il giudizio, oppure in altro ufficio a questo collegato da un rapporto organizzativo o funzionale, sì da poter far dubitare della indipendenza ed imparzialità del giudice» è pienamente rispettosa dei princìpi costituzionali, in particolare di quelli posti a presidio dell’indipenden e dell’imparzialità del giudice, «che costituiscono presupposto e requisito essenziale di ogni giusto processo».
Tale meccanismo di spostamento della competenza anche se determinata dalla qualità di uno dei soggetti del processo, prosegue il Giudice delle leggi, «rimane nell’ambito della logica propria dei criteri di determinazione della competenza, in quanto ancorata ad elementi oggettivi di luogo e di tempo (nella specie costituiti dall’ufficio presso il quale il magistrato esercita o esercitava funzioni al momento del fatto) ».
Trattandosi, tuttavia, di spostamento eccezionale dell’ordinaria competenza territoriale fondata sulle funzioni svolte da uno dei soggetti del processo è, però, «sempre necessario che siano delimitati l’estensione e l’ambito territoriale della deroga. Altrimenti, considerando nella sua più ampia latitudine l’incidenza di tali funzioni ed il rapporto di colleganza tra magistrato- giudice e magistrato-parte del processo, la deroga alla competenza sarebbe tale da potersi tradurre nella incompetenza di qualsiasi ufficio giudiziario, sino a non rendere possibile l’esercizio della stessa giurisdizione. Questi limiti non sono superati dal criterio territoriale e temporale di deroga alla ordinaria competenza stabilito dall’art. 11 cod. proc. pen., che «attribuisce rilievo, dal punto di vista territoriale, a funzioni esercitate dal magistrato nell’ambito del distretto giudizi lo, che
costituisce una unità organizzativa e funzionale che comprende l’ufficio di appartenenza, e, dal punto di vista temporale, alla coincidenza di tali funzioni con il servizio prestato al momento del giudizio o al momento del fatto per il quale si procede».
Nell’ordinanza n. 163 del 2013, la Corte costituzionale, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale «dell’art. 11 del codice di procedura penale, nella parte in cui non comprende nella disciplina dei procedimenti riguardanti magistrati – che attribuisce ai giudici di altro distretto la relativa cognizione quando il fatto riguardi persona che svolga funzioni giudiziarie nel distretto del giudice che sarebbe competente secondo le regole ordinarie, oppure le svolgesse al momento del fatto – il caso in cui la persona interessata abbia cessato di appartenere all’ordine giudiziario, quanto meno per un apprezzabile lasso di tempo successivo alla detta cessazione» ha ribadito che «spetta al legislatore il compito di individuare, secondo criteri d ragionevolezza, situazioni di consuetudine professionale e di colleganza tali da giustificare, in via generale ed astratta, una deroga agli ordinari criteri determinazione della competenza, tra i quali è compreso il nesso tra luogo del fatto e luogo del giudizio (da ultimo, sentenze n. 432 del 2008, n. 287 del 2007, n. 147 del 2004, n. 332 del 2003, n. 444 del 2002, n. 349 del 2000)».
Aggiunge la Consulta che, tenuto conto della «necessità di ridurre al minimo indispensabile, in base a criteri di immediato apprezzamento, l’eccezione ai criteri generali» e comunque della previsione da parte dell’ordinamento di altri istituti, quelli della astensione e della ricusazione, finalizzati a dare «fisiolog soluzione alle eventuali particolarità di singoli casi», in subiecta materia non è possibile fare ricorso all’analogia ampliando a casi simili la sfera di applicazione del secondo comma dell’art. 11 (“Se nel distretto determinato ai sensi del comma 1 il magistrato stesso è venuto ad esercitare le proprie funzioni in un momento successivo a quello del fatto, è competente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d’appello determinato ai sensi del medesimo comma 1.”).
