Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44814 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44814 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME nata a Sassari il 22.1.1967,
contro
la sentenza della Sezione Distaccata di Sassari della Corte d’appello di Cagliari, del 24.1.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Sezione Distaccata di Sassari della Corte d’appello di Cagliari ha confermato la sentenza con cui, in data 17.2.2022, il Tribunale di Sassari aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei fatti delittuosi a lei ascritti: riqualificato quello di cui al capo a) ai sensi dell’art. 624 cod. pen., escluse le
aggravanti di cui agli artt. 625, comma primo, n. 4 e n. 11 e 61 n. 7 cod. pen. e, per il capo b), limitatamente ai prelievi effettuati presso la agenzia n. 4, l’aveva condannata alla pena complessiva di anni 4 di reclusione ed euro 1.000 di multa oltre al pagamento delle spese processuali; il primo giudice aveva inoltre condannato la Delogu al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile rimettendone la liquidazione al giudice competente ma liquidando una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 36.000;
2. ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 nullità della sentenza per violazione di legge processuale relativamente agli artt. 179 e ssgg. cod. proc. pen., 3, 24 e 25 primo comma e 111 Cost.: rileva che già nel giudizio di primo grado l’imputata aveva eccepito la violazione del diritto di difesa avendo chiesto alla Procura della Repubblica di Sassari copia dell’intero fascicolo del PM al fine di vagliare le eventuali opzioni processuali essendosi quindi determinata ad affrontare il dibattimento dopo aver verificato che, tra le prove acquisite a suo carico, vi era esclusivamente una foto che la raffigurava inattiva nei pressi di uno sportello bancomat; segnala che, nel corso del processo, era emerso che tale riscontro fotografico era stato estrapolato da un filmato che venne acquisito dal Tribunale su impulso non del PM ma del teste escusso; aggiunge che il filmato era stato visionato senza contraddittorio e che, in ogni caso, laddove fosse ne fosse stata nota la esistenza, la difesa avrebbe potuto optare per una diversa scelta processuale;
2.2 nullità della sentenza per violazione di legge processuale con riguardo all’art. 11 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3, 24, 25, primo comma, e 111 Cost.: segnala che nel corso del giudizio di primo grado era deceduta la persona offesa e, in sua vece, si erano perciò costituiti i suoi eredi tra cui la dr.ssa NOME COGNOME magistrato in servizio presso il Tribunale di Sassari, con conseguente incompetenza di quell’ufficio in forza dell’art. 11 cod. proc. pen., che Tribunale avrebbe dovuto rilevare anche d’ufficio quantomeno nel momento in cui la dr.ssa COGNOME fu assunta come teste qualificandosi nipote della persona offesa; segnala l’errore in cui sono incorsi i giudici di primo e secondo grado nell’indicare quello di cui all’art. 491 cod. proc. pen. il termine entro il quale la questione avrebbe dovuto essere rilevata segnalando che in quel momento non se ne erano ancora verificati i presupposti e richiamando la giurisprudenza di questa Corte in merito alla sua rilevabilità d’ufficio;
2.3 nullità della sentenza per mancanza di querela e violazione di legge processuale in relazione agli artt. 3, 24, 25, primo comma, e 111 Cost.: rileva che all’udienza del 17.12.2020 era emersa la assenza di querela con conseguente improcedibilità dell’azione penale;
2.4 nullità della sentenza per mancanza di querela e violazione di legge processuale in relazione agli artt. 3, 24, 25, primo comma, e 111 Cost., quanto alle prove ed alla loro utilizzabilità – manifesta illogicità -: segnala che gran part della deposizione della dr.ssa COGNOME è stata resa su informazioni acquisite da terzi e, in particolare, dalla zia deceduta che non ha potuto confermarle; evidenzia inoltre la illogicità della ricostruzione operata dai giudici di merito circa le condott della Delogu e la assistenza prestata alla anziana NOME COGNOME le cui dichiarazioni risultano sul punto contrastanti con quelle della teste COGNOME giudicata attendibile nonostante anche costei frequentasse assiduamente la persona offesa, con analoga possibilità di appropriarsi del suo bancomat; sottolinea, dunque, che la affermazione di responsabilità della ricorrente è fondata esclusivamente su supposizioni e non su prove certe;
2.5 nullità della sentenza per incongruità della pena – mancata concessione delle sospensione condizionale – sequestro delle somme rinvenute all’interno della abitazione – erronea quantificazione: segnala che la persona offesa aveva denunziato prelievi non autorizzati per oltre 36.000 euro eseguiti presso le agenzie n. 4 e n. 5 laddove, per i secondi, la Delogu è stata assolta ed il cui importo è pari ad 8.450,00 euro per cui l’ammontare di quelli avvenuti presso l’agenzia n. 4 è pari ad euro 26.250,00; sottolinea che i prelievi sono circa la metà di quelli ritenuti dalla Corte d’appello; osserva che, con riguardo alla confisca della somma di euro 1.400, il figlio dell’imputata aveva fornito la prova della provenienza di quel denaro di sua esclusiva pertinenza;
la Procura Generale ha trasmesso le conclusioni scritte insistendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il secondo motivo investe una questione pregiudiziale dovendo, pertanto, essere affrontato per primo, ed è fondato per le ragioni che seguono rimanendo perciò precluso l’esame degli altri.
