Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1569 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1569 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul conflitto di competenza sollevato da: RAGIONE_SOCIALE nei confronti di:
COGNOME APPELLO LECCE
con l’ordinanza del 01/06/2023 del GUP TRIBUNALE di POTENZA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
sentite le conclusioni del P.G., NOME COGNOME che ha chiesto l’affermazione della competenza della Corte di Appello di Lecce;
uditi i difensori:
l’avvocato NOME COGNOME ha concluso associandosi alle conclusioni del P.G.;
l’avvocato NOME COGNOME ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del conflitto e, nel merito, la pronuncia di infondatezza della proposizione del conflitto da parte del GUP del TRIBUNALE DI POTENZA;
l’avvocato NOME COGNOME ha concluso associandosi alle conclusioni dell’avvocato
COGNOME;
l’avvocato NOME COGNOME ha concluso associandosi alle conclusioni dell’avvocato COGNOME
l’avvocato NOME COGNOME ha concluso associandosi alle conclusioni dell’avvocato COGNOME
l’avvocato NOME COGNOME ha concluso associandosi alle conclusioni dell’avvocato COGNOME
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce nel processo a carico di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME imputati, in modo articolato, di associazione per delinquere finalizzata al compimento di delitti contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro l’amministrazione giudiziaria, di estorsione nonché di altri numerosi reati, come da capi 1), 2), 3), 4), 5), 6), 7), 8), 9), 10), 11), 12), 13 14), 15), 17) e 18), e appellanti avverso la sentenza del Tribunale di Lecce in data 18.11.2020, che aveva dichiarato COGNOME colpevole di diversi fra i reati a lui ascritti, riuniti in continuazione, e l’aveva condannato alla pena di anni sedici, mesi nove di reclusione, aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati a lui ascritti, riuniti in continuazione, e l’aveva condannato alla pena di ann nove, mesi sette di reclusione, aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole di diversi fra i reati a lei ascritti, riuniti in continuazione, e, riconosci circostanze attenuanti generiche, l’aveva condannata alla pena di anni sei, mesi quattro di reclusione, aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati a lui ascritti, riuniti in continuazione, e, riconosciute le circostanze attenuan generiche, l’aveva condannato alla pena di anni cinque, mesi sei di reclusione, aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati a lui ascritti, riuniti i continuazione, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, l’aveva condannato alla pena di anni quattro, mesi tre di reclusione – ha, con sentenza in data 10 aprile 2022, annullato la decisione impugnata e ordinato la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A ragione di tale decisione la Corte di appello, dopo aver richiamato lo svolgimento del processo in primo grado, l’esito dello stesso e i motivi di appello sviluppati dagli imputati condannati, ha osservato che l’imputato NOME COGNOME aveva presentato anche istanza di rimessione del processo ex art. 45 cod. proc. pen., ma la disamina di questa deduzione presupponeva l’accertamento della competenza del giudice destinatario della medesima e, nel caso di specie, l’eccezione di incompetenza funzionale ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen. sollevata dallo stesso imputato nella fase delle questioni preliminari del primo grado, disattesa dal Tribunale e reiterata con l’atto di appello – era da considerarsi fondata.
In effetti, ad avviso della Corte territoriale, la natura di competenza territoriale con riferimento a quella disciplinata dall’indicata norma era da scartarsi, al pari delle conseguenti barriere decadenziali in punto di formulazione della relativa eccezione e del corrispondente rilievo di ufficio e, soprattutto, con
la corrispondente fissazione del principio della sua valutazione ex ante, secondo le emergenze cristallizzate all’udienza preliminare o, in mancanza, al momento fissato dall’art. 491 cod. proc. pen.
La Corte distrettuale ha, invece, prestato adesione all’inquadramento della competenza in esame come competenza di natura funzionale, con l’effetto che l’incompetenza poteva essere eccepita o rilevata in qualunque stato e grado del procedimento.
In tale prospettiva la Corte di merito ha osservato quanto segue: fin dalla fase delle indagini preliminari, NOME COGNOME aveva dedotto che, sulla base delle dichiarazioni del coimputato NOME COGNOME, sussisteva il coinvolgimento nel procedimento di NOME COGNOME all’epoca magistrato in servizio, quale Procuratore capo, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani, poi trasferito alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto; ritenendo la sussistenza della connessione fra i fatti riferiti a Capristo E! quelli contestati a lui, COGNOME aveva eccepito l’incompetenza ex art. 11 cod. proc. pen. dell’Autorità giudiziaria di Lecce, per essere competente l’Autorità giudiziaria di Potenza; il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce e, poi, il Tribunale dibattimentale di Lecce avevano rigettato l’eccezione sul presupposto che non era emerso da alcun atto almeno l’elemento dell’iscrizione di C:apristo nel registro degli indagati per reati connessi a quelli contestati a Nardi; e, considerando anche sulla base della documentazione allegata dalla difesa di Nardi all’atto di appello, era da dirsi che, con riferimento al momento in cui era stata sollevata la questione, effettivamente non sussistevano i presupposti per radicare la competenza dei reati contestati innanzi all’Autorità giudiziaria di Potenza; tali presupposti erano, però, maturati nelle more, in quanto, dopo che in data 1.03.2019 Capristo era stato iscritto nel registro degli indagati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza per il reato di cui all’art. 323 cod. pen., accertato in Trani, il 2.02.2019, e che il relativo procedimento (n. 828/19 R.G.N.R.) era stato riunito in data 20.06.2019 al procedimento n. 3859/18 R.G.N.R., poi soltanto il 15.01.2021 il Pubblico ministero di Potenza aveva aggiornato le posizioni di quest’ultimo procedimento iscrivendo COGNOME e COGNOME per il reato di cui all’art. 319-ter, in relazione agli artt. 318, 319 e 321, c pen., fatto commesso in Trani, dal 2008 fino al 2016, con contestazione cautelare (reato sub b) nei confronti di entrambi gli indagati come da ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza del 3.06.2021, con susseguente chiusura delle indagini notificata a Nardi il 25.10.2021; indi, il 10-16.02.2022, lo stesso Pubblico ministero, nell’ambito del procedimento identificato dal n. 394/22 R.G.N.R. costituente stralcio del procedimento n. 3859/18 R.G.N.R., aveva chiesto il rinvio a giudizio per tale Corte di Cassazione – copia non ufficiale
ultimo reato di COGNOME e COGNOME.
Su questa assodata base di fatto, la Corte di appello di Lecce ha argomentato nel senso che – mentre fino alla data del 15.01.2021 non esisteva la pendenza presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza di un procedimento connesso con quello oggetto di verifica,, essendo Capristo iscritto in precedenza per un’ipotesi di reato, quella di cui all’art. 323 cod. pen. non contestata in concorso con imputati di questo procedimento, sicché sino alla pronuncia della sentenza di primo grado l’eccezione di incompetenza sollevata da COGNOME non sarebbe stata meritevole di accoglimento – con l’is.,crizione di COGNOME nel registro degli indagati per il reato sub b) nella suddetta data del 15.01.2021 e, poi, con l’avviso di chiusura delle indagini a lui notificato dalla Procura del Repubblica suddetta il 25.10.2021 e con la susseguente richiesta di rinvio a giudizio, la prospettiva era mutata radicalmente, essendo insorta la pendenza presso l’Ufficio giudiziario di Potenza dal procedimento a carico di Capristo per reato, da ritenersi, allo stato (e salve le valutazioni di merito del giudice del corrispondente cognizione piena), effettivamente connesso, per continuazione, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., con quelli contestati a Nardi innanzi all’Autorità giudiziaria di Lecce.
Da tale rilievo la Corte di appello ha tratto l’ulteriore conseguenza che, ai sensi dell’art. 11, comma 3, cod. proc. pen., sussisteva la necessità che i due procedimenti, siccome connessi, venissero unitariamente trattati presso l’ufficio giudiziario di Potenza, non avendo rilievo il fatto che Capristo fosse oramai uscito dall’ordine giudiziario, mentre l’operatività della rilevata incompetenza non era subordinata alla pendenza dei procedimenti connessi nello stesso stato e grado, dal momento che quello della competenza per connessione costituiva un criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza.
L’esito di tale ragionamento è stato individuato nella necessità di annullare la sentenza del Tribunale di Lecce, con trasmissione degli atti al Pubblico ministero presso il Tribunale di Potenza.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza, venuto questo procedimento al suo esame, ha, con ordinanza del 1° giugno 2023, sollevato conflitto negativo di competenza.
