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Competenza esecuzione penale: la regola della Cassazione

La Corte di Cassazione risolve un conflitto di competenza nell’esecuzione penale tra il giudice monocratico e quello collegiale dello stesso Tribunale. La Corte stabilisce che, in caso di provvedimenti emessi da giudici diversi, la competenza spetta al giudice che ha emesso l’ultima sentenza irrevocabile (regola generale dell’art. 665, comma 4, c.p.p.), e non al collegio, la cui competenza speciale (art. 665, comma 4-bis) si applica solo quando tutti i provvedimenti provengono dallo stesso tribunale.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Competenza Esecuzione Penale: Regola Generale vs. Regola Speciale

La determinazione della competenza nell’esecuzione penale è un aspetto cruciale della procedura, specialmente quando un condannato deve unificare più sentenze. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha chiarito un importante dubbio interpretativo: in caso di sentenze emesse sia da un giudice monocratico sia da un collegio, chi è il giudice competente a decidere? La risposta risiede nella distinzione tra la regola generale e una norma speciale, spesso fonte di confusione.

I Fatti del Caso

Un soggetto, condannato con quattro diverse sentenze, presentava un’istanza al Tribunale per ottenere il riconoscimento della continuazione tra i reati. La richiesta veniva inizialmente assegnata al Tribunale in composizione monocratica. Questo giudice, tuttavia, declinava la propria competenza, ritenendo che, poiché una delle sentenze era stata emessa dal Tribunale in composizione collegiale, la competenza spettasse a quest’ultimo, in base a una specifica norma del codice di procedura penale (art. 665, comma 4-bis).

Gli atti venivano quindi trasmessi al Tribunale in composizione collegiale, il quale, a sua volta, sollevava un conflitto negativo di competenza. Secondo il collegio, la norma citata dal giudice monocratico era una regola eccezionale, applicabile solo quando tutte le sentenze provengono dallo stesso ufficio giudiziario. Nel caso di specie, invece, si doveva applicare la regola generale, che individua la competenza nel giudice che ha emesso l’ultima sentenza divenuta irrevocabile, che in questo caso era proprio il giudice monocratico.

La Questione sulla Competenza nell’Esecuzione Penale

Il cuore della questione risiede nel coordinamento di due commi dell’articolo 665 del codice di procedura penale:

La Regola Generale (Comma 4)

Il comma 4 stabilisce che, se l’esecuzione riguarda più provvedimenti emessi da giudici diversi, la competenza spetta al giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo. Questo criterio mira a garantire un unico punto di riferimento per la gestione della fase esecutiva.

La Regola Speciale (Comma 4-bis)

Il comma 4-bis, introdotto con la riforma del giudice unico, prevede che se l’esecuzione riguarda provvedimenti emessi dallo stesso tribunale, ma in diverse composizioni (monocratica e collegiale), la competenza è sempre del collegio. Questa norma ha lo scopo di gestire la distribuzione interna del lavoro all’interno di un medesimo ufficio giudiziario.

Il conflitto nasceva proprio dall’interpretazione di quest’ultima disposizione: si tratta di una regola che prevale sempre o solo in circostanze specifiche?

le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, chiamata a risolvere il conflitto, ha dato ragione al Tribunale in composizione collegiale, attribuendo la competenza al giudice monocratico. Gli Ermellini hanno chiarito che l’interpretazione del giudice monocratico era errata. La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che la regola speciale del comma 4-bis dell’art. 665 c.p.p. si applica esclusivamente all’ipotesi in cui una pluralità di provvedimenti sia stata pronunciata dallo stesso tribunale, in composizione sia monocratica che collegiale. La sua funzione è quella di disciplinare la competenza interna e la distribuzione degli affari all’interno di un unico ufficio.

Quando, invece, i provvedimenti provengono da giudici diversi (anche se uno di essi è una diversa articolazione dello stesso tribunale), torna ad applicarsi la regola generale fissata dal comma 4 dello stesso articolo. Pertanto, la competenza si radica presso il giudice (monocratico o collegiale) che ha pronunciato la sentenza divenuta irrevocabile per ultima.

Nel caso specifico, l’ultima sentenza irrevocabile era stata emessa dal Tribunale di Roma in composizione monocratica. Di conseguenza, la competenza a decidere sull’istanza di continuazione spettava a quest’ultimo.

le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale per la corretta individuazione del giudice dell’esecuzione. La norma che affida la competenza al collegio in presenza di sentenze di diversa composizione (art. 665, comma 4-bis) è una deroga eccezionale e non può essere applicata al di fuori del suo specifico ambito, ovvero la pluralità di provvedimenti emessi dal medesimo ufficio giudiziario. In tutti gli altri casi, vige la regola generale della posteriorità del giudicato, che assicura certezza e coerenza nella gestione della fase esecutiva. Questa decisione fornisce un criterio chiaro per gli operatori del diritto, evitando inutili stasi processuali derivanti da conflitti di competenza.

Quando si applica la regola che assegna la competenza al giudice collegiale se ci sono sentenze emesse sia da giudici monocratici che collegiali?
Questa regola (art. 665, comma 4-bis, c.p.p.) si applica solo nell’ipotesi di una pluralità di provvedimenti pronunciati tutti dallo stesso tribunale, che opera sia in composizione monocratica che collegiale. È una norma per la distribuzione interna del lavoro.

Quale giudice è competente a decidere sull’esecuzione se le sentenze provengono da giudici diversi?
In caso di provvedimenti emessi da