NOME COGNOME era stata tratta a giudizio e riconosciuta responsabile, nei due gradi di merito, dei delitti di furto e di utilizzo indebito del bancomat intestato ad NOME COGNOME che l’imputata era solita accompagnare a fare la spesa approfittandone, secondo la ricostruzione della vicenda restituita dalla lettura delle due sentenze di merito, per impossessarsi della carta della donna ed eseguire prelievi di contanti della cui anomalia, ad un certo punto, era stata avvisata la nipote, NOME Mossa.
La persona offesa, costituitasi parte civile, era quindi deceduta nel corso del giudizio di primo grado sicché si era costituita, in sua vece, proprio NOME COGNOME, magistrato in servizio presso il Tribunale di Cagliari, di fronte al quale si stava celebrando il processo.
Ebbene, non v’è dubbio che NOME COGNOME sia subentrata nella medesima posizione della defunta persona offesa costituitasi parte civile: è pacifico, infatti, che, alla morte della persona costituitasi parte civile non si verifi l’interruzione del rapporto processuale, come invece stabilito dall’art. 300 cod. proc. civ., inapplicabile al processo penale; la costituzione, pertanto, resta valida e l’erede del defunto può intervenire nel processo anche senza effettuare una nuova costituzione ma semplicemente dimostrando la propria qualità di erede e subentrando nella posizione della parte civile per qualsiasi rapporto processuale posto GLYPH in GLYPH capo GLYPH alla GLYPH stessa GLYPH (cfr., GLYPH in GLYPH tal GLYPH senso, GLYPH ad GLYPH esempio, Sez. 3 – , n. 17054 del 13/12/2018, dep. 18/04/2019, Rv. 275904 – 04, in cui la Corte ha precisato che l’erede succede anche nei rapporti contrattuali intercorrenti con il difensore, il quale diventa automaticamente patrono della parte civile subentrata GLYPH ed GLYPH è GLYPH legittimato GLYPH a GLYPH depositare GLYPH le GLYPH conclusioni; GLYPH conf., Sez. 6 – , n. 54641 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274635 – 01; Sez. 2, n. 7021 del 17/10/2013, dep. 13/02/2014, Striano, Rv. 259553 – 01; Sez. 4, n. 39506 del 15/07/2016, COGNOME, Rv. 267904 – 01).
Nel caso di specie, peraltro, come precisato nella stessa sentenza impugnata, NOME COGNOME si era “costituita” nel processo a séguito del decesso della zia ed era stato allora che la difesa aveva eccepito la incompetenza del Tribunale di Sassari invocando la disciplina derogatoria di cui all’art. 11 cod. proc. pen..
Il primo giudice, così come la Corte d’appello, cui la questione era stata riproposta, hanno entrambi sostenuto che la questione era ormai preclusa non potendo essere proposta una volta superata la fase delle questioni preliminari; hanno dunque affermato che, in ogni caso, la competenza per territorio era stata correttamente determinata alla luce della situazione processuale e degli elementi disponibili in quella fase non potendo essere sovvertita o modificata da circostanze sopravvenute.