Al riguardo ha osservato, in primo luogo, che dalla motivazione resa dalla Corte di appello di Lecce era risultato che, non solo al momento dell’esercizio dell’azione penale, ma anche al momento della decisione di merito di primo grado, non erano affatto emersi elementi idonei a legittimare lo spostamento della competenza ex art. 11 cod. proc. pen., essendo tali elementi sopravvenuti alle suddette scansioni processuali.
Questo dato ha indotto il suddetto Giudice dell’udienza preliminare a dissentire dall’applicazione del criterio della connessione fatta dalla Corte di appello per la determinazione della competenza territoriale: si è obiettato che, dalla fase del giudizio in poi, operava il principio della perpetuati° iurisdictionis, con l’effetto che la competenza si era determinata stabilmente attraverso il vaglio giurisdizionale sull’esercizio dell’azione penale.
Anche il criterio attributivo della competenza per connessione ai sensi dell’art. 11, comma 3, cod. proc. pen. non avrebbe potuto non seguire, secondo il Giudice confliggente, le regole previste in generale per l’accertamento della competenza, senza possibilità di confusione fra il momento in cui poteva essere eccepita o rilevata l’incompetenza e il momento in cui si determinava la competenza; di conseguenza, una volta che la competenza funzionale era stata legittimamente ritenuta sussistente, essa non avrebbe potuto essere rimessa in discussione per l’evenienza di modifiche successive delle sue condizioni determinative, se non contravvenendo al principio di economia processuale della perpetuatio iurisdictionis; sicché, su tale premessa, il momento in cui si era cristallizzata la competenza, anche con riferimento a quella regolata dall’art. 11 cod. proc. pen. e a quella per connessione ex artt. 15 e 16 cod. proc. pen., era da identificarsi con l’atto dell’esercizio dell’azione penale o, al più, dell’emissio del decreto che dispone il giudizio, mediante il quale era avvenuto il vaglio giurisdizionale sull’esercizio dell’azione penale.
Da tale premessa il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza ha tratto la conseguenza che la Corte di appello di Lecce non ha rispettato il principio della perpetuati°, dando rilievo agili elementi sopravvenuti al decreto dispositivo del giudizio e anche alla sentenza di primo grado, laddove tali elementi non avrebbero dovuto essere considerati, come d’altro canto si ritiene confermi il disposto dell’art. 24 cod. proc. pen., che ricollega l’annullamento da parte del giudice di appello della sentenza appellati per incompetenza del giudice di primo grado alla valutazione ex ante, ossia riferita alla situazione esistente al momento del primo giudizio: pertanto, il suddetto giudice ha concluso nel senso che la competenza a decidere i fatti oggetto di processo era stata correttamente individuata in capo al Tribunale di Lecce, essendosi essa cristallizzata a seguito del decreto che aveva disposto il giudizio, sicché era necessario contrastare la competenza affermata dalla Corte di appello e sollevare conflitto negativo.
La Corte di appello di Lecce ha rassegnato osservazioni considerando, fra l’altro, che: assodata la natura funzionale della competenza ex art. 11 cod. proc. pen., si prendeva atto che il Giudice per le indagini preliminari di Potenza non
aveva revocato in contestazione l’evenienza della connessione fra il procedimento oggetto della sentenza di secondo grado emessa a Lecce e il procedimento, con imputato COGNOME, pendente innanzi all’Autorità giudiziaria di Potenza; alla sua determinazione di proporre il conflitto aveva contribuito l’affermazione dell’applicazione ai casi di competenza di cui all’art. 11 cod. proc. pen. del principio della perpetuatio iurisdictionis fatta da un recente arresto di legittimità e recepita dal Giudice della sede di Potenza, senza valutare, però, che nel caso oggetto di quella decisione non si erano verificate sopravvenienze; in ogni caso, la disciplina di cui all’art. 11 cod. proc. pen., secondo consolidato insegnamento, contemplava, in deroga alla perpetuatio, la possibilità di un passaggio di competenza ogni qual volta si verificasse il trasferimento del magistrato nella sede già individuata quale competente, senza che operasse alcuno sbarramento determinato dal rinvio a giudizio; nel caso di specie, l’emersione in epoca successiva alla sentenza di primo grado della connessione tra il procedimento penale pendente, ai sensi dell’art. 11, comma 2, cod. proc. pen., a carico di COGNOME, imputato del reato di cui all’art. 319-ter cod. pen. i concorso con COGNOME, e il procedimento pendente in secondo grado a Lecce, distretto nel quale COGNOME era stato Procuratore della Repubblica, prima a Trani e poi a Taranto, aveva imposto di rilevare, ù -1 relazione all’effetto della rilevata connessione, ex art. 11, comma 3, cod. proc. pen., la sopravvenuta competenza dell’Autorità giudiziaria di Potenza e di annullare la sentenza del Tribunale di Lecce per consentire la trattazione unitaria dei procedimenti stessi nella sede ora competente.
4. La difesa di NOME COGNOMEin persona dell’avv. NOME COGNOME) ha depositato memoria con cui ha osservato che: il conflitto era inammissibile, non avendo il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza verificato se il Pubblico ministero avesse provveduto alla nuova notifica dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen., notifica non avvenuta, pur dopo che il Pubblico ministero aveva stralciato una parte del procedimento; in ogni caso, era stata posta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 415-bis cod. proc. pen. relativamente alla mancata previsione della sua rinnovazione, questione che il Giudice rimettente non aveva nemmeno presa in considerazione; né era stata valutata la questione di nullità dell’avviso dli conclusione delle indagini per l mancata ostensione di tutti gli atti inerenti alle indagini preliminari, c particolare riferimento al chiesto, ma non ottenuto, supporto informatico contenente i file e positioning e il brogliaccio delle intercettazioni; quanto al conflitto, innanzi tutto, l’art. 28, comma 2, escludeva che il Giudice dell’udienza preliminare potesse sollevare conflitto in relazione a una sentenza emessa in
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dibattimento; altro profilo di inammissibilità afferiva alla mancata verifica da parte del Giudice per le indagini preliminari di Potenza della sussistenza della competenza di un terzo giudice, indicato dalla difesa nel Tribunale di Perugia; ancora, l’identità dei fatti storici, su cui avrebbe dovuto impostarsi il conflit nella specie non sussisteva, avendo il Pubblico ministero mutato il reato di cui al capo 2, relativo al traffico di influenze, oltre alla data del commesso reato relativa alla concussione COGNOME e al reato associativo sub 1); inoltre, il conflitto era inammissibile per avere il suddetto Giudice per le indagini preliminari implicitamente dichiarato la sua competenza provvedendo sulle istanze di dissequestro, emettendo il decreto di fissazione dell’udienza preliminare e, nella fase preliminare di questa udienza, respingendo la richiesta di costituzione di parte civile di COGNOME; nell merito del conflitto di competenza era da notare che il procedimento a carico di magistrati e altri soggetti oggetto di trattazione si era frantumato in tre tronconi e in tutti e tre i casi erano st emesse sentenze di incompetenza funzionale in favore dell’Autorità giudiziaria di Potenza; era, pertanto, da osservarsi che, quando la Procura generale presso la Corte di cassazione, investita da COGNOME, aveva chiesto informazioni alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce ai sensi dell’art. 54-quater cod. proc. pen., non aveva ricevuto informazioni esatte, bensì aveva ricevuto notizie non veritiere circa l’assenza di elementi che radicassero la competenza dell’Autorità giudiziaria di Potenza, essendo invece sussistenti elementi concreti del coinvolgimento di COGNOME fin dall’informativa dei Carabinieri di Barletta del 2017, con i conseguenti effetti in punto di competenza; era da contestarsi la tesi sviluppata dal Pubblico ministero di Potenza secondo cui l’accusa di abuso di ufficio nei confronti di COGNOME era stata oggetto di una successiva richiesta di archiviazione, poiché soltanto il 2.02.2023, dopo l’esercizio dell’azione penale, era stata formulata la richiesta di archiviazione, peraltro basata sulla sorprendente argomentazione che la relativa ipotesi di reato era da considerarsi assorbita nell’accusa di corruzione in atti giudiziari mossa il 15.01.2021 a Capristo, in concorso con Nardi; l’adeguata valutazione dei relativi dati processuali, rispetto a cui la Corte di cassazione, nel dirirnere il conflitto competenza, aveva il potere della verifica dei fatti di reato nella loro dimensione storica, avrebbe dovuto muovere dalla sussistenza originaria della connessione fra i procedimenti, criterio originario e genetico della competenza, dando per assodato che la connessione, secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite e non contraddetto successivamente, opera anche in presenza di procedimenti pendenti in stati e gradi diversi, essendovi totale indipendenza fra competenza per connessione e riunione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In questa cornice la difesa di COGNOME prospetta che l’incompetenza funzionale
dell’Autorità giudiziaria di Lecce avrebbe dovuto emergere fin dal 27.02.2019 quando la lettera indiziante inviata da COGNOME a Capristo era pervenuta a conoscenza del Pubblico ministero di Potenza, come confermavano gli atti processuali citati nel dettaglio, avendo la stessa Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza notificato il 5.06.2020 a Nardi l’invito a comparire per essere sentito, quale imputato di reato connesso, in relazione all’abuso di ufficio all’epoca ascritto a Capristo e, d’altro canto, essendo stato COGNOME già all’epoca, destinatario di una corrispondente contestazione da parte dell’Autorità giudiziaria di Lecce, al di là di quanto il Pubblico ministero di Lecce avesse o meno reso noto, dal momento che l’operatività della perpetuati° iurisdictionis non poteva dipendere dall’omissione volontaria di un’iscrizione nel registro degli indagati, al fine di evitare la configurabilità della connessione.