3.2. Non è stato mai messo in discussione che la disciplina dell’art. 11 cod. proc. pen., in ragione del chiaro tenore letterale della disposizione codicistica (che si riferisce espressamente ai « procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di … che secondo le norme di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto»), non trova applicazione con riguardo ai magistrati della Corte di cassazione, trattandosi di ufficio giudiziario avente competenza naziona : nello
statuire il principio, Sez. 6, n. 30760 del 13/05/2009, COGNOME, Rv. 244641 – 01, ha chiarito che «La norma in esame, nel prevedere una deroga alle ordinarie regole di competenza per l’ipotesi in cui in base ad esse la cognizion procedimenti riguardanti un magistrato apparterrebbe ad “un ufficio giudiziario compreso nel distretto di Corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni”, non può che riferirsi ai giudici di merito e ai magistrati del P.M. addett ad un Tribunale o ad una Corte di Appello», non potendo, dunque trovare applicazione «in relazione ai processi riguardanti magistrati della Corte di Cassazione, la quale, avendo competenza RAGIONE_SOCIALE, non appartiene ad alcun distretto di Corte di Appello».
Tale scelta è stata condivisa anche dalla giurisprudenza civile. Le Sezioni unite della Corte di cassazione che, con riferimento ai giudizi di responsabilità civile promossi contro lo Stato, in base alla I. n. 117 del 1988, hanno affermato il principio secondo cui «quando più giudici, di merito e di legittimità, cooperino a fatti dolosi o colposi anche diversi nell’ambito della stessa vicenda giudiziaria, la causa è necessariamente unitaria e la competenza per territorio deve essere attribuita per tutti secondo il criterio di cui all’ar c.p.p., richiamato dall’art. 4, comma 1, I. cit.; qualora, invece, tali giud abbiano ad oggetto solo i comportamenti, atti o provvedimenti dei magistrati della Corte di cassazione, non si applica lo spostamento di competenza previsto dal menzionato art. 11 c.p.p. e, pertanto, la competenza per territorio è attribuita ai sensi dell’art. 25 c.p.c. secondo la regola del “forum commissi delicti”, sicché spetta in ogni caso al Tribunale di Roma, quale foro del luogo in cui e sorta l’obbligazione» (Cass. Civ. Sez. U. n. 14842 del 07/06/2018, nella cui motivazione di legge «la Corte di cassazione è … un ufficio di rilevanza RAGIONE_SOCIALE, riguardo al quale non è prospettabile alcun collegamento con un distretto di corte d’appello geograficamente inteso. La circostanza che la Suprema Corte operi a Roma, come previsto dall’art. 65, secondo comma, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, si collega al fatto che essa è «organo supremo di giustizia» che «assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo RAGIONE_SOCIALE, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni» (art. primo comma, cit.); e la sua collocazione è conseguente al ruolo di capitale d’Italia che spetta alla città di Roma. Ciò non significa, però, che la Corte di legittimità faccia parte o abbia qualche forma di collegamento con il distretto della Corte d’appello di Roma … Le Sezioni Unite sono consapevoli del fatto che in questo modo potrebbe, in astratto, porsi un problema di concentrazione del contenzioso presso un’unica sede giudiziaria. Si tratta, però, di un rischio contenuto, perché tale ipotesi riguarda una parte limitata dei giudizi di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
responsabilità civile, cioè appunto quelli che hanno ad oggetto i comportamenti dei soli magistrati della Corte di cassazione con esclusione di quelli di merito».
