Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43866 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43866 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul conflitto di competenza sollevato da: Corte di Appello di Firenze nei confronti di
Corte di Appello di Roma
con l’ordinanza del 19/12/2023 della Corte di Appello di Firenze; letti gli atti, il provvedimento che ha sollevato il conflitto e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi la competenza della Corte di Appello di Roma.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’i giugno 2021, la Corte di Appello di Roma – dinanzi alla quale si discutevano gli appelli, presentati dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Roma e da NOME COGNOME avverso la sentenza dell’Il luglio 2016 del Tribunale di Roma, che aveva assolto NOME COGNOME e NOME COGNOME e condannato il COGNOME per i delitti di diffamazione aggravata e calunnia commessi in danno dei magistrati, all’epoca dei fatti in servizio nella Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME dichiarava la propria incompetenza funzionale ai sensi dell’art. 11 bis cod. proc. pen., rilevando che
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nelle more del giudizio di appello il dottor COGNOME COGNOME aveva assunto la funzione di Procuratore Nazionale Antimafia, e il dottor COGNOME era stato nominato Procuratore della Repubblica di Perugia: in conseguenza delle funzioni assunte dal dottor COGNOME COGNOME presso un ufficio avente sede in Roma, si riteneva che fosse venuta meno, ai sensi dell’art. 11, comma 2, cod. proc. pen., la competenza dell’autorità giudiziaria romana; si riteneva, altresì, che le funzioni medio tempore assunte dal dottor COGNOME impedissero di ritenere competente l’autorità giudiziaria perugina; veniva, dunque, disposta, proprio sulla base delle funzioni ricoperte dal dottor COGNOME, la trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria fiorentina.
2. Con ordinanza del 19 dicembre 2023 la Corte d’appello di Firenze ha sollevato conflitto negativo di competenza, rilevando che «il regime dei magistrati in forza alla Direzione Nazionale Antimafia è sui generis, poiché tale ufficio è istituito nell’ambito della Procura generale presso la Corte di cassazione»: poiché quei magistrati svolgono funzioni di merito ed hanno una competenza senza limiti territoriali, il generico richiamo dell’art. 11 bis cod. proc. pen. all’art. 11 cod. proc. pen. deve essere inteso nel senso che ai magistrati in forza alla Direzione Nazionale Antimafia – così come pacificamente accade per i consiglieri della Corte di cassazione e per i procuratori della Procura Generale presso la stessa – non si applica la regola generale dettata dall’art. 11 cod. proc. pen., salvo che gli stessi non siano applicati ad una procura distrettuale, poiché solo in questo caso «appare concreto il rischio che il procedimento che lo interessa non si svolga con la dovuta serenità ed imparzialità».
Ragionando diversamente, argomentano i giudici fiorentini, dovrebbe concludersi nel senso che tutti i procedimenti riguardanti i magistrati della Direzione Nazionale Antimafia dovrebbero essere trattati dall’autorità giudiziaria perugina, per il solo fatto che quell’ufficio ha sede nel distretto di Corte d’appell di Roma: ma si tratta, ad avviso del giudice remittente, di conclusione che confligge con la ratio della norma che riposa, come si ricava dalle motivazioni di Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 229632 – 01, «nell’esigenza particolarmente marcata nel processo penale (stante la natura degli interessi coinvolti e l’assenza della mediazione dell’impulso paritario delle parti: v. Corte Cost. sent. n. 51/1998 e n. 147/2004) di evitare che il rapporto di colleganza e normale frequentazione, nascente dal comune espletamento delle funzioni nello stesso plesso territoriale, possa inquinare, anche solo nelle apparenze, l’imparzialità di giudizio».
Nel caso di specie, non evincendosi dagli atti, né dalla motivazione della sentenza dell’i giugno 2021, che il dottor COGNOME COGNOME avesse esercitato le
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sue funzioni in relazione ad indagini svolte ovvero a processi celebrati presso le sedi giudiziarie del distretto romano, non vi erano ragioni per spostare la sede di svolgimento del processo.
Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi la competenza della Corte di appello di Roma.
Si osserva che «La Direzione Nazionale Antimafia e antiterrorismo è istituita, ai sensi dell’art. 103, co. 1, del d.lgs. n.159/2011, nell’ambito della Procura generale presso la Corte di cassazione. I magistrati addetti alla Direzione Nazionale Antimafia svolgono funzioni di rilievo nazionale, al pari dei magistrati della Procura Generale presso la Corte di Cassazione e della Corte di Cassazione, agli stessi non si applica la deroga prevista dall’art. 11 del codice di rito penale, a meno che non risultino incardinati presso una Direzione Distrettuale antimafia».