5. Il difensore di NOME COGNOME (avv. NOME COGNOME ha rassegnato memoria e, in premessa, ha osservato che gli atti processuali, anche in questo caso citati nel dettaglio (per tutti, l’interrogatorio di COGNOME in data 10.10.2018 dimostravano la risalente sussistenza della consistenza indiziaria delle ipotesi di reato poi ascritte a Capristo e della connessione fra le stesse e i reati oggetto del presente procedimento, sicché la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce avrebbe dovuto trasmettere gli atti all’Ufficio giudiziario di Potenza fin dal 2018.
Posto ciò, la difesa dell’imputata COGNOME ha considerato che: la sentenza della Corte di appello di Lecce, che aveva annullato la decisione di primo grado, dichiarando l’incompetenza di quell’Autorità giudiziaria, non essendo stata impugnata, era divenuta irrevocabile; di conseguenza, non poteva configurarsi il conflitto sollevato dal Giudice per le indagini preliminari di Potenza; la questione di competenza affrontata e risolta era di natura funzionale e, più che a procedimenti connessi, avrebbe dovuto ritenersi che la situazione di fatto corrispondeva, fin dal 2018, a un procedimento unico, mentre il riferimento al principio della perpetuati° iurisdictionis operato dal Giudice per le indagini preliminari di Potenza, di natura civilistica, non trovava applicazione concreta per più ragioni, prima fra le quali la considerazione del fatto che le difese avevano eccepito l’incompetenza ab origine dell’Autorità giudiziaria di Lecce, essendo per il resto non pertinente il richiamo della giurisprudenza che si era espressa in fattispecie diverse, quale quella relativa al riparto delle attribuzioni fra giudi monocratico e giudice collegiale del tribunale; per altro verso, se era vero che la competenza per connessione si radicava al momento di emissione del decreto che dispone il giudizio, era del pari certo che, se la corrispondente opzione si fosse rivelata successivamente errata, l’incompetenza avrebbe dovuto essere
parimenti affermata; in tal senso militava anche la recente introduzione dello strumento del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 24 -bis cod. proc. pen.
In conclusione, secondo questa difesa, la ritardata iscrizione di COGNOME nel registrato degli indagati non avrebbe potuto far obliterare che le condotte a lui ascritte e la connessione fra i fatti di reato oggetto dei due procedimenti erano sussistenti da epoca antecedente a quella in cui era stata sollevata l’eccezione di incompetenza dell’Autorità giudiziaria di Lecce, sicché, se non si fosse ritenuta l’inammissibilità del conflitto, la prosecuzione del giudizio avrebbe dovuto avvenire innanzi all’Autorità giudiziaria di Potenza.
La difesa di NOME COGNOMEnella persona dell’avv. NOME COGNOME ha rassegnato ulteriore memoria con cui ha ripercorso e specificato alcuni temi emersi nel contraddittorio illustrativo.
È stato, in particolare, rimarcato che: non sussiste la stasi processuale legittimante la decisione del conflitto negativo di competenza, con conseguente sua improponibilità, in quanto il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza ha compiuto atti che implicano in modo univoco il concreto esercizio dell’attribuzione giurisdizionale poi ricusata, quali la gestione del sequestro in atto e l’esclusione di una delle parti civili, con la connessa anticipazione della valutazione di merito; inoltre, lo stesso giudice ha aperto la discussione nel corso della quale il Pubblico ministero ha denunciato il conflitto in udienza, in forma orale, con susseguente prosieguo della discussione, salvo poi a riesaminare questioni afferenti alla costituzione delle parti, con particolare riferimento all decisione sulla citazione dei responsabili civili; in questa anomala articolazione di fasi, che ha determinato l’effettuale celebrazione dell’udienza preliminare, il conflitto avrebbe dovuto essere proposto all’udienza del 4 maggio 2023, senza il differimento, che è stato invece disposto, all’udienza del 20 maggio 2023.
Si è, inoltre, dedotto che è mancato il presupposto della litispendenza sul medesimo fatto attribuito alla stessa persona. La situazione affrontata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza si prestava alla mera proposizione dell’eccezione di incompetenza, come all’udienza del 29 maggio 2023 ha, di fatto, riconosciuto il Pubblico ministero, anche perché non sussisteva l’identità di descrizione fattuale dei fatti contestati nelle due diverse sedi, per significativa modificazione del reato di cui al capo 2) e quella di cui al capo 3): le diverse valutazioni compiute dal Pubblico ministero in ordine ai corrispondenti fatti, considerate in relazione al principio di irretrattabilità dell’azione pena escludono in radice, secondo la difesa, la giuridica configurabilità del conflitto; la differenza fra i temi oggetto dei distinti processi è stata determinata anche dalla mancata reiterazione della richiesta di sequestro preventivo da parte del Pubblico
ministero di Potenza, a fronte della confisca per equivalente disposta dal Tribunale di Lecce con la sentenza annullata, con il conseguente interrogativo sugli effetti che si determinerebbero in ipotesi di declaratoria di competenza della Corte di appello di Lecce.
Quanto alla situazione processuale su cui si era innestato il conflitto, la connessione fra i reati, con l’evenienza della competenza dell’Autorità giudiziaria di Potenza, per la difesa, sussisteva ab origine, per le ragioni già accennate nei precedenti atti, sicché l’averla rilevata soltanto in grado di appello impone di evocare, non il principio della perpetuatio lurisdictionis, ma una situazione di perpetuatio omissionis, situazione spiegata con i vari passaggi di fatto, all’esito dell’analisi dei quali si considera oggetto di interrogativo senza risolutiva risposta la ragione per la quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza non aveva iscritto COGNOME come concorrente di Capristo nell’abuso di ufficio, fin dall’epoca di effettiva emersione dei corrispondenti costituti dell’ipotesi di reato concorsuale, in particolare l’interrogatorio di COGNOME de 2.02.2019 e la lettera inviata dal carcere da COGNOME a Capristo, trasmessa dalla Procura leccese a quella potentina il 27.02.2019, sicché soltanto le incomprensibili omissioni delle due Procure avevano determinato il ritardo nell’iscrizione di COGNOME nel registro degli indagati il 16.01.2021, dopo l’emissione della sentenza di primo grado da parte del Tribunale di Lecce. In tal senso vengono enucleati anche i punti della motivazione della decisione di quest’ultimo Tribunale che si ritengono confermativi del prospettato inquadramento, alla cui stregua occorre concludere che la connessione fra procedimenti, qui rilevante, sussisteva quantomeno a far data dal 4.03.2019, con conseguente infondatezza delle argomentazioni svolte dal Giudice dell’udienza preliminare di Potenza nell’ordinanza che ha sollevato il conflitto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In questa prospettiva, si sottolinea il potere della Corte di legittimità d valutare gli effetti della mancata iscrizione nella suddetta data anche di Nardi per il reato di abuso di ufficio, la retrodatazione richiesta rinvenendo la sua base logico-giuridica nella necessità di inquadrare la posizione sostanziale con riferimento ai dati indizianti già acquisiti.
Si ribadiscono, infine, le deduzioni critiche contenute negli altri scritt difensivi in punto di applicazione a questa fattispecie del principio della perpetuati° iurisdictionis, dal momento che il criterio attributivo della competenza ex art. 11 cod. proc. pen., di natura funzionale, è finalizzato a garantire l’imparzialità dell’organo giudicante, anche il profilo di cui al comma 3 della norma afferendo a questione che può eccepirsi o rilevarsi in ogni stato e grado del procedimento, con riferimento ai procedimenti connessi.