Questa Corte ha in effetti più volte e costantemente ribadito che la competenza per territorio non può essere determinata sulla base delle prove assunte in dibattimento o di elementi emersi circa il luogo della commissione del reato, atteso che la legge processuale, stabilendo all’art. 21, comma 2, cod. proc. pen. che l’incompetenza territoriale è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, al più tardi entro il termine di cui all’art. 491, comma 1, cod. proc. pen., ed inserendo
la trattazione e decisione delle relative problematiche tra le “questioni preliminari”, ha chiaramente inteso vincolare le statuizioni sul punto allo stato degli atti, precludendo qualsiasi previa istruzione od allegazione di prove a sostegno della proposta eccezione (cfr., Sez. 4 -, n. 27252 del 23/09/2020, S., Rv. 279537 – 01; Sez. 2, n. 24736 del 26/03/2010, COGNOME, Rv. 247745 – 01 secondo cui l’accertamento per la prima volta della costituzione delle parti determina, nel giudizio, il momento oltre il quale le questioni di competenza territoriale non possono più essere rilevate, neppure se i presupposti per porre le stesse emergono nel corso del dibattimento, fatta eccezione per il solo caso in cui la questione, ritualmente proposta o rilevata, non sia stata ancora decisa; conf., in tal senso, Sez. 2, n. 4876 del 30/11/2016, COGNOME, Rv. 269212 – 01; Sez. 2, n. 1415 del 13/12/2013, COGNOME, Rv. 258149 – 01). In altri termini, le vicende processuali successive ai limiti temporali di rilevazione della questione di competenza per territorio, anche con riferimento ai provvedimenti conclusivi adottati sul merito dal giudice, non incidono sulla 6 competenza già affermata, la quale, in base al principio della “perpetuato iurisdictionis”, va determinata con criterio “ex ante”, sulla scorta degli elementi disponibili al momento della formulazione dell’imputazione (cfr., ancora, ; Sez. 4, n. 14699 del 12/12/2012, COGNOME, Rv. 255498 -01); tant’è che anche il giudice dell’impugnazione, a cui sia stata ritualmente devoluta la questione della competenza territoriale, deve operare il controllo con valutazione ex ante, riferita cioè alle emergenze di fatto cristallizzate in sede di udienza preliminare o, in mancanza di questa, a quelle acquisite non oltre il termine di cui all’art. 491, primo comma, cod. proc. pen., e non può prendere in esame le eventuali sopravvenienze dibattimentali, poiché la verifica ha ad oggetto la correttezza della soluzione data in ordine ad una questione preliminare che, in quanto tale, non implica il confronto con gli esiti istruttori de dibattimento (cfr., ancora, recentemente, Sez. 2 -, n. 14557 del 04/03/2021, COGNOME, Rv. 281067 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rileva, tuttavia, il collegio che tali principi non possono trovare applicazione al caso in esame.
È ricorrente, nella giurisprudenza di questa Corte, l’affermazione secondo cui la competenza determinata ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen. è di natura funzionale e non semplicemente territoriale, con conseguente rilevabilità, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 229633 – 01; Sez. 6, n. 13182 del 02/04/2012, COGNOME, Rv. 252593 – 01).
Si è condivisibilmente osservato, al riguardo, che la ratio che presiede alla disciplina dettata dall’art. 11 cod. proc. pen. è “pacificamente individuata
nell’esigenza, particolarmente marcata nel processo penale (stante la natura degli interessi coinvolti e l’assenza della mediazione dell’impulso paritario delle parti: vedi Corte cost. n. 51/1998 e n. 147/2004), di evitare che il rapporto di colleganza e normale frequentazione nascente dal comune espletamento delle funzioni nello stesso plesso territoriale possa inquinare, anche solo nelle apparenze, l’imparzialità del giudizio (cfr., in particolare, sul punto, Corte cost., ord., 462/1997)” (cfr., Corte cost., ord., n. 462/1997)”; la speciale competenza dettata dalla disposizione processuale è evidentemente funzionale a garantire “… che il processo penale si svolga, e appaia svolgersi, nella più perfetta imparzialità, potendo questa essere, o apparire, alterata dalla circostanza che a giudicare di un reato nel quale è indagato, imputato, offeso o danneggiato un magistrato, sia un giudice che, per appartenere allo stesso plesso territoriale in cui il detto magistrato abbia esercitato o sia venuto ad esercitare le sue funzioni, abbia con quello un rapporto di colleganza e di normale frequentazione (certamente più marcato rispetto a quello che può instaurarsi, ad es., con gli avvocati o col personale di cancelleria)” (cfr., Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 229633).