Dunque, «Trova applicazione il principio affermato dalla Corte di legittimità, in fattispecie relativa al magistrato che svolge funzioni presso la Corte di Cassazione, secondo cui “La speciale competenza stabilita dall’art. 11 c.p.p. per i procedimenti in cui un magistrato assuma la qualità di indagato, di imputato o di persona offesa o danneggiata dal reato, non può trovare applicazione in relazione ai processi riguardanti magistrati della Corte di Cassazione, la quale, avendo competenza nazionale, non appartiene ad alcun distretto di Corte di Appello. La norma in esame, infatti, nel prevedere una deroga alle ordinarie regole di competenza per l’ipotesi in cui in base ad esse la cognizione dei procedimenti riguardanti un magistrato apparterrebbe ad , non può che riferirsi ai giudici di merito e ai magistrati del P.M. addetti ad un Tribunale o ad una Corte di Appello” (Cass. Sez. VI n. 30760 del 13.05.2009). Tale principio è in linea con quanto affermato, con riferimento ai magistrati onorari, dalle Sezioni Unite n. 292 del 2004 secondo cui il presupposto saliente per l’insorgere di quella situazione di comune appartenenza, con il connesso più agevole sviluppo di relazioni soggettive, da cui scaturisce, o si teme possa scaturire, il condizionamento psicologico idoneo a minare l’imparzialità del giudizio, è costituito dalla stabilità, e cioè dalla continuativ riconosciuta formalmente per un arco temporale significativo, dell’incarico assunto dal magistrato onorario coinvolto nel procedimento penale, in un ufficio giudiziario compreso nel distretto ove il procedimento stesso dovrebbe essere celebrato».
Poiché nel caso di specie non risulta che il dottor COGNOME COGNOME abbia svolto le funzioni di Procuratore nazionale Antimafia in relazione ad indagini e/o processi svolti presso le sedi giudiziarie del distretto romano, non ricorre il
presupposto di operatività della disciplina derogatoria di cui all’art. 11 cod. proc. pen., sicché «sussistono i presupposti per dichiarare la competenza, in merito al processo nei confronti di COGNOME NOME, ‘ovine NOME e COGNOME NOME, della Corte d’Appello di Roma».
Il difensore di fiducia di NOME COGNOME Avv. NOME COGNOME ha depositato memoria in data 15 ottobre 2024, chiedendo dichiararsi la competenza della Corte di appello di Perugia o in subordine di quella di Firenze.
Ritiene errata l’equiparazione, ai fini che qui rilevano, tra la Procura Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo e la Corte di Cassazione: tanto perché la speciale competenza indicata dagli artt. 11 e 11 bis cod. proc. pen. «ha natura eccezionale, come tale insuscettibile di estensioni o restrizioni», trattandosi di norme di stretta interpretazione, quanto perché alla Corte di Cassazione è rimessa «una competenza strettamente di diritto», ed i suoi giudici «mai potrebbero essere distaccati nei distretti d’appello», sicché non si può determinare «quel pericolo di inquinamento, anche puramente astratto, che non garantisce l’apparenza di effettiva terzietà», mentre invece la Procura Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo svolge le sue funzioni nella fase del merito (fase nella quale «è più pregnante il pericolo di turbativa alla serenità di giudizio, o l’apparenza di esso, che la norma mira ad escludere in radice»: così, in motivazione, Sez. 1, n. 1569 del 09/11/2023, dep. 2024, Gip Tribunale Potenza, Rv. 285582 – 01), con riferimento ai procedimenti per i delitti indicati nell’art. 51, commi 3 bis e 3 quater cod. proc. pen. e in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia e antiterrorismo, svolgendo indagini nei singoli distretti senza necessità di una applicazione «essendo, la propria competenza di merito, riconosciuta già dalla legge ex art. 371 bis cpp». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Pertanto, «nel caso di specie, il Dr. COGNOME COGNOME non solo esercitava le proprie funzioni di magistrato inquirente anche nella circoscrizione in cui si è svolto il procedimento di primo grado, ma egli aveva specifica competenza proprio in relazione al reato per cui il COGNOME era ed è imputato, cioè la minaccia aggravata ex art. 7, connessa al reato di calunnia e diffamazione per cui vi è procedimento attualmente radicato presso la Corte d’Appello di Firenze».