La difesa di COGNOME fa notare che è sopravvenuto altro mol:ivo di connessione
nell’iscrizione nel registro degli indagati n& 2022 di un terzo soggetto, quale appartenente alla magistratura, NOME COGNOME per reati commessi in concorso con COGNOME e già contestati innanzi all’Autorità giudiziaria di Lecce, con l’emissione di una nuova sentenza di incompetenza funzionale resa da altra sezione della Corte di appello di Lecce: sarebbe, quindi, incongruo che quest’ultimo procedimento si svolgesse innanzi all’Autorità giudiziaria di Potenza, mentre quello al vaglio dovesse tornare innanzi alla Corte di appello di Lecce.
Il Procuratore generale, all’esito della discussione, ha prospettato la declaratoria di competenza della Corte di appello di Lecce, osservando che, in modo coerente con lo sviluppo dell’elaborazione giurisprucienziale e tenendo conto del primario rilievo da annettere al principio di economia processuale, in particolare dopo la valorizzazione del principio della ragionevole durata, introdotto nell’art. 111 Cost., la perpetuati° iurisdictionis rileva anche nell’applicazione degli snodi determinati dalla disciplina di cui all’art. 11 cod proc. pen.
La difesa delle parti civili intervenute nella discussione (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME) ha concluso associandosi alle prospettazioni svolte dal Procuratore generale.
Anche le difese degli imputati ulteriori rispetto a quelli per i quali sono state depositate memorie hanno concluso nei medesimi, progressivi sensi prospettati dalla difesa dell’imputato COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
Innanzi tutto, va ritenuta l’ammissibilità del conflitto, poiché l’indubbi esistenza di una situazione di stasi processuale – derivata dal rifiuto, formalmente manifestato, dal Giudice per le indagini preliminari di Potenza di conoscere del procedimento in relazione al quale la Corte di appello di Lecce, con la sentenza del 1° aprile 2022, si è dichiarata incompetente, ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen., e ha anche annullato la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Lecce sull’esplicito presupposto della carenza di competenza ex art. 11 cit. di quell’Autorità giudiziaria per essere competente quella di Potenza appare insuperabile senza il presente intervento decisorio, risolutore del conflitto, da emettersi ai sensi dell’art. 32 cod. proc. pen.
Non può essere condivisa, sul tema, lai serie di prospettazioni oppositive svolta dalle difese degli imputati.
Quanto al rilievo che la sentenza di annullamento della prima decisione, determinata dalla affermata incompetenza, resa dalla Corte di appello di Lecce avrebbe assunto il crisma dell’irrevocabilità per non essere stata autonomamente impugnata, occorre osservare che la sentenza, avendo quale suo fulcro decisorio la declaratoria di incompetenza, suscettibile di dare luogo a conflitto di competenza ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen., non avrebbe potuto essere impugnata con ricorso per cassazione.
Il caso di specie va, dunque, regolato facendo applicazione del principio per cui i provvedimenti con cui il giudice dichiara la propria incompetenza, ordinando la trasmissione degli atti al giudice reputato competente, non possono essere impugnati per cassazione ai sensi dell’art. 568, comma 2, cod. proc. pen., in quanto, non essendo attributivi di competenza, comportano – qualora anche il secondo giudice si dichiari incompetente – l’elevazione del conflitto ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen., di guisa che dovrebbe dichiararsi inammissibile anche il ricorso di una delle parti avverso il provvedimento del giudice di secondo grado che abbia annullato il provvedimento reso dal giudice di primo grado, ritenuto poi incompetente (Sez. 2, n. 14094 del 01/02/2019, COGNOME, Rv. 275773 – 01).
D’altro canto, le sentenze che possono dar luogo a conflitti di giurisdizione o di competenza a norma dell’art. 28 cod. proc. pen., pur non essendo impugnabili, certo non si sottraggono all’ulteriore controllo giurisdizionale, perché, qualora poi diano concretamente luogo al conflitto, questo viene sottoposto, per la risoluzione, alla Corte di cassazione dal giudice di merito che lo rileva d’ufficio o su denuncia di parte (Sez. 2, n. 42151 del 24/09/2002, Minutola, Rv. 223413 – 01; Sez. 1, n. 4895 del 10/04/1996, COGNOME, Rv. 204640 – 01, anche per la precisazione che, ove tali sentenze non diano luogo al conflitto, la questione relativa alla competenza può essere liberamente prospettata davanti al giudice che procede e dedotta anche come motivo di appello e, successivamente, di ricorso per cassazione).
Né può accedersi alla, pure ventilata, deduzione di inquadrare la fattispecie in quella disciplinata dall’art. 28, comma 2, cod. proc. peri. lì dove – dopo l’enunciazione della regola di applicabilità delle norme sui conflitti anche nei casi analoghi a quelli previsti dal comma 1 – si dispone che, qualora il contrasto sia tra giudice dell’udienza preliminare e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest’ultimo.
Al di là di ogni ulteriore puntualizzazione, rileva evidenziare che la regola della prevalenza della decisione del giudice del dibattimento su quella del giudice dell’udienza preliminare opera esclusivamente per l’ipotesi in cui ricorra un “caso analogo” e, di conseguenza, essa non è applicabile allorché i giudici in coriffiSto,
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appartenenti a diversi uffici, siano stati investiti, mediante esercizio dell’azio penale da parte dei rispettivi organi del pubblico ministero, della cognizione dei medesimi fatti, ricorrendo, in tale ipotesi, un conflitto vero e proprio (Sez. 1, 20928 del 07/05/2015, Confl. comp. in proc. COGNOME, Rv. 263383 – 01; Sez. 1, n. 16555 del 01/04/2010, Confl. comp. in proc. COGNOME, Rv. 246942 – 0).
Precisato ciò, non si ritengono utilmente dedotte in questa sede, che ha ad oggetto esclusivamente la risoluzione del suindicato conflitto negativo di competenza individuato nei sensi che precedono, le prospettazioni relative a vizi del procedimento, quale, fra le altre, la dedotta violazione dell’art. 415-bis cod. proc. pen., con le corrispondenti formalità comunicative.
Le questioni afferenti al procedimento ma esulanti dalle contrastanti posizioni in punto di competenza non appaiono preclusive dell’ammissibilità del conflitto, atteso che la verifica implicata dai corrispondenti accertamenti trascende l’ambito cognitivo del procedimento incidentale introdotto dalla proposizione del conflitto di competenza, con riferimento alla cui specifica sfera l’ordinamento (all’art. 32 cod. proc. pen.) coordina il potere-dovere della Corte di esaminare gli atti processuali relativi al giudizio di merito, al di là del norma limite istituzionale di giudice di legittimità.
2.1. Né possono far ritenere superata la persistenza del conflitto gli atti afferenti alla gestione del sequestro ritenuto operante e quelli riguardanti le posizioni delle parti civili segnalati come compiuti dal Giudice dell’udienza preliminare di Potenza in tempo antecedente all’adozione dell’ordinanza con cui è stato proposto il conflitto negativo di competenza.
Non obliterata la natura – funzionale, come si preciserà, e non meramente territoriale – della competenza di cui si controverte, gli atti dedotti dalle dif degli imputati come emessi dal secondo dei Giudici confliggenti prima dell’emissione dell’ordinanza succitata, per un verso, non hanno certo integrato l’esplicazione dell’essenziale attività giurisdizionale rispetto a cui il Giudice s poi ritenuto incompetente, ossia l’adozione dell’atto a cui era funzionalizzato lo svolgimento dell’udienza preliminare (il decreto che dispone il giudizio o, all’opposto, la sentenza di non luogo a procedere), e, per altro verso, non hanno concretato una fattispecie procedimentale idonea a determinare la cessazione del conflitto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 29 cod. proc. pen.
È vero che la cessazione del conflitto di competenza, sia positivo che negativo, non esige alcuna particolare formalità, in quanto essa non è prevista dall’art. 125 cod. proc. pen., anche quando il conflitto sia stato sollevato con sentenza, posto che le pronunzie di incompetenza non sono suscettibili di passare in giudicato (Sez. 1, n. 22700 del 16/04/2004, COGNOME, Rv. 28508 –
01).
Non è meno vero, però, che la cessazione del conflitto costituisce l’esito della declaratoria emessa, anche di ufficio, da parte di uno dei due giudici in conflitto della propria competenza .(in ipotesi di conflitto negativo) o della propria incompetenza (in ipotesi di conflitto positivo): e nessuno degli atti prospettati dalle difese come assunti dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza ha comportato l’effettuale affermazione della propria competenza a procedere alla compiuta definizione dell’attività processuale in corso di svolgimento; per contro, l’emissione dell’ordinanza che ha proposto il conflitto, senza la previa assunzione del provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare, costituisce la dimostrazione tangibile e univoca del suesposto rilievo.