Più precisamente, la ratio dell’istituto si identifica nella necessità di assicurare la serenità e obiettività dei giudizi nonché la terzietà e imparzialità del giudice, anche con riferimento alla necessità che il giudice appaia tale, per eliminare presso l’opinione pubblica qualsiasi sospetto di parzialità determinato dal rapporto di colleganza e dalla normale frequentazione tra magistrati operanti nello stesso ufficio giudiziario o in uffici giudiziari appartenenti al medesimo distretto di corte di appello, come ha avuto modo di chiarire anche il Giudice delle leggi (cfr., ancora, Corte cost., ord., n. 462 del 1997).
Si è affermato che la formulazione dell’art. 11 cod. proc. pen. – che rende rilevante ogni procedimento attribuibile a un qualsiasi ufficio dell’intero distretto nel cui ambito operi il soggetto interessato e ne comporta lo spostamento in altro distretto – ha inteso evidentemente rafforzare in modo particolare “… la tutela dell’immagine della terzietà agli occhi del pubblico, al di là del grado più o meno intenso dei rapporti intersoggettivi di colleganza, che s’instaurano all’interno dell’area distrettuale” (cfr., ancora, Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 13/01/2005, COGNOME, Rv. 229633 – 01).
La questione che si è posta e che si pone nel caso che ci occupa è quella del momento in cui la (in)competenza del giudice che procede (per essere coinvolto nel processo un magistrato in servizio nel medesimo distretto) può essere fatta valere; se, cioè, come pure si è detto, anche per la speciale competenza dettata dall’art. 11 cod. proc. pen. debba farsi applicazione del criterio
della perpetuatio jurisdictionis, che implica la impossibilità di far valere ovvero di dare rilievo a situazioni di fatto che, incidendo sulla individuazione del giudice chiamato a decidere, siano tuttavia sopravvenute rispetto al momento in cui siano state affrontate definite le questioni preliminari e determinata la competenza alla luce della contestazione.
Come già anticipato, il collegio è dell’avviso che la disciplina della competenza per i procedimenti che interessino magistrati (come peraltro suggerito dallo stesso tenore del secondo comma dell’art. 11 cod. proc. pen. e come già ripetutamente affermato in sede di legittimità) importi una deroga al principio della perpetuatio iurisdictionis imponendo di tener conto della situazione ivi contemplata ancorché avveratasi o emersa successivamente alla apertura del dibattimento e, persino, nel grado successivo (cfr., così, Sez. 1, n. 3766 del 20/05/1999, Scalfari, Rv. 213869 – 01).