Peraltro, «l’attualità dello svolgimento delle funzioni nel distretto di Corte d’Appello dove è radicata la competenza territoriale ordinaria a nulla rileva, perché le funzioni svolte o da svolgere non sono la causa dello spostamento della competenza territoriale essendo la ratio della norma fondata sulla mera attitudine astratta al condizionamento del magistrato che sarebbe competente in via ordinaria».
All’esito di una puntuale analisi delle previsioni normative che riguardano le funzioni cui è preposto il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (egli, tra l’altro, esercita funzioni di impulso nei confronti dei Procuratori distrettuali fine di rendere effettivo il coordinamento delle attività di indagine, di garantire la funzionalità dell’impiego della polizia giudiziaria nelle sue diverse articolazioni e di assicurare la completezza e tempestività delle investigazioni; assicura il collegamento investigativo e applica ove ritenuto necessario magistrati della Direzione Nazionale e delle Procure distrettuali per specifiche e contingenti esigenze; avoca a sé le indagini preliminari nella ricorrenza di determinate ragioni specificate dalla legge; può acquisire copia degli atti rilevanti dei procedimenti istruiti dalle Procure distrettuali per i reati di cui all’articolo comma 3 bis, cod. proc. pen.; rende parere obbligatorio nei procedimenti incidentali cautelari riguardanti i collaboratori di giustizia), rileva che «tutte attività di competenza del PNAA attengono le indagini e, quindi, il merito delle regiudicande. Ed è altrettanto pacifico che tali attività il Procuratore Nazionale svolge nella sede di appartenenza, cioè Roma. Una cosa, infatti, è il riferimento alle indagini da coordinare nelle varie sedi regionali, o avocare a sé le stesse indagini, ovvero, ancora, l’influenza di dette attività specifiche in procedimenti radicati presso centri dislocati sull’intero territorio nazionale, altra cosa è il luog di svolgimento di tali attività . Ecco, allora, che il senso sotteso all’art. 11 bis cpp appare evidente anche con riferimento al magistrato che ricopre l’Ufficio di PNAA. Se così non fosse, dovremmo accettare l’ipotesi che il PNAA possa esercitare poteri dirompenti nell’ambito delle indagini condotte nel distretto in cui il processo a carico dell’imputato si svolge e nel quale egli è persona offesa, danneggiata, imputato o indagato senza che si possa opporre nei suoi confronti alcuna questione di incompatibilità. Tale opzione appare francamente inaccettabile». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ritiene, dunque, che la corretta esegesi degli artt. 11 bis e 11 cod. proc. pen. imponga di riconoscere la competenza della Corte di appello di Perugia o in subordine di quella di Firenze, sollecitando questa Corte, ove volesse discostarsi dalla proposta interpretazione delle norme, a sollevare questione di legittimità costituzionale, non potendosi accedere ad una interpretazione analogica delle stesse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il conflitto sussiste, in quanto due giudici contemporaneamente ricusano la cognizione del medesimo fatto loro deferito, dando così luogo alla situazione di
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stallo processuale prevista dall’art. 28 cod. proc. pen., la cui risoluzione è demandata a questa Corte dalle norme successive.
2. Il conflitto va risolto nel senso indicato dal giudice rimettente.
3. L’art. 11 cod. proc. pen. attribuisce la competenza per i procedimenti che vedono un magistrato quale indagato, imputato, persona offesa o persona danneggiata dal reato (in questi ultimi due casi, indipendentemente dalla circostanza che egli si sia – o meno – costituito parte civile: cfr. Sez. 5, n. 46098 del 12/11/2008, Giusti, Rv. 241996 – 01) al giudice competente per materia «che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge», indicato nella tabella A allegata all’art. 1 disp. att. cod. proc. pen. (una tabella “circolare”, che opera in forza di un criterio obiettivo ed immediato attraverso un meccanismo a catena), così eliminando qualsiasi sospetto di parzialità che deriverebbe dal rapporto di colleganza e dalla normale frequentazione tra magistrati operanti in uffici giudiziari del medesimo distretto di corte d’appello.