In questo senso, non potrebbe sostenersi che, con l’adozione di quegli atti gestori o comunque interinali, il Giudice dell’udienza preliminare abbia portato a compimento l’attività procedimentale in relazione alla quale si è dichiarato incompetente.
Sull’argomento, d’altro canto, è utile segnalare che – quando l’elaborazione giurisprudenziale maggioritaria afferma che non sussiste conflitto negativo di competenza qualora il giudice per le indagini preliminari ritenuto competente ex art. 27 cod. proc. pen., anziché ricusare immediatamente la cognizione del procedimento ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen., applichi, comunque, una misura cautelare – essa perviene a tale approdo proprio perché ritiene che il compimento dell’atto emesso dal giudice prima di proporre il conflitto abbia avuto l’effetto di realizzare la funzione di stabilizzazione del procedimento (per tutte, Sez. 1, n. 28980 del 10/09/2020, Confl. comp. in proc. Diop, Rv. 279727 01) e, così, di far cessare la stasi processuale che determina la necessità di risolvere il conflitto: situazione affatto diversa da quella oggetto dell’attua vaglio.
2.2. Non si rivela determinante per escludere l’evenienza del conflitto l’obiezione (sollevata dalla difesa di COGNOME) inerente ad alcuni mutamenti della struttura della complessiva imputazione, come portata al vaglio del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza, con riferimento alla precisazione del tempo del commesso reato di cui al capo 1), alla configurazione in senso riduttivo del reato di cui all’art. 346 cod. pen., quanto al capo 2), all corrispondente riduzione del fatto di cui al capo 3), alla mancata riproposizione del reato di cui al capo 6).
Si muove, per vero, dalla considerazione che, anche per quanto riguarda il conflitto negativo di competenza, si presuppone l’identità ontologica del fatto in ordine al quale si procede, identità assunta nel suo significato comune per designare l’elemento materiale del reato, nelle sue tre componenti costituite
dalla condotta, dall’evento e dal rapporto di causalità, realizzatosi nelle identiche condizioni di tempo, di luogo e di persona, nel senso che è indispensabile la piena coincidenza degli elementi strutturali e temporali del fatto, sia dal punto di vista soggettivo, sia da quello oggettivo, con la conseguenza che qualsiasi apprezzabile differenza degli elementi costitutivi delle fattispecie dedotte nei due distinti procedimenti impedisce che possa ipotizzarsi un conflitto ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 41715 del 16/09/2015, Confl. comp. in proc. COGNOME e altro, Rv. 264979 – 01; Sez. 1, n. 2787 del 16/04/1997, Confl. comp. in proc. COGNOME, Rv. 207653 – 01).
Va, in pari tempo, considerato che, nella specie, il conflitto negativo di competenza riguarda il caso della competenza derogatoria di cui all’art. 11 cod. proc. pen. per l’evenienza del vincolo della connessione di cui al comma 3 della norma: ragione per la quale l’identità degli elementi qualificanti va anzitutto verificata con riferimento alle fattispecie generatrici della connessione valutata come determinante, sia pure con opposta prospettazione risolutiva, dai giudici in conflitto.
Orbene – rispetto all’emersione della connessione, per la sussistenza del vincolo della continuazione fra il reato associativo, ascritto, fra gli altri, a Na di cui al capo 1) del libello accusatorio oggetto della decisione della Corte di appello di Lecce e il reato di cui capo B) della rubrica che contrassegna una delle imputazioni ascritte a COGNOME e COGNOME per le quali il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza ha esercitato l’azione penale nel secondo dei procedimenti qui considerati – le immutazioni dedotte non vengono in alcun modo prospettate come sussistenti in maniera apprezzabile, né esse risultano tali, sicché non si rileva, in concreto, alcuna ragione idonea (se verificata) a far venire meno la connessione suindicata (come d’altronde non negano i difensori degli imputati che, anzi, oltre a convenire sulla sussistenza di tale connessione qualificata, la prospettano come maturata in tempo ancora antecedente).
Il conflitto negativo di competenza, pertanto, deve considerarsi, anche sotto questo profilo, sussistente.
2.3. Non integra, infine, una questione di ammissibilità del conflitto quella relativa alla mancata individuazione da parte del giudice che l’ha proposto di altra e diversa autorità giudiziaria dotata della competenza ricusata dai confliggenti (autorità dalla difesa di Nardi indicata, però senza concreti agganci, nel Tribunale di Perugia): deve osservarsi (e ciò rileva anche per l’epilogo di questo procedimento) che, quando si verte in materia di conflitto negativo di competenza, la Corte di cassazione non è vincolata, nella soluzione del caso, alle indicazioni espresse dai giudici in conflitto e alla qualificazione giuridica del fatt storico e alla stessa non è precluso di individuare e determinare la competenza
di un terzo giudice, il quale non abbia, o nei cui confronti non sia stato, promosso il conflitto di competenza (Sez. 1, Sentenza n. 5610 del 26/01/2022, Confl. comp. in proc. Russo e altri, Rv. 282724 – 01).
3. Trascorrendo all’analisi precipuamente finalizzata alla risoluzione del conflitto, con riferimento alla natura della – qui rilevante – competenza derogatoria disciplinata dall’art. 11 cod. procn pen., si muove dalla constatazione che la norma, dettata specificamente per i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, stabilisce, al comma 1, che tali procedimenti che, secondo le disposizioni ordinarie in tema di competenza per territorio, sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte di appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o esercitava al momento del fatto, sono, invece, di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge. La norma che ha definito il corrispondente criterio di collegamento è costituita dall’art. 1 disp. att. cod. proc. pen., a mente del quale, agli effetti di quanto stabilito dall’art. 11 del codice, distretto di corte di appello nel cui capoluogo ha sede il giudice competente è determinato sulla base della tabella A allegata alle medesime disposizioni di attuazione: essa, per quel che qui rileva, contempla il trasferimento dei procedimenti dal distretto di Corte di appello di Lecce a quello di Corte di appello di Potenza.
Poi, l’art. 11 cit. stabilisce, al comma 2, che, se nel distretto determinato ai sensi del comma 1 il magistrato stesso è venuto ad esercitare le proprie funzioni in un momento successivo a quello del fatto, è competente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte di appello determinato ai sensi del medesimo comma 1.
La norma, infine, al comma 3, estende questa competenza derogatoria ai procedimenti connessi, disponendo che i procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato sono di competenza del medesimo giudice individuato a norma del comma 1.
3.1. Impregiudicate le precisazioni che seguiranno, questa competenza va, alla stregua dell’orientamento qui condiviso, considerata di natura funzionale, non semplicemente territoriale, con conseguente rilevabilità, anche di ufficio, del relativo vizio in ogni stato e grado del procedimento (Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 229633 – 01; fra le successive, Sez. 6, n. 13182 del 02/04/2012, COGNOME, Rv. 252593 – 01; nello stesso senso anche Sez.
2, n. 30199 del 30/06/2022, COGNOME, Rv. 283685 – 01, pur se con specificazioni in merito alla concorrente operatività della perpetuatio iurisdictionis).
È significativo, al riguardo, ribadire che la ratio che presiede alla disciplina detta dall’art. 11 cod. proc. pen. è “pacificamente ravvisata nell’esigenza, particolarmente marcata nel processo penale (stante la natura degli interessi coinvolti e l’assenza della mediazione dell’impulso paritario delle parti: vedi Corte cost. sentt. n. 51/1998 e n. 147/2004), di evitare che il rapporto di colleganza e normale frequentazione nascente dal comune espletamento delle funzioni nello stesso plesso territoriale possa inquinare, anche solo nelle apparenze, l’imparzialità del giudizio (v. in particolare, sul punto, Corte cost., ord. 462/1997)”, per modo che sia salvaguardata (come è stato puntualizzato da Sez. U Scabbia, cit., con ulteriore richiamo alle indicazioni desumibili da Corte cost. ordd. n. 462 del 1997 e n. 570 del 2000) l’esigenza “di garantire che il processo penale si svolga, e appaia svolgersi, nella più perfetta imparzialità, potendo questa essere, o apparire, alterata, dalla circostanza che a giudicare di un reato nel quale è indagato, imputato, offeso o danneggiato un magistrato, sia un giudice che, per appartenere allo stesso plesso territoriale in cui il detto magistrato abbia esercitato o sia venuto ad esercitare le sue funzioni, abbia con quello un rapporto di colleganza e di normale frequentazione (certamente più marcato rispetto a quello che può instaurarsi, ad es., con gli avvocati o col personale di cancelleria)”
3.2. Quanto all’accertamento del momento in cui si verifica la situazione determinante l’applicazione della competenza derogatoria, si danno per assodati i criteri fissati in via generale dal più autorevole consesso della giurisprudenza di legittimità tenendo conto anche del criterio attributivo della competenza costituito dalla connessione che nel caso in esame pure viene in rilievo.
