Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30331 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30331 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/05/2025
SENTENZA
sul conflitto di competenza sollevato da:
TRIBUNALE CATANIA SEZ. MISURE PREVENZIONE nei confronti di:
TRIBUNALE CATANIA SEZ. LAVORO
RAGIONE_SOCIALE
IMPRESA DELLO STATO NOME
con l’ordinanza del 27/03/2025 del TRIBUNALE di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare la competenza del Tribunale di Catania – Sezione lavoro e, in subordibe, di differire la trattazione del ricorso a data successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite sul ricorso n. 29938 del 2024.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 27 marzo 2025, il Tribunale di Catania – Sezione misure di Prevenzione – ha sollevato conflitto di competenza con il Giudice del lavoro del Tribunale di Catania, il quale aveva dichiarato improponibile, innanzi a sé, la domanda di riconoscimento delle mansioni superiori e della conseguente differenza retributiva formulata nell’interesse di NOME COGNOME in riferimento all’attività svolta alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE e della Ditta COGNOME Francesco, rispettivamente, dal 4/10/2007 al 20/05/2011 e daL 23/05 2011 al 05/04/2014, per complessivi euro 133.868,47 euro oltre interessi e rivalutazione monetaria dal sorgere del credito sino al soddisfo; nonché del conseguente pagamento del TFR maturato e delle altre spettanze di fine rapporto.
1.1. Nell’ordinanza, in particolare, si riferisce che NOME COGNOME aveva già adito il giudice del lavoro di Catania che, con sentenza del 28 ottobre 2020 confermata dalla Corte d’appello in data 11 aprile 2024, aveva dichiarato «improponibile» la domanda relativa al riconoscimento di quanto sopra indicato, rigettando per il resto il ricorso, ritenendo la competenza del Tribunale di Catania, Sezione misure di prevenzione. In particolare, il Giudice del lavoro aveva declinato la propria competenza affermando che «coloro che acquistano il credito in funzione di soddisfare gli interessi della procedura stante che, nei loro confronti, l’utile della gestione viene a costituire un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento delle obbligazioni direttamente contratte dall’amministratore giudiziario con preferenza rispetto ai debiti aziendali sorti prima dell’esecuzione del sequestro, devono far valere le proprie pretese innanzi al giudice dell’esecuzione del provvedimento di prevenzione, sollecitando un’indagine, la cui estensione ed i cui strumenti sono diversi da quelli consentiti al giudice del lavoro (Cass. 30.03.2005, n. 6661)»; aggiungendo, altresì, che «i giudicati civili non possono certo invadere il campo proprio della giurisdizione penale e di prevenzione nell’accertamento dei diritti del terzo vantati su un bene oggetto di confisca. In questo caso l’interesse pubblico alla conservazione di un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato in forza dell’esito di un procedimento penale e/o di prevenzione esige che sia la stessa giurisdizione, che la natura crinninogena dell’azione o la pericolosità sociale del proposto ha accertato, a conoscere dei diritti di terzi, secernendo i
diritti dei terzi in buona fede da quelli che in buona fede non sono. Peraltro una chiara disarmonia si creerebbe nel sistema se si consentisse una diversità di rito procedimentale a seconda che i terzi siamo chiamati o meno a partecipare al giudizio di cognizione: nel primo caso pacifica la giurisdizione de/ giudice penale e/o di prevenzione, nel secondo, invece, essa dovrebbe cedere incoerentemente il passo ad una giurisdizione diversa, pur essendo identica la materia da giudicare. Le pretese dei terzi che vantano diritti su un bene confiscato ed entrato perciò stesso nel patrimonio dello Stato sono per giurisprudenza e dottrina, ampiamente tutelati attraverso la possibilità dell’opposizione avverso il primo provvedimento giudiziale e successivamente attraverso il ricorso per cassazione avverso la decisione che conclude il procedimento di opposizione (Cass. pen. 1848/11)».
1.2.Ciò precisato, il Tribunale di Catania ha ritenuto la propria incompetenza evidenziando una pluralità di argomenti; in primo luogo, ha affermato che il diritto azionato da NOME COGNOME consiste in un credito maturato nel corso del procedimento di prevenzione, ricadente nella fattispecie di cui all’art. 54 cod. antimafia, che stabilisce che «i crediti prededucibili sorti nel corso del procedimento di prevenzione che sono liquidi, esigibili e non contestati, non debbono essere accertati secondo le modalità previste dagli articoli 57, 58 e 59 e possono essere soddisfatti, in tutto o in parte, al difuori del piano di riparto, previa autorizzazione del giudice delegato».
Tuttavia, ha osservato il Tribunale che la domanda ha ad oggetto l’accertamento di un credito che si presenta contestato e non liquido, derivante, appunto, dal dedotto svolgimento di mansioni superiori.