Nella stessa prospettiva Cass. Civ. Sez. U -n. 24631 del 04/11/2020, Rv. 659452 – 03), ha affermato che «nei procedimenti dinanzi alla Sezione disciplinare del CSM non trovano applicazione le regole di attribuzione della competenza per territorio dettate nell’art.11 c.p.p., avuto riguardo all’unicità dell’organo giurisdizionale, che opera a livello RAGIONE_SOCIALE»; mentre Cass. Civ. Sez. 6 – 1, n. 612 del 11/01/2022, Rv. 663914 – 01, occupandosi dei giudizi di responsabilità civile promossi contro lo Stato che abbiano ad oggetto comportamenti, atti o provvedimenti dei magistrati appartenenti alla sezione giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei Conti, ha statuito che «non si applica lo spostamento di competenza previsto dall’art. 11 c.p.p., poiché agli uffici di vertice delle giurisdizioni speciali è del tutto estraneo il concett “ufficio compreso nel distretto di Corte d’appello”, menzionato in tale articolo, e la loro rilevanza RAGIONE_SOCIALE consente di estendere ai magistrati che vi appartengono la disciplina prevista per i giudici di legittimità, con la conseguenza che la cognizione della causa è sempre attribuita, secondo i criteri ordinari, al Tribunale di Roma, ai sensi dell’art. 25 c.p.c., quale “forum commissi delicti”».
L’art. 11 bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2 legge 2 dicembre 1998, n. 420, stabilisce che la competenza per i procedimenti che vedono quale indagato, imputato, persona offesa o persona danneggiata dal reato un magistrato addetto alla RAGIONE_SOCIALE appartiene al «giudice determinato ai sensi dell’articolo 11».
4.1. Come già chiarito dalla sentenza Sez. 1, n. 43866 del 23/10/2024, Corte, Rv. 287100 – 01, non si tratta di una disposizione che detta una regola di attribuzione della competenza valida per tutti i procedimenti in cui assume la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato un magistrato addetto alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui all’articolo 76- bis dell’ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.
La RAGIONE_SOCIALE è istituita ai sensi dell’art. 103 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (e, prima dell’entrata in vigore del codice RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 76-bis R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), «nell’ambito della Procura generale della Corte di cassazione»: la sua competenza, estesa all’intero territorio RAGIONE_SOCIALE.
Di conseguenza, i magistrati assegnati alla RAGIONE_SOCIALE che non svolgono funzioni territoriali, o meglio “RAGIONE_SOCIALE“, ma, al pari di quelli in servizio presso la Corte di cassazione o presso a Procura
generale della Corte di cassazione o dei componenti della Sezione disciplinare del CSM o della Sezione giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei Conti, hanno una dimensione operativa di carattere RAGIONE_SOCIALE, continuano ad essere sottratti all’applicazione della disciplina dell’art. 11 cod. proc. pen., il cui cri territoriale e temporale di deroga alla ordinaria competenza per territorio è ancorato dall’art. 11 cod. proc. pen. in via esclusiva sulle funzioni esercitate dal magistrato nell’ambito del “distretto giudiziario”.
Non a caso Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 2005, Scabbia, Rv. 229633 – 01, nell’affrontare dell’applicabilità dell’art. 11 cod. proc. pen. alla partico categoria di giudici costituita all’epoca dai vice pretori ha tenuto a precisare che i legislatore rendendo, alla luce della formulazione dell’art. 11 cod. proc. pen., rilevante ogni procedimento attribuibile a un qualsiasi ufficio dell’intero distrett nel cui ambito operi il soggetto interessato «ha voluto evidentemente rafforzare in modo particolare la tutela dell’immagine della terzietà agli occhi del pubblico, al di là del grado più a meno intenso dei rapporti intersoggettivi di colleganza, che s’instaurano all’interno dell’area RAGIONE_SOCIALE. In relazione alla “ratio”, co definita, della disciplina speciale vigente, è evidente che il presupposto saliente per l’insorgere di quella situazione di comune appartenenza, con il connesso più agevole sviluppo di relazioni soggettive, da cui scaturisce, o si teme possa scaturire, il condizionamento psicologico idoneo a minare l’imparzialità del giudizio, è costituito dalla stabilità, e cioè dalla continuatività riconosci formalmente per un arco temporale significativo, dell’incarico assunto dal magistrato onorario coinvolto nel procedimento penale, in un ufficio giudiziario compreso nel distretto ove il procedimento stesso dovrebbe essere celebrato». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.2. Come si evince dal richiamo integrale alla disciplina dell’art. 11 cod. proc. pen., l’ambito di applicazione dell’art. 11-bis cod. proc. pen. è circoscritto ai soli procedimenti in cui il magistrato addetto alla RAGIONE_SOCIALE, che assume la qualità di indagato, imputato, persona offesa o persona danneggiata dal reato, sia stato applicato ad una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 105 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, quindi ad un Ufficio che competenza “RAGIONE_SOCIALE“, sempre che il fatto oggetto del procedimento penale rientri, ordinariamente, nella competenza dell’ufficio giudiziario presso il quale è stata disposta.