Al riguardo, è stato chiarito, con primario riferimento al tema del riparto tra giudice monocratico e collegiale, ma con implicazioni più ampie, che l’attribuzione determinata da ragioni di connessione va valutata al momento del rinvio a giudizio, non sulla base dei fatti così come contestati nella richiesta del pubblico ministero, dal momento che il principio della perpetuati° iurisdictionis, inteso come immutabilità della competenza a fini di certezza ed economia processuale e di tutela della ragionevole durata del processo, non può non riferirsi alla contestazione risultante dal complessivo vaglio del giudice dell’udienza preliminare sull’accusa formulata dal pubblico ministero e alla conseguente individuazione del giudice naturale operata sulla base dell’esito di quel controllo (Sez. U, n. 48590 del 18/04/2019, Confl. comp. in proc. Sacco, Rv. 277304 – 01; v. anche Sez. U, n. 28908 del 27/09/2018, dep. 219, Balais
COGNOME Rv. 275869 – 01).
In pari tempo, deve considerarsi principio acquisito quello per cui le regole sulla competenza derivante dalla connessione di procedimenti non sono subordinate alla pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado, in quanto anche il criterio di riparto della competenza basato sulla connessione costituisce un criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza stessa (Sez. U, n. 27343 del 28/02/2013, Taricco, Rv. 255345 – 01).
Il Collegio tiene conto dei richiamati principi condividendoli pienamente. Deve, tuttavia, osservare che la disciplina della competenza di cui all’art. 11 cod. proc. pen., come estrinsecata anche al comma 2 della norma e come già ripetutamente interpretata in sede di legittimità, determina una deroga al principio della perpetuatio iurisdictionis per quanto concerne l’emersione del fatto dell’esercizio delle funzioni nel distretto di interesse.
È stato, in particolare, chiarito (da Ser. 1, n. 3766 del 20/05/1999, Confl. comp. in proc. COGNOME, Rv. 213869 – 01), che il principio di cui all’art. 11 co proc. pen. non si applica ai soli giudizi di primo grado.
Si è riflettuto che la norma, se è ricompresa nel capo riguardante la competenza per territorio, che, quando è ritualmente individuata, non subisce nei gradi successivi deroghe, operando la perpetuati° iurisdictionis, è collocata nel più generale titolo riguardante il giudice e, tenuto conto dell’evidenziata sua ratio, disciplina un caso predeterminato di individuazione della competenza assimilabile, se non ragguagliabile, all’istituto della rimessione del processo: in concreto, come per la rimessione del processo “per provvedimento della Corte di cassazione” disciplinata dall’art. 45 cod. proc. pen., tale disciplina contempla una sorta di individuazione automatica, ex lege, del giudice competente nell’ipotesi cui il processo abbia ad oggetto un reato rispetto al quale un magistrato, appartenente a un ufficio del medesimo distretto, sia imputato ovvero persona offesa.
L’assimiiazione alla rimessione deriva dalla constatazione che, in questo caso, la legge individua una sorta di incompatibilità che inerisce, non alla singola persona di un giudice, bensì all’intero ufficio giudiziario che, secondo le regole generali sulla competenza territoriale, sarebbe competente a decidere; ciò, con la specificità che in questo caso, non è il provvedimento del giudice di legittimità, ma è la stessa legge, senza la mediazione del provvedimento giurisdizionale, a individuare, quando si verifica il presupposto, il giudice che in deroga ai principi sulla competenza territoriale è da ritenersi dotato dell’attribuzione decisoria.
Come si è anticipato, la ratio dell’istituto si identifica nella necessità di assicurare la serenità e obiettività dei giudizi nonché la terzietà e imparzialità de giudice, anche con riferimento alla necessità che il giudice appaia tale, perni
giudice, anche con riferimento alla necessità che il giudice appaia tale, per eliminare presso l’opinione pubblica qualsiasi sospetto di parzialità determinato dal rapporto di colleganza e dalla normale frequentazione tra magistrati operanti nello stesso ufficio giudiziario o in uffici giudiziari appartenenti al medesimo distretto di corte di appello, come ha avuto modo di chiarire anche il Giudice delle leggi (Corte cost., ord., n. 462 del 1997).
Non si vede dunque come questo così generale principio non debba applicarsi anche ai giudici di merito di secondo grado per i quali sia maturato il presupposto previsto dalla norma, mentre è del pari chiaro perché la disciplina derogatoria non si ritiene riguardi i magistrati addetti alla Corte di cassazione, la cui competenza è nazionale, al di là della considerazione che questa Corte è ordinariamente giudice di legittimità, non del merito della vicenda (ove è più pregnante il pericolo di turbativa alla serenità di giudizio, o l’apparenza di esso, che la norma mira a escludere il radice)
Si è, quindi, affermato che – non già in forza di interpretazione analogica, bensì – in virtù di una corretta, letterale e sistematica, interpretazione dell’ar 11 cod. proc. pen., la relativa disciplina deve applicarsi anche nel caso in cui un magistrato, addetto alla corte di appello, sia imputato o persona offesa da un reato in ordine al quale la stessa Corte di appello è chiamata a decidere, ancorché il giudizio di primo grado sia stato regolarmente celebrato davanti al giudice naturale, individuato secondo le regole generali, non sussistendo a quel momento per il magistrato interessato le condizioni di cui al medesimo art. 11 cod. proc. pen.
3.3. In questo specifico senso, non si è ritenuta rilevante in contrario l’obiezione secondo cui l’interpretazione confliggerebbe cori il principio della perpetuatio iurisdictionis e, per tale ragione, sarebbe da scartare: invero, gli effetti di tale principio, che costituisce regola funzionale alla razionali processuale, non possono non essere rimodulati in questa specifica evenienza ordinamentale in cui il principio deve essere armonizzato con quello della terzietà ed imparzialità del giudice, di spessore certo non minore e sicuramente dotato di solido presidio costituzionale.
E il disposto del comma 2 dell’art. 11 cit., articolando l’individuazione del giudice titolare della competenza derogatoria in espresso senso diacronico, corrobora l’interpretazione della regola nel senso prima esposto.
Quando, dunque, la situazione di fatto determini la necessità di applicare, all’esordio del processo di cognizione di secondo grado, il criterio di competenza derogatoria dettato dall’art. 11 cod. proc. pen., si verifica l’effetto che determinato giudice di appello possa trovarsi a dover giudicare sulle sentenze pronunciate da giudici di primo grado di altro distretto.
Si tratta, tuttavia (e anche questa è una notazione svolta dalla giurisprudenza richiamata), di un percorso non sconosciuto all’ordinamento processuale, come si desume dal disposto dell’art. 623, lett. c), cod. proc. pen., in riferimento al giudizio di rinvio dopo l’annullamento da parte della corte di cassazione della sentenza di diversi organi collegiali, fra cui la corte di appello; s richiamano, poi, anche le fattispecie di rimessione del processo di cui all’art. 45 cod. proc. pen.: e l’istituto della rimessione disciplinato da quest’ultima norma si applica esplicitamente a situazioni che si siano determinate “in ogni stato e grado del processo di merito”.
Sicché non costituisce un’anomalia sistematica l’aver previsto da parte del legislatore un’ulteriore ipotesi di giudizio di secondo grado devoluto a un giudice di merito che sia chiamato a valutare sentenze pronunciate da un giudice di primo grado di altro distretto.
Il ragionamento ora ripercorso ha trovato conferma in un successivo arresto di legittimità, secondo cui – sul ribadito presupposto che la speciale competenza stabilita dall’art. 11 cod. proc. pen. ha natura funzionale, e non semplicemente territoriale, derogando ai normali meccanismi in materia ogni qual volta si verifichi il trasferimento del magistrato nella sede del giudice già individuata in base all’art. 11, comma 1, cod. proc. pen., con conseguente rilevabilità del vizio, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento – è corretta la devoluzione del processo di secondo grado a giudice di appello diverso da quello del distretto in cui era incardinato il giudice che aveva emesso la sentenza di primo grado in fattispecie in cui, nelle more tra il giudizio di primo e di secondo grado, un magistrato era stato trasferito presso la sede giudiziaria nella quale si doveva celebrare il processo in cui egli era persona offesa dal reato (Sez. 6, n. 16984 del 08/01/2008, COGNOME, Rv. 239639 01).