Non impropriamente, infatti, l’istituto è stato assimilato a quello della rimessione del processo e rappresenta, in realtà, un meccanismo predeterminato a tutela della serenità e della anche apparente terzietà del giudice chiamato a decidere; si è detto che “… l’assimilazione alla rimessione deriva dalla constatazione che, in questo caso, la legge individua una sorta di incompatibilità che inerisce, non alla singola persona di un giudice, bensì all’intero ufficio giudiziario che, secondo le regole generali sulla competenza territoriale, sarebbe competente a decidere; ciò, con la specificità che in questo caso, non è il provvedimento del giudice di legittimità, ma è la stessa legge, senza la mediazione del provvedimento giurisdizionale, a individuare, quando si verifica il presupposto, il giudice che in deroga ai principi sulla competenza territoriale è da ritenersi dotato dell’attribuzione decisoria” (cfr., così, Sez. 1 -, n. 1569 del 09/11/2023, dep. 12/01/2024, Rv. 285582 – 01; cfr., ancora più chiaramente, Sez. 1, n. 3766 del 20/05/1999, cit’ in cui la Corte ha spiegato che “… accanto alla rinnessione del processo per provvedimento della Corte di cassazione disciplinata dall’art. 45 c.p.p. il codice prevede una rimessione automatica, ex lege, nel caso in cui, appunto, il processo abbia ad oggetto un reato rispetto al quale un magistrato, appartenente ad un ufficio del medesimo distretto sia imputato ovvero persona offesa” aggiungendo che “… si tratta di rimessione, perché la legge individua una sorta di incompatibilità riguardante non già la singola persona di un giudice, bensì l’intero ufficio giudiziario che, secondo le regole generali sulla competenza territoriale, sarebbe competente a decidere” e precisando, al contempo, che “… a differenza della rimessione per provvedimento della Corte di cassazione, in questo caso è la legge stessa a disporre in presenza del citato presupposto, la deroga ai
principii sulla competenza territoriale, e, quindi, la rimessione del processo, senza che occorra, sul punto, un provvedimento giurisdizionale”).
E, ai sensi dell’art. 45 cod. proc. pen., la remissione del processo ben può essere sollecitata ed intervenire quando “… in ogni stato e grado del processo di merito …” intervengano “… gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo …” non rappresentando, perciò, un’anomalia sistematica l’aver previsto e disciplinato un’ulteriore ipotesi “tipizzata” di spostamento del processo dalla sua sede rilevabile persino nel caso di un giudizio di secondo grado devoluto a un giudice di merito che sia chiamato a valutare sentenze pronunciate da un giudice di primo grado di altro distretto.
Si è dunque affermato che la competenza stabilita dall’art. 11 cod. proc. pen., derogando al principio della perpetuatio jurisdictionis, possa e debba essere rilevata, anche d’ufficio, non soltanto qualora i suoi presupposti fossero presenti ab origine ma, in particolare, quando siano sopravvenuti anche alla apertura del dibattimento e, poi, nel grado successivo di merito (cfr., ancora, Sez. 1 , n. 1569 del 09/11/2023, cit. in cui la Corte ha ribadito che “… non si vede dunque come questo così generale principio non debba applicarsi anche ai giudici di merito di secondo grado per i quali sia maturato il presupposto previsto dalla norma, mentre è del pari chiaro perché la disciplina derogatoria non si ritiene riguardi i magistrati addetti alla Corte di cassazione, la cui competenza è nazionale, al di là della considerazione che questa Corte è ordinariamente giudice di legittimità, non del merito della vicenda”).
Correttamente, perciò, si è sostenuto che la relativa disciplina deve applicarsi anche nel caso in cui un magistrato, addetto alla Corte di appello, sia imputato o persona offesa da un reato in ordine al quale la stessa Corte di appello è chiamata a decidere, ancorché il giudizio di primo grado sia stato regolarmente celebrato davanti al giudice naturale, individuato secondo le regole generali, non sussistendo a quel momento per il magistrato interessato le condizioni di cui al medesimo art. 11 cod. proc. pen. (cfr., ancora, Sez. 1 – , Sentenza n. 1569 del 09/11/2023, cit., massimata nel senso che la speciale competenza stabilita dall’art. 11 cod. proc. pen. ha natura funzionale e non semplicemente territoriale, sicché, nel caso in cui la connessione con un procedimento riguardante un magistrato sopravvenga al decreto che dispone il giudizio, la competenza spetta alla Corte di appello individuata ai sensi della predetta norma, prevalendo il principio della terzietà e imparzialità del giudice su quello della “perpetuati() iurisdictionis”, fissando un principio ormai largamente condiviso; conf., su tale principio, Sez. 1, n. 21729 del 19/02/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276314; Sez. 5, n. 42854 del 25/09/2014, COGNOME, 261080; Sez. 1, n.
52541 del 20/06/2014, conf. comp., Rv. 262143; Sez. 2, n. 13296 del 20/02/2014, COGNOME, Rv. 259559).