Di conseguenza non sarebbe pertinente il richiamo del Giudice del lavoro ai principi sopra riportati perché – quanto alla sentenza della Corte di cassazione 30 marzo 2005 n. 6661 – afferenti ad una fattispecie in cui veniva in rilievo la posizione dei cd. terzi interessati, oggi ricadente nella disposizione di cui all’art. 23 cod. antimafia, per i quali si giustifica la cognizione del Giudice della prevenzione in ragione dell’incidenza della verifica dei relativi diritti sul bene confiscato.
Né, si è affermato, sarebbe pertinente il riferimento alla pronuncia della Corte di cassazione n. 1848 del 2011, concernente un caso in cui si discuteva di un diritto sull’azienda oggetto di confisca e una pretesa volta alla revoca del provvedimento ablativo e, dunque, relativo ad una
fattispecie differente dal caso in esame nel quale il COGNOME agisce in relazione a crediti derivanti da un rapporto giuridico con l’azienda stessa.
Inoltre, nell’ordinanza i giudici della prevenzione richiamano la giurisprudenza di legittimità in materia di crediti da lavoro sorti in epoca anteriore al sequestro di prevenzione, per i quali trova applicazione la procedura di accertamento di cui agli artt. 52 ss. codice antimafia (Cass. pen. 23881/24), affernnandosyn particolare, la competenza del giudice del lavoro, e non quello della prevenzione, a decidere sull’accertamento di un credito implicante a sua volta l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, al fine dell’ammissione al passivo a valere per il procedimento di prevenzione.
Si è evidenziato, in particolare, che il presupposto per l’inserzione della posta creditoria nel procedimento di prevenzione è che i crediti risultino da atti certi che siano antecedenti alla data del sequestro, sicché, in mancanza, si è ritenuto che tale accertamento dovesse necessariamente essere compiuto dal giudice del lavoro, in considerazione della sua competenza funzionale prevista e disciplinata dagli artt. 409 e ss. cod. proc. civ. Pertanto, l’accertamento del credito del lavoratore istante, ancora non compiuto e oggetto di contestazione, appartiene funzionalmente al giudice del lavoro, non potendo la verifica del giudice della prevenzione tener luogo della procedura cognitiva sull’ an e sul quantum del credito. Ciò anche in ragione della struttura semplificata del contraddittorio, di natura essenzialmente cartolare, regolato dall’art. 59 d.lgs. n. 159 del 2011.
Richiamati tali principi, nell’ordinanza si afferma che essi valgono anche nella fattispecie in esame, atteso che la domanda del COGNOME attiene a un credito maturato dopo il sequestro di prevenzione e che non presenta le menzionate condizioni di assenza di contestazione e liquidità di cui all’art. 54 cod. antimafia. Infatti, si rileva come nel caso in esame la domanda imponga un approfondimento sulla vigenza del rapporto di lavoro, sulla qualificazione e qualità, nonché sulle dedotte mansioni superiori.
A sostegno della competenza del giudice del lavoro, l’ordinanza richiama anche la giurisprudenza civile secondo cui nel riparto di competenze tra giudice del lavoro e giudice del fallimento il discrimine deve essere individuato nelle rispettive prerogative, spettando al primo, quale giudice del rapporto, le controversie riguardanti lo status del
lavoratore con riferimento ai diritti di corretta instaurazione, di vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive; mentre, al fine di garantire la parità tra i creditori, nella cognizione del giudice del fallimento rientrano le controversie relative all’accertamento e alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al concorso e con effetti endoconcorsuali, destinate cioè ad incidere nella procedura concorsuale.
Inoltre, richiamando la giurisprudenza civile in tema di fallimento del datore di lavoro, si evidenzia che la competenza funzionale del giudice del lavoro si spiega anche alla luce della necessità del lavoratore di tutelare la propria posizione lavorativa all’interno dell’impresa sia per l’eventualità della ripresa dell’attività, sia per tutelare diritti non patrimoniali e diritt previdenziali estranei all’esigenza della par condicio creditorum.
Ad avviso dei giudici della prevenzione queste argomentazioni debbono poter valere anche nel caso di specie.
Con requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo di dichiarare la competenza del Tribunale di Catania – Sezione Lavoro; in subordine, di differire la trattazione del ricorso a data successiva alla pronuncia delle Sezioni unite sul ricorso n. 29938 del 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In primo luogo, deve affermarsi che alcun dubbio sussiste in ordine all’ammissibilità del conflitto in quanto entrambi i giudici hanno espressamente ricusato di procedere all’esame della domanda di NOME COGNOME conseguendo da ciò una stasi del procedimento, che può essere superata solo con la decisione di questa Corte. Inoltre, deve ricordarsi che il giudice penale al quale vengano trasmessi gli atti dal giudice civile dichiaratosi incompetente, qualora ritenga di essere a sua volta non competente/deve trasmettere gli atti alla Corte di cassazione per la decisione del conflitto, vertendosi in una delle ipotesi di cui all’art. 28, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, Sentenza n. 31843 del 15/03/2019, Rv. 276822 – 01).