3.4. Nella prospettiva così enunciata e condivisa, è coerente aggiungere, secondo il Collegio, che la finalità perseguita dalla disciplina derogatoria dettata all’art 11 cod. proc. pen. – ossia escludere che anche nel prosieguo del giudizio di merito si determini la situazione che la norma individua come idonea a rendere, sia pure in termini di mera apparenza, iudex suspectus quello del distretto in cui ha operato o si trova a operare il magistrato coinvolto nel processo in uno degli indicati ruoli, finalità di pregnanza tale da imporre la necessaria armonizzazione con essa del principio della perpetuati° iurisdictionis -non riguarda il caso inverso, ossia quello in cui la situazione di fatto tale da innescare l’applicazione, regolarmente rispettata, della competenza derogatoria di cui all’art. 11 cit., venga meno, senza altre implicazioni, nel corso del processo.
Si tratta del caso scrutinato in sede di legittimità da Sez. 2, n. 301 9 del
2022, cit., la quale, affermata la natura funzionale della competenza in esame, ha puntualizzato che essa deve essere valutata nel momento in cui è emesso il decreto che dispone il giudizio, sicché, ove essa sia stata legittimamente ritenuta, eventuali successive modifiche delle condizioni che la determinano non influiscono su di essa, in ossequio al principio della perpetuatio iurisdictionis: enunciazione riferita però a una fattispecie nella quale il novum era stato determinato dalla successiva uscita dal processo del magistrato costituito parte civile per l’esclusione disposta dal giudice di primo grado.
Nella richiamata fattispecie, quindi, il novum (ritenuto, condivisibilmente, inidoneo a influire sulla competenza) non si era connotato per l’emersione nel corso del giudizio di merito della situazione di fatto tale da imporre la rinnovata applicazione del criterio derogatorio con devoluzione del giudizio al giudice di diverso distretto, ma – soltanto e diversamente – per la mera cessazione della situazione che, nelle scansioni previste dal rito, aveva imposto l’applicazione dell’art. 11 cit.; senza alcuna necessità e, quindi, senza alcuna possibilità di ritenere il giudice procedente suspectus nei sensi indicati in merito alla regiudicanda sottoposta al suo vaglio.
In tal senso, la prospettazione svolta, con il corrispondente richiamo, da parte del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza per trarne l’effetto dell’inderogabilità assoluta della perpetuatio non può essere fatta propria dalla Corte.
3.5. La sfera di applicazione del principio così stabilito, sulla scorta dell’interpretazione letterale e sistematica dell’art. 11 cod. proc. pen., non può, ad avviso del Collegio, non riguardare in eguale misura, per l’esplicito richiamo al comma 1 compiuto dal comma 3 della norma, i casi di connessione ivi disciplinati: d’altronde, non si è mancato di puntualizzare anche che la sussistenza di una causa di connessione tra più fatti, alcuni dei quali contestati in concorso con un magistrato, attribuisce al giudice cui spetta la cognizione dei reati ascritti al magistrato anche la competenza per le imputazioni riguardanti esclusivamente altri indagati, in forza della previsione di cui all’art. 11, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, COGNOME, Rv. 254283 – 01).
Una volta fissata la portata della regola di individuazione di questa competenza derogatoria di natura funzionale e attesa l’espressa re/atio emergente fra il comma 3 e il comma 1 dell’art. 11 cit., non potrebbe differenziarsene la sfera applicativa per i casi di connessione, m coerenza, d’altro canto, con il principio, già ricordato, della non subordinazione delle regole sulla competenza derivante dalla connessione di procedimenti alla pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado, nonché con l’inquadramento del criterio basato sulla connessione come criterio originario e autonomo di attribuzione
della competenza.
Le implicazioni di questo approdo appaiono svolgere sicuro rilievo con riferimento al procedimento in esame.
In ordine allo stesso vanno considerati come ineludibili due dati che risultano affermati e recepiti in modo conforme nei due provvedimenti dei giudici in conflitto: 1) la sussistenza della connessione, per continuazione, fra i due procedimenti; 2) l’emersione processuale di tale connessione soltanto all’esordio del giudizio di appello, dopo l’emissione della sentenza di primo grado da parte del Tribunale di Lecce.
Questi – determinanti – punti sono stati contrastati dalle difese degli imputati nei sensi richiamati in parte narrativa, ma le osservazioni svolte sulla corrispondente materia dalla Corte di appello di Lecce, sull’argomento condivise dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza, non si rivelano tali da essere disattese e sovvertite in questa sede.
Non si dubita che la Corte di cassazione, quando è chiamata a dirimere il conflitto di competenza, ha titolo a delibare i fatti oggetto di! contestazione e a verificare la qualificazione giuridica dei fatti stessi; ciò, muovendo peraltro da principio di diritto, affermato in tema di verifica della competenza funzionale e della competenza per territorio, nell’ipotesi di reati connessi, secondo cui tale competenza va determinata avendo riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero, a meno che la stessa non contenga rilevanti errori, macroscopici e immediatamente percepibili (Sez. 1, n. 43675 del 13/072023, Confl. comp. in proc. COGNOME e altri, non mass.; Sez. 1, n. 31335 del 23/03/2018, Confl. comp. in proc. Giugliano, Rv. 273484 – 01.; Sez. 1, n. 36336 del 23/07/2015, Confl. comp. in proc. Novarese, Rv. 264539 – 01).
4.1. Nel caso in esame, la Corte di appello di Lecce, dopo l’analitica ricognizione delle acquisizioni processuali progressivamente emerse (alle pagg. 13 e ss.), è pervenuta alla conclusione – poi condivisa dall’altro Giudice confliggente – che, al momento in cui la questione di competenza era stata portata dalle difese all’attenzione del Tribunale nel corso del primo grado, non ne sussistevano i presupposti in quel grado, presupposti che si sono concretati soltanto nel corso del giudizio di appello.
È stato spiegato, in modo argomentato, infatti, che, fino alla data del 15.01.2021, non era stato iscritto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza un procedimento che potesse dirsi connesso con il processo pendente innanzi all’Autorità giudiziaria di Lecce; la precedente iscrizione riguardava il solo NOME COGNOME per un’ipotesi di abuso di ufficio non contestata in concorso con COGNOME o con alcun altro degli imputati tratti a giudizio
innanzi al Tribunale di Lecce, senza che emergessero ragioni di connessione, rilevanti ai sensi dell’art. 12 cod. proc. peri. (non essendo sufficiente il mer collegamento probatorio o investigativo) e, quindi, idonee a innescare l’applicazione del criterio attributivo della competenza derogatoria di cui all’art 11, comma 3, cod. proc. pen.
4.2. Lo sviluppo del ragionamento svolto dalla Corte di appello è risultato privo di cesure logiche e, nel suo esito, adeguatamente dimostrativo della conclusiva affermazione che, pur a rendere noti tutti gli atti sino a quel momento disponibili, la questione di competenza nel corso dell’intero primo grado del giudizio svoltosi innanzi al Tribunale di Lecce non era meritevole di accoglimento.