In coerenza con tale impostazione, Sez. 6, n. 16984 del 08/01/2008, COGNOME, Rv. 239639 – 01, ha ritenuto correttamente determinata la competenza ex art. 11 cod. proc. pen. in una fattispecie in cui, nelle more tra il giudizio d primo e di secondo grado, un magistrato era stato nel frattempo trasferito presso la sede giudiziaria nella quale si doveva celebrare il processo in cui egli era persona offesa dal reato.
Dal canto suo Sez. 1, n. 17807 del 02/04/2008, Conti, Rv. 240151 – 01 ha affermato che, nel caso in cui la Corte di Cassazione, annullando con rinvio la sentenza relativa al procedimento nel quale un magistrato risulti persona offesa, individui il giudice competente ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen. non essendo in quel momento a conoscenza del fatto che nel frattempo il magistrato stesso era stato trasferito in un ufficio giudiziaìio del distretto della Corte di appel individuata quale giudice del rinvio, la competenza spetta alla Corte di appello individuata, a seguito di tale trasferimento, ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen..; la sentenza ha osservato che il mancato coordinamento tra l’art. 11 cod. proc. pen., norma che intende garantire i basilari valori di imparzialità, trasparenza e terzietà del giudice, e l’art. 627 cod. proc. pen., non è di ostacolo ad una interpretazione sistematica e logica che consenta di introdurre un’eccezione, normativamente prevista quale regola generale, alla regola attributiva di competenza per il giudizio di rinvio).
Se, peraltro, la deroga suddetta risponde all’esigenza di garantire, anche all’esterno, la terzietà e imparzialità del giudice anche con riferimento – come nel caso di specie – ad una situazione che sia sopravvenuta rispetto all’apertura del dibattimento, essa non si giustifica, invece, nell’ipotesi contraria, ovvero quella in cui la situazione di fatto tale da innescare l’applicazione, regolarmente rispettata, della competenza derogatoria di cui all’art. 11 cit., venga meno, senza altre implicazioni, nel corso del processo.
È, per l’appunto, il caso esaminato nella sentenza di questa stessa Sezione richiamata dalla Corte d’appello per respingere l’eccezione difensiva ritualmente riproposta in secondo grado.
Effettivamente, la sentenza risulta massimata nel senso che la speciale competenza stabilita dall’art. 11 cod. proc. pen, ha natura funzionale e deve essere valutata nel momento in cui è emesso il decreto che dispone il giudizio, sicché, ove legittimamente ritenuta, eventuali successive modifiche delle condizioni che la determinano non influiscono su di essa, in ossequio al principio di economia
processuale della perpetuatio iurisdictionis (cfr,. Sez. 2, n. 30199 del 30/06/2022, COGNOME, Rv. 283685 – 01).
Se non ché, il caso esaminato in tale pronuncia era quello in cui la competenza del Tribunale era stata correttamente determinata ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen. a causa del coinvolgimento di un magistrato del distretto; situazione che, tuttavia, era venuta meno nel corso del giudizio senza che, in tal modo, si fosse stati mai in presenza di un giudice suspectus nel senso ormai più volte chiarito; correttamente, pertanto, era stata nell’occasione respinta l’eccezione difensiva volta a ottenere il trasferimento del processo di fronte al Tribunale che sarebbe stato originariamente competente ove non avesse trovato applicazione l’art. 11 cod. proc. pen..
La decisione resa da questa Sezione nel 2022 è dunque assolutamente corretta e non confliggente con le considerazioni sin qui sviluppate: se il sopravvenire di una esigenza di garanzia per la serenità e terzietà del giudizio impone lo spostamento della competenza anche successivamente al termine stabilito dall’art. 491 cod. proc. pen., il suo venire meno non incide, invece, sulla quella ormai radicatasi di fronte al giudice individuato ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen..
Dalle suesposte considerazioni consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e di quella di primo grado (cui avrebbe dovuto provvedere la Corte d’appello ai sensi dell’art. 24 cod. proc. pen.) con conseguente restituzione degli atti al PM (cfr., Corte Cost. n. 214 del 5.5.1993 e n. 70 del 15.3.1996) presso il Tribunale di Roma, competente ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen..
L’esame degli altri motivi è evidentemente precluso.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado e dispone la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma, il 15.10.2024