Tanto premesso, la competenza, nella fattispecie, appartiene al Tribunale di Catania, sezione lavoro, per le ragioni indicate di seguito.
Preliminarmente deve evidenziarsi che il rapporto di lavoro del Di Marco, instaurato nel 2004 con l’assenso dell’Agenzia del Demanio (cui, poi, è subentrata, nel 2010, l’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) fa seguito alla definitività, in data 23 marzo 1999, del provvedimento di confisca, circostanza questa che, peraltro, comporta l’esclusione della applicazione della disciplina di cui al d.lgs. n. 159 del 2011.
Trattandosi di rapporto di lavoro originatosi successivamente alla definitività della confisca e, dunque, dopo l’acquisizione dei beni confiscati al patrimonio indisponibile dello Stato, non vi è stato l’intervento del giudice delegato, ma soltanto della articolazione della P.A. che ha dato l’assenso all’ assunzione del personale mediante procedure di selezione pubblica, in modo da poter consentire la prosecuzione dell’attività aziendale.
Pertanto, all’acquisizione al patrimonio dello Stato dell’azienda confiscata consegue la cessazione dei poteri gestionali dell’autorità giurisdizionale di prevenzione procedente, con la conseguenza che le questioni che attengono al credito vantato dal lavoratore, in quanto non maturato nel corso del procedimento di prevenzione, sono oggetto della competenza del giudice del lavoro, non essendo assimilabili alle spese di gestione liquidabili dal Tribunale di prevenzione.
3.1. Quanto appena affermato si pone in linea di continuità con i principi stabiliti da questa Corte nella sentenza Sez. I, n. 30422 del 13 ottobre 2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 279736-01.
In tale arresto si è infatti, più in generale, affermato «che in ogni ipotesi in cui la legge (penale o di prevenzione patrimoniale) prevede la “confisca di beni, lì dove il provvedimento giurisdizionale che la dispone sia divenuto definitivo, i beni in questione sono acquisiti di diritto al patrimonio indisponibile dello Stato. In tal senso, la disposizione legislativa di cui all’art. 45 del d.lgs. n.159 del 2011 (dettata per la confisca di prevenzione) nella parte in cui prevede l’acquisizione di diritto dei beni confiscati al patrimonio dello Stato è meramente ricognitiva di un più generale principio giuridico, posto che la definitività della decisione giurisdizionale (contenente la statuizione di confisca) è condizione necessaria e sufficiente per la produzione di tale effetto. Sempre in via generale, va ricordato che i poteri
gestionali dei beni sequestrati – attribuiti con diverse disposizioni di legge alla autorità giudiziaria procedente – cessano con la definitività del provvedimento che dispone la confisca, essendo essenzialmente correlati alla fase del sequestro o alla fase della confisca non definitiva. Le competenze gestionali dell’autorità giudiziaria – penale o di prevenzione – si giustificano, infatti, se ed in quanto la “controversia” correlata alla potenziale ablazione patrimoniale sia ancora in atto, dovendosi in tal caso realizzare una forma sui generis di gestione dei beni “per conto di chi spetta” e sono espressamente regolamentate – in più disposizioni – dalla legge processuale in rapporto alla finalità di garantire la conservazione dei beni e, in casi particolari, la gestione dinamica in vista di un incremento della redditività dei medesimi. 5.3 La definitività del provvedimento di confisca, per quanto detto sopra, determina l’attribuzione di poteri gestori su detti beni in capo a soggetti pubblici diversi dall’autorità giurisdizionale che ha emesso la decisione – si tratta, nella maggior parte dei casi, della Agenzia Nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata o della Agenzia del Demanio (soggetti le cui competenze sono previste espressamente dalla legge con carattere tassativo, v. Sez. 3 n. 40394 del 4.6.2019) -, ferma restando l’esistenza di disposizioni che prevedono l’attribuzione di poteri tipici al giudice della esecuzione (penale o di prevenzione che sia), giudice cui spetta – nei limiti di legge – la interpretazione del giudicato, o la tutela di posizioni giuridiche soggettive in qualche modo ‘incise’ dalla intervenuta confisca (si veda ad es. la disciplina dettata dal d.lgs. n.159 del 2011 in tema di tutela dei terzi creditori). 