Come si è osservato in dottrina, attraverso l’introduzione dell’art. 11 cod. proc. pen. il legislatore ha inteso evitare l’appannamento, almeno a livello di immagine, della neutralità del giudice e la correlata flessione dell’indice di affidabilità del suo decisum a motivo di possibili influenze ambientali, prevedendo una sedes processuale derogatoria rispetto alle ordinarie regole determinative della competenza per territorio.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, l’art. 11 cod. proc. pen. costituisce un’eccezione al principio generale del giudice naturale, e trova la sua ratio nell’esigenza di «tutelare il diritto di difesa del cittadino imputato e gli interes del magistrato danneggiato o offeso dal reato», e, contestualmente, in quella di «garantire la terzietà e l’imparzialità del giudice», attraverso un sistema che, individuando ex ante ed in via astratta la regola disciplinatrice della competenza territoriale, non vulnera l’art. 25 Cost. (in questi termini, in motivazione, Corte cost., sent. n. 390 del 15 ottobre 1991): dunque, «lo spostamento della competenza si giustifica e costituisce un meccanismo tradizionalmente adottato dal legislatore, già nella prima codificazione unitaria (art. 37 cod. proc. pen. del 1865), pur se varia è la regolamentazione che si è succeduta nel tempo. L’art. 11 cod. proc. pen. ha stabilito lo spostamento della competenza territoriale secondo un criterio predeterminato ed automatico, diretto a rispondere al principio di precostituzione del giudice (art. 25 Cost.)» (Corte cost., sent. n. 381 del 30 settembre 1999).
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L’oramai consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene che si tratti di competenza di natura funzionale, e non meramente territoriale: il dictum di Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 229633 – 01, secondo cui «La speciale competenza stabilita dall’art. 11 cod. proc. pen. per i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato ha natura funzionale, e non semplicemente territoriale, con conseguente rilevabilità, anche di ufficio, del relativo vizio in ogn stato e grado del procedimento», è stato successivamente ribadito da Sez. 6, n. 16984 del 08/01/2008, COGNOME, Rv. 239639 – 01, e, ancor più di recente, da Sez. 1, n. 1569 del 09/11/2023, dep. 2024, Gip Tribunale Potenza, Rv. 285582 01.
Per quanto in questa sede rileva, vale rammentare che la Corte costituzionale ha giudicato non fondata la questione di legittimità dell’art. 11 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale nel caso in cui un magistrato, già in servizio nel distretto, assuma la qualità di persona offesa o danneggiata dal reato per fatti commessi successivamente al suo trasferimento, ma riferiti unicamente ed immediatamente all’esercizio delle funzioni che egli ha svolto in quel distretto (Corte cost., sent. n. 381 del 30 settembre 1999), e manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 11 cod. proc. pen., nella parte in cui non estende la deroga ai criteri di competenza territoriale ai magistrati che al momento del fatto avevano già cessato di appartenere all’ordine giudiziario (Corte cost., ord. n. 163 del 19 giugno 2013).
Diverso è, invece, il caso in cui il magistrato, successivamente al fatto, sia stato trasferito, o sia stato collocato fuori ruolo, o abbia cessato di appartenere all’ordine giudiziario: occorrendo farsi riferimento al momento del fatto (cfr. il tenore testuale dell’art. 11 cod. proc. pen., laddove parla di magistrato che «esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto»), tali eventi sono irrilevanti, come questa Corte ha statuito in relazione a magistrato sospeso dal servizio (Sez. 1, n. 1681 del 28/06/1977, COGNOME, Rv. 136494 – 01), cessato dal servizio (Sez. 1, n. 40145 del 23/09/2009, COGNOME, Rv. 245050 – 01, relativa a magistrato onorario, e Sez. 5, n. 38436 del 30/05/2019, COGNOME, n.m., relativa a magistrato professionale), collocato fuori ruolo (Sez. 1, 15 luglio 1979).
L’unica ipotesi in cui il trasferimento determina conseguenze sulla competenza del magistrato è quella disciplinata dall’art. 11, comma 2, cod. proc. pen.: ed invero, se il magistrato interessato al procedimento si trasferisce, andando ad assumere le funzioni proprio nel distretto che riconnprende l’ufficio giudiziario al quale dovrebbero essere trasmessi gli atti, si determina un ulteriore
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spostamento, poiché diviene competente «il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte di appello determinato ai sensi del medesimo comma 1».