Viceversa, l’iscrizione nel registro degli indagati in data 15.01.2021 di Capristo e Nardi quali concorrenti nel reato di cui agli artt. 81 e 319-ter cod. pen., inerente al fatto descritto sub b) nella corrispondente rubrica, seguita dagli atti susseguenti sino all’esercizio dell’azione penale nei confronti di entrambi, ha integrato la pendenza innanzi a quell’Ufficio giudiziario di un procedimento avente ad oggetto il reato di corruzione continuata in atti giudiziari, configurato in modo tale da far emergere la sua connessione, ai sensi dell’art. 12, lett. b), cod. proc. pen., con i reati ascritti a COGNOME nel processo intanto divenuto pendente innanzi alla Corte di appello di Lecce: stando alla relativa incolpazione, COGNOME, soggetto attivo della corruzione e componente con gli altri soggetti indicati nel capo di un’associazione per delinquere dedita alla commissione seriale di reati di tale tipo, fra i quali quelli intanto giudicati dal Tribunale di Lecce sentenza del 18.11.2020 (nel processo in corso in quella sede), e COGNOME, soggetto passivo della corruzione quale Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani, avevano concorso nelle corrispondenti condotte in Trani dal 2008 al 2016; dal complesso dell’ipotesi di accusa è emersa, allo stato degli atti valutati e salva la conclusiva valutazione del giudice della cognizione piena, la configurazione del vincolo della continuazione fra il suddetto delitto e quello di associazione per delinquere finalizzata a commettere, fra gli altri, reati di corruzione in atti giudiziari contestati a COGNOME al capo 1) del processo pendente innanzi alla Corte di appello di Lecce in secondo grado; i giudici di quest’ultimo processo hanno argomentato in tale direzione evidenziando che, in virtù dell’elevazione dell’accusa del reato di corruzione in atti giudiziari, era dato evincere, sempre in via di ipotesi accusatoria, che grazie alla corruzione di COGNOME da parte di COGNOME questi aveva potuto perseguire, nell’attuazione del medesimo disegno criminoso, gli interessi illeciti avvalendosi, unitamente agli altri sodali, dei radicati legami illustrati nel suddetto capo 1). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
È stato specificato dalla Corte di appello e anche su tale versante il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza non ha formulato consideraz’oni
di segno diverso – che nel caso di specie l’emersione della medesimezza del disegno criminoso era ipotizzabile al di là della, non decisivamente contrastante con essa, concorrente circostanza aggravante del nesso teleologico; e si è ritenuto evidente il dato per cui l’attività corruttiva nei confronti di COGNOME stata dispiegata dagli altri imputati, fra cui COGNOME, allo specifico fine di assicura piena operatività al sodalizio criminale, non soltanto la loro impunità.
Il tessuto argomentativo così richiamato, che vede orientati in modo conforme i Giudici confliggenti quanto ai due punti salienti in precedenza enucleati, non può, secondo il Collegio, essere superato dalla proposta dei difensori degli imputati (in particolare, di COGNOME e COGNOME) di arretrare la sussistenza della pendenza del procedimento connesso.
Di conseguenza, deve essere recepita la suddetta, concorde indicazione dei confliggenti, da un lato, in merito, alla sussistenza della connessione, per il vincolo della continuazione di cui all’art. 12, lett. b), cod. proc. pen., fra i due procedimenti, ma, dall’altro, in ordine all’insorgenza di tale connessione solo all’esordio del giudizio di appello, certamente dopo la conclusione del giudizio di primo grado con l’emissione, da parte del Tribunale di Lecce, della sentenza in data 18.11.2020.
Applicando a questa situazione processuale i principi man mano enucleati, deve considerarsi che la Corte di appello di Lecce ha accolto in modo fondato l’eccezione sollevata dalle difese (fin dal primo grado e reiterata in grado di appello) per la parte di essa che aveva segnalato la sopravvenuta carenza di
competenza funzionale di quel giudice di secondo grado in virtù dell’emersione del procedimento – connesso a quello in corso – a carico dell’imputato COGNOME per il quale operava il criterio di cui all’art. 11 cod. proc. pen.
Corretta, GLYPH pertanto, è stata GLYPH l’individuazione dell’Autorità giudiziaria competente in quella del distretto di Potenza.
Invece, la stessa Corte di appello ha tratto un’ulteriore, ma giuridicamente non corretta, implicazione dalla rilevazione suddetta allorché, pur avendo constatato che il giudizio di primo grado si era svolto in modo rituale innanzi al Tribunale di Lecce, giudice dotato di competenza, ha applicato in modo, per così dire, retrospettivo la sopravvenuta situazione di fatto a quel giudizio annullando la sentenza resa del Tribunale, con un’applicazione non consentita dell’art. 24 cod. proc. pen.
Questa norma (come incisa dalla Corte costituzionale) legittima il giudice di appello a pronunciare sentenza di annullamento della sentenza di primo grado, con trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice ritenuto competente, quando riconosce che il giudice emittente la sentenza di primo grado “era incompetente (..)”, ma non legittima una siffatta pronuncia quando il giudice di primo grado non era incompetente:: e nel caso in esame il Tribunale di Lecce non era incompetente, essendo insorta la situazione di fatto determinativa dell’applicazione dell’art. 11 cod. proc. pen. quando quel grado del giudizio era stato definito.
5.1. Sulla base delle notazioni che precedono, è coerente affermare che, proprio alla stregua della peculiare disciplina che connota l’art. 11 cit., l situazione che determina la – sopravvenuta alla definizione del giudizio di primo grado – competenza funzionale, anche per connessione, del giudice di altro distretto rispetto a quello di riferimento del magistrato coinvolto nel processo, rileva (in deroga al criterio della perpetuatio) per l’individuazione del giudice di secondo grado cui è attribuita la cognizione del processo, ma non infirma in alcun modo il processo di primo grado e la sentenza emessa in esito alla sua celebrazione.
5.2. Corollario delle svolte considerazioni è la conclusione che la Corte di appello di Lecce avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare la propria incompetenza a decidere l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Lecce per essere sopravvenuta la competenza, ex art. 11 cod. proc. pen., della Corte di appello di Potenza.
L’annullamento della sentenza emessa dal Tribunale di Lecce e la conseguente affermazione della competenza del Tribunale di Potenza a decidere sulla complessiva imputazione che aveva costituito la regiudicanda integra, al contrario, una statuizione giuridicamente erronea, perché essa è stata resa dopo
avere accertato che la competenza ex art. 11 cod. proc. pen. non aveva riguardato il giudizio di primo grado.
Se a determinare quest’ultima statuizione è stata la presupposizione che essa era necessariamente implicata dall’avvenuta affermazione della competenza per connessione dell’Autorità giudiziaria di Potenza e dall’esigenza che per lo scrutinio del complesso delle accuse inerenti ai reati connessi necessitasse il simultaneus processus, deve osservarsi che questa presupposizione non meritava, né merita di essere condivisa.
Il già richiamato, autorevole orientamento di legittimità (Sez. U, n. 27343 del 2013, cit.) che ha rimarcato la natura di criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza quello scaturente dalla competenza per connessione, ha, nello stesso tempo, sottolineato che le regole sulla competenza derivante dalla connessione di procedimenti non sono subordinate alla pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado.
E, chiarendo la portata di questa affermazione, l’arresto regolatore ha evidenziato la netta differenza intercorrente fra l’istituto della connessione fra procedimenti e quello della riunione, dando luogo, quest’ultimo, a un provvedimento ordinatorio riguardante, ex art. 17 cod. proc. pen., i processi pendenti nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice, provvedimento rimesso alla valutazione discrezionale del giudice e ammesso quando non determini un ritardo nella definizione dei procedimenti.
La giuridica necessità di applicare il criterio attributivo della competenza determinata da connessione, dunque, non viene meno quando i procedimenti non pendano nello stesso stato e grado, sicché la corrispondente regola opera a prescindere dalla possibilità di riunire al procedimento in cui la questione è stata formulata o rilevata a quello connesso.
Pertanto, il conflitto deve essere risolto con la declaratoria di competenza per il giudizio di appello della Corte di appello di Potenza, ossia un giudice diverso dai confliggenti: opzione giuridicamente consentita, secondo le notazioni già sviluppate in precedenza.
Inoltre, per pervenire a tale declaratoria di competenza riguardante il solo giudizio di appello, è propedeutica la caducazone, mediante annullamento senza rinvio, della sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, caratterizzata dall’erroneo annullamento della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Lecce e dal, conseguentemente viziato, atto di trasmissione degli atti al Pubblico ministero presso il Tribunale di Potenza.
La restitutio del corso procedimentale all’originario grado di appello determina il prosieguo del processo nello stato in cui esso si trovava al momento
della pronuncia demolitoria della Corte di appello di Lecce, pronuncia di questa sentenza determina la caducazione.
Ciò, ferma la regiudicanda pendente in secondo grado, da conoscersi e decidersi da parte della Corte di appello di Potenza, giudice individuato c competente, non interferisce con eventuali iniziative che gli organi tit dell’esercizio dell’azione penale abbiano inteso o intendano assumere per amb non ricompresi da quello proprio del processo in corso.
In coerenza con le indicate statuizioni, infine, la disposizione di trasmis degli atti deve essere enunciata in modo da farli pervenire alla Corte di appel Potenza, che dovrà disporre per l’ulteriore corso, con la celebrazione del giu di secondo grado.
P.Q.M.
Decidendo sul conflitto, dichiara la competenza della Corte di appello Potenza e, per l’effetto, annulla senza rinvio la sentenza della Corte di app Lecce n. 644 del 1° aprile 2022.
Dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Potenza pe prosecuzione del giudizio di secondo grado.
Così deciso il 9 novembre 2023
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