5.4 Tuttavia la possibile attività di interpretazione del giudicato, nei suddetti limiti, è attività semplicemente ricognitiva dei suoi contenuti (v. sul tema Sez.1 n.36 del 9.1.1996, rv 202816; Sez. 1 n. 6701 del 22.10.2013, rv 259411; Sez, 1 n.16039 del 2.2.2016, rv 266624; Sez. 1 n. 14984 del 13.3.2019, rv 275063) e non comporta in alcun modo l’ attribuzione – al giudice che ha disposto la confisca – del potere di dirimere controversie in tema di diritti soggettivi venute in essere in epoca posteriore al giudicato o comunque, in qualche modo correlate alla esistenza del provvedimento ablatorio. 5.5 Nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità tale principio di diritto – avente natura di principio generale, in quanto relativo ai limiti operativi della giurisdizione penale – è stato espresso in maniera costante e si rinviene in numerose pronunzie. Tra queste, vanno menzionate : Sez. 1 n. 20793 del 28.4.2009, ove si è affermato che sussiste Corte di Cassazione – copia non ufficiale
il difetto della giurisdizione penale – in favore di quella civile – a conoscere della controversia tra l’Agenzia del Demanio – alla quale è stato trasferito un immobile a seguito di confisca definitiva – ed il proprietario della pertinente area di sedime, in ordine all’esercizio dei diritti reali relativi ai suddetti beni; Sez. 1 n. 15444 del 25.3.2010, ove si è parimenti rilevato il difetto di giurisdizione penale, in favore di quella civile, a conoscere della controversia in ordine allo sfratto ordinato al locatario di un immobile dall’Agenzia del Demanio, alla quale il medesimo bene è stato trasferito in virtù di confisca definitiva; Sez. 1 n. 21063 del 12.5.2010 ove si è affermato che sussiste il difetto assoluto di giurisdizione del giudice penale in ordine alla domanda di rilascio promossa dal proprietario di un complesso immobiliare occupato dai beni di un complesso aziendale di una impresa confiscata in via definitiva. 5.6 II tratto comune di tali decisioni (non a caso elaborate in procedimenti di prevenzione patrimoniale, ove con maggiore frequenza si è posta, in passato, la necessità di operare simili precisazioni in diritto) è rappresentato dalla constatazione dell’effetto giuridico della confisca in termini di trasferimento del bene confiscato al patrimonio dello Stato, con esaurimento della potestà giurisdizionale del giudice ‘della confisca’ ed attribuzione al giudice civile delle controversie sorte in epoca posteriore “senza che alcun rilievo possa rivestire l’origine genetica dell’acquisto del titolo in capo all’Erario”. Da ciò deriva, nell’assetto dogmatico del periodo di emissione delle decisioni, risalente alla pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 25 del 24.11.1999, Di Dona, la rilevazione nei suddetti arresti – di un difetto assoluto di giurisdizione del giudice penale, per macroscopica violazione dei limiti delle proprie attribuzioni. Come è noto, la violazione dei criteri di attribuzione delle controversie tra giurisdizione ordinaria penale e giurisdizione ordinaria civile è stata rimeditata – quanto alla classificazione dogmatica – dalle medesime Sezioni Unite di questa Corte nel successivo arresto del 29.9.2011, Pistor, nel cui ambito si è affermato che la ripartizione degli affari e la violazione dei criteri di attribuzione nell’ambito della giurisdizione ‘ordinaria’, e dunque anche tra giurisdizione civile e giurisdizione penale non determina un difetto di giurisdizione in senso proprio ma un difetto di attribuzione, e dunque una carenza di potere cognitivo sulla specifica vicenda presa in esame. 5.7 Ciò che rileva, in ogni caso, è la pacifica considerazione, nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, della esistenza di limiti all’esercizio di poteri cognitivi o autoritativi del giudice penale (o di prevenzione) che ha disposto Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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la confisca di beni, in epoca posteriore al giudicato, salva l’esistenza di specifiche disposizioni di legge attributive di un tipizzato potere di intervento
e salva la -limitata- potestà ricognitiva dei contenuti del giudicato, ove necessario .
Tali principi, vanno qui ribaditi, con la conseguenza che l’istanza di differimento della trattazione del presente ricorso, avanzata dal Sostituto
Procuratore generale /non può trovare accoglimento.
4. In conclusione, sulla base dei principi enunciati, stante la definitività
del provvedimento ablatorio ed il conseguente trasferimento del bene confiscato al patrimonio dello Stato, va affermato che, nella fattispecie, la
competenza a decidere sull’
an e sul
quantum del credito di lavoro in
contestazione spetta al Tribunale di Catania, Sezione Lavoro.
P.Q.M.
Decidendo sul conflitto, dichiara la competenza del Tribunale di Catania, Sezione Lavoro, cui dispone trasmettersi gli atti. Così deciso in Roma, il 30 maggio 2025.