Si è, conseguentemente, statuito che «Nel caso in cui la Corte di Cassazione, annullando con rinvio la sentenza relativa al procedimento nel quale un magistrato risulti persona offesa, individui il giudice competente non essendo a conoscenza del fatto che nel frattempo il magistrato stesso era stato trasferito in un ufficio giudiziario del distretto della corte di appello individuata quale giudice del rinvio, la competenza spetta alla corte di appello individuata, a seguito di tale trasferimento, ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen. (In motivazione, la S.C. ha osservato che il mancato coordinamento tra l’art. 11 cod. proc. pen., norma che intende garantire i basilari valori di imparzialità, trasparenza e terzietà del giudice, e l’art. 627 cod. proc. pen. non è di ostacolo ad una interpretazione sistematica e logica che consenta di introdurre un’eccezione, normativamente prevista quale regola generale, alla regola attributiva di competenza per il giudizio di rinvio)» (Sez. 1, n. 17807 del 02/04/2008, COGNOME, Rv. 240151 01).
Da ultimo, è opportuno sottolineare che dottrina e giurisprudenza di legittimità concordano circa il fatto che «La disciplina dell’art. 11 cod. proc. pen. in materia di competenza per i procedimenti riguardanti magistrati non trova applicazione con riguardo ai magistrati della Corte di cassazione, trattandosi di ufficio giudiziario avente competenza nazionale»: nello statuire il principio, Sez. 6, n. 30760 del 13/05/2009, COGNOME, Rv. 244641 – 01, ha chiarito che «La norma in esame, nel prevedere una deroga alle ordinarie regole di competenza per l’ipotesi in cui in base ad esse la cognizione dei procedimenti riguardanti un magistrato apparterrebbe ad “un ufficio giudiziario compreso nel distretto di Corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni”, non può che riferirsi ai giudici di merito e ai magistrati del P.M. addetti ad un Tribunale o ad una Corte di Appello», non potendo, dunque trovare applicazione «in relazione ai processi riguardanti magistrati della Corte di Cassazione, la quale, avendo competenza nazionale, non appartiene ad alcun distretto di Corte di Appello».
L’art. 11 bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2 legge 2 dicembre 1998, n. 420, stabilisce che la competenza per i procedimenti che vedono quale indagato, imputato, persona offesa o persona danneggiata dal reato un magistrato addetto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo appartiene al «giudice determinato ai sensi dell’articolo 11».
E’ interessante notare che – così come si evince dalla lettura dei lavori parlamentari – il testo inizialmente approvato dalla Camera dei Deputati
prevedeva che questa ipotesi venisse disciplinata dal comma 1-ter dell’art. 11 cod. proc. pen., nel modo che segue: «1-ter. I procedimenti in cui assume la qualità di un imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato un magistrato addetto alla Direzione nazionale antimafia di cui all’articolo 76bis dell’ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, sono di competenza del giudice che ha sede nel capoluogo del distretto della corte di appello di Roma»: si trattava, ad avviso del relatore, di una soluzione necessitata, «ritenendo di non potersi determinare altrimenti la competenza in ragione del particolare esercizio delle funzioni da parte dei suddetti magistrati».
Nel corso dell’esame in Senato, si decise di cancellare il comma 1-ter dell’art. 11 cod. proc. pen., e di inserire l’art. 11 bis cod proc. pen., nella formulazione ancora oggi vigente, al fine di disciplinare – come può leggersi nei lavori preparatori – «la competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati della Direzione nazionale antimafia, per i quali è previsto espressamente lo stesso criterio valido per gli altri magistrati».
Alla luce delle coordinate ermeneutiche che si sono fin qui analizzate, il conflitto deve essere risolto nel senso invocato dal giudice rimettente.
Il presente procedimento vede quali persone offese due magistrati all’epoca dei fatti in servizio presso la Procura della Repubblica di Napoli: il dottor NOME COGNOME COGNOME successivamente nominato Procuratore Nazionale Antimafia, ed oggi uscito dall’ordine giudiziario, ed il dottor NOME COGNOME oggi Procuratore della Repubblica di Perugia.
La corte d’appello di Roma ha ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 11, comma 2, cod. proc. pen., poiché il procedimento, già spostato ai sensi dell’art. 11, comma 1, cod. proc. pen. a Roma (ufficio giudiziario competente per i procedimenti relativi a reati che coinvolgono magistrati che prestano servizio nel distretto di Napoli), non poteva più proseguire in quella sede, avendo il dottor COGNOME COGNOME assunto le sue funzioni presso la Direzione Nazionale Antimafia, che ha sede a Roma; da ciò conseguiva la trasmissione degli atti non all’autorità giudiziaria perugina, competente per i procedimenti relativi a reati che coinvolgono magistrati che prestano servizio nel distretto di Roma (spostamento precluso dalla circostanza che il dottor COGNOME fosse medio tempore divenuto Procuratore della Repubblica di Perugia), ma a quella fiorentina, competente per i procedimenti relativi a reati che coinvolgono magistrati che prestano servizio nel distretto di Perugia.