L’art. 105 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, dispone che i magistrati addetti alla RAGIONE_SOCIALE possono essere applicati temporaneamente alle direzioni RAGIONE_SOCIALE, per la trattazione dei procedimenti relativi ai delitti indicati nei commi 3-bis e 3-quater dell’art. 51 cod. proc. pe quando gli stessi siano «di particolare complessità» o «richiedono ecifiche
esperienze e competenze professionali».
Si tratta di un’ipotesi di applicazione che, contrariamente a quelle previste per i magistrati della Corte di cassazione e della Procura generale o dalla normazione secondaria (per esempio dagli artt. 18 e 131 della Circolare CSM del 20.6.2018 e successive modifiche per assicurare il regolare svolgimento della funzione giurisdizionale dell’ufficio di provenienza e la definizione di uno o più procedimenti penali già incardinati) oppure dalla legislazione speciale (per esempio nella materia della protezione interRAGIONE_SOCIALE), ha carattere non eccezionale ma per così dire fisiologico ed è stata perciò ritenuta dal legislatore meritevole di una disciplina specifica destinata ad integrarsi con quella, prevista dai precedenti artt. da 8 a 10 cod. pen., applicabile a tutti gli appartenenti all giurisdizioni a carattere RAGIONE_SOCIALE, compresi i magistrati addetti alla RAGIONE_SOCIALE, in ragione dell’assenza di un collegamento di natura funzionale ed organica con una porzione del territorio.
Quando tale peculiare applicazione in un singolo distretto ha luogo e, quindi, si verifica, un vero e proprio incardinamento stabile, anche se temporaneo, del magistrato presso l’ufficio di destinazione, trova applicazione, per tutto il tempo della sua durata, la speciale competenza derogatoria prevista dall’art. 11 bis cod. proc. pen., quando il fatto oggetto del procedimento penale rientri, ordinariamente, nella competenza dell’ufficio giudiziario presso il quale è stata disposta l’applicazione, sicché il procedimento che sarebbe stato di competenza dell’ufficio giudiziario ricompreso nel distretto di applicazione diviene d competenza dell’ufficio giudiziario individuato ai sensi degli artt. 11, comma 1, cod. proc. pen., e 1 disp. att. cod. proc. pen.
Gli argomenti svolti dal Procuratore generale nelle memorie conclusive anche attraverso il richiamo al provvedimento di recente adottato dal suo Ufficio ai sensi dell’art. 54 cod. proc. pen. per rivolvere la medesima questione di competenza non colgono nel segno.
Non è decisivo il tenore letterale dell’art. li-bis cod. proc. pen..
Tale disposizione non può essere letta isolatamente; va necessariamente coordinata con quella dell’art. 11 cod. proc. pen., espressamente richiamata, che indica tra i presupposti della regola attributiva della competenza speciale e derogatoria il carattere RAGIONE_SOCIALE dell’ufficio in cui il magistrato “esercit proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto” («I procedimenti … sono di competenza del giudice determinato ai sensi dell’articolo 11»).
Equivoci sono i lavori preparatori.
La relazione esplicativa dell’introduzione della nuova disposizione fa
•
effettivamente riferimento alla necessità di estendere ai magistrati della RAGIONE_SOCIALE «lo stesso criterio valido per gli altri magistrati» ma tale equiparazione, in assenza di altre specificazioni, sembra essere riferita non agli altri magistrati di merito ma ai magistrati, come quelli addetti alla RAGIONE_SOCIALE, assegnati alle giurisdizioni con competenza RAGIONE_SOCIALE.
Non modificano il quadro normativo in modo così rilevante da consentire una interpretazione sistematica diversa da quella proposta né il d.lgs. n. 25 del 2006, che attribuisce al RAGIONE_SOCIALE giudiziario presso la Corte d’Appello di Roma (e non al RAGIONE_SOCIALE della Corte di cassazione) la competenza su pareri, promozioni, avanzamenti e sullo status dei magistrati della DNAA iné il d.lgs. n. 35 del 2008 in materia di elezioni del RAGIONE_SOCIALE direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari
Come sottolineato dallo stesso Procuratore generale nelle sue pregevoli conclusioni, tali norme, successive all’introduzione dell’art. 11-bis cod. proc. pen., prevedono un collegamento amministrativo e ordinamentale tra RAGIONE_SOCIALE e Corte di appello di Roma, ma non prevedono, neanche indirettamente, alcuna interferenza tra i due uffici citati sul piano dell’attività giurisdizionale così pregante da far dubitare della indipendenza ed imparzialità del magistrati collegati e da imporre , in assenza di una specifica previsione legislativa, la deroga agli ordinari criteri di determinazione della competenza, deroga che, come chiarito dalle ricordate pronunce della Corte costituzionale, costituisce un istituto eccezionale.
In conclusione, la tesi alternativa a quella accolta dal Collegio si scontra con un dato insuperabile, evincibile dalla chiara lettera dell’art. 11 cod. proc. pen. richiamato espressamente dal successivo art. 11-bis: il criterio di collegamento costituito dall’esercizio delle funzioni in un distretto di corte di appello non è nessun modo riferibile ai magistrati addetti alla RAGIONE_SOCIALE, che svolgono attività giurisdizionale in ambito RAGIONE_SOCIALE, e nemmeno consente per le stesse ragioni di individuare il distretto viciniore nel cui ambito eserciti funzioni il giudice da ritenere competente, a nulla rilevando a tal fine che la sede di servizio, per ragioni logistiche e pratiche di organizzazione del servizio, sia l città di Roma.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, deve rilevarsi che, dovendosi sempre guardare – a mente dell’art. 11 cod. proc. pen. – al «distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni», e venendo nel caso di specie in rilievo la posizione del Procuratore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed
RAGIONE_SOCIALE, che quelle funzioni svolge in relazione all’intero territori RAGIONE_SOCIALE, deve, dunque, essere dichiarata la competenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, al quale vanno trasmessi gli atti per il prosieguo.
La piena condivisione dei principi espressi dalle sentenze n. 43866/2024 del 23 ottobre 2024 e n. 26263/2025 del 27/05/2025 emesse da questa sezione in data recente rende inaccoglibile la richiesta dal Procuratore generale di rimettere la questione sin qui esaminata alle Sezioni Unite.
Non ricorrono le condizioni indicate dall’art. 618 cod. proc. pen.
Il denunciato contrasto, infatti, non si è posto tra decisioni di questa Corte di cassazione ma tra le citate sentenze di questa sezione ed un provvedimento, quello emesso dal Procuratore generale della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 54 cod. proc. pen., che, tuttavia, non ha natura giurisdizionale ma organizzativa (Sez. 1, n. 29343 del 28/04/2009, Graziano, Rv. 244325 – 01).
P.Q.M.
Decidendo sul conflitto, dichiara la competenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, cui dispone trasmettersi gli atti..
Così deciso, in Roma 16 settembre 2025.