La decisione è errata.
Ai sensi dell’art. 103 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (e, prima dell’entrata in vigore del codice antimafia, ai sensi dell’art. 76-bis R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo è istituita «nell’ambito della Procura generale della Corte di cassazione»: la sua competenza, estesa all’intero territorio nazionale, sottrae i magistrati ad essa addetti dalla generale applicazione dell’art. 11 cod. proc. pen, al pari di quanto avviene – come si è in precedenza illustrato – per i magistrati di questa Corte di cassazione.
Ed invero, se la ratio dell’istituto risiede nell’esigenza di «evitare che il rapporto di colleganza e normale frequentazione nascente dal comune espletamento delle funzioni nello stesso plesso territoriale possa inquinare, anche solo nelle apparenze, l’imparzialità del giudizio» (così, in motivazione, Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 229633 – 01), è conseguenziale ritenere che esso non può trovare applicazione in relazione a magistrati – quali quelli addetti alla Direzione nazionale antimafia e terrorismo che non svolgono funzioni territoriali ma hanno una dimensione operativa di carattere nazionale.
Residua, tuttavia, un ben delineato ambito di operatività all’art. 11 bis cod. proc. pen., norma che, se ci si fermasse all’affermazione appena fatta, sarebbe sostanzialmente priva di senso, e che, se si volesse invece prescindere dall’affermazione appena fatta, comporterebbe che i procedimenti relativi ai magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo dovrebbero essere trattati, sempre e comunque, dagli uffici giudiziari di Perugia: soluzioni, come è evidente, entrambi insoddisfacenti.
Ed invero, come espressamente previsto dall’art. 105 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, i magistrati addetti alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo possono essere applicati temporaneamente alle direzioni distrettuali, per la trattazione dei procedimenti relativi ai delitti indicati commi 3-bis e 3-quater dell’art. 51 cod. proc. pen., quando gli stessi siano «di particolare complessità» o «richiedono specifiche esperienze e competenze professionali».
Quando una tale evenienza si verifica, l’applicazione incardina il magistrato presso l’ufficio di destinazione, sia pure solo temporaneamente: in tali casi, limitatamente alla durata dell’applicazione, trova applicazione la speciale competenza derogatoria prevista dall’art. 11 bis cod. proc. pen., quando il fatto oggetto del procedimento penale rientri, ordinariamente, nella competenza dell’ufficio giudiziario presso il quale è stata disposta l’applicazione, sicché i procedimento che sarebbe stato di competenza dell’ufficio giudiziario ricompreso nel distretto di applicazione diviene di competenza dell’ufficio giudiziario
individuato ai sensi degli artt. 11, comma 1, cod. proc. pen., e 1 disp. att. cod. proc. pen.
In conclusione, deve essere affermato il seguente principio: «In tema di competenza, la disciplina dettata dall’art. 11 bis cod. proc. pen. si applica solo ove il magistrato addetto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, che assuma la qualità di indagato, imputato, persona offesa o persona danneggiata dal reato, sia stato applicato ad una direzione distrettuale antimafia ai sensi dell’art. 105 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, quando il fatto oggetto del procedimento penale rientri, ordinariamente, nella competenza dell’ufficio giudiziario presso il quale è stata disposta l’applicazione».
6. Sulla scorta delle considerazioni che precedono, deve rilevarsi che, dovendosi sempre guardare – a mente dell’art. 11 cod. proc. pen. – al «distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni», e venendo nel caso di specie in rilievo la posizione del Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, che quelle funzioni svolge in relazione all’intero territorio nazionale, non vi erano ragioni per spostare la sede di svolgimento del procedimento a carico del COGNOME, dello COGNOME e del COGNOME: deve, dunque, essere dichiarata la competenza della Corte di appello di Roma, alla quale gli atti vanno trasmessi per il prosieguo.
Rimane da rilevare che la questione di legittimità costituzionale abbozzata dal difensore del COGNOME nella memoria difensiva in atti è manifestamente infondata, non essendo stato neppure indicate le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono violate, così come prescritto dall’art. 23, comma 1, lett. b), I. 11 marzo 1953, n. 87.
P.Q.M.
Decidendo sul conflitto, dichiara la competenza della Corte di appello di Roma, cui dispone trasmettersi gli atti.
Così deciso il 23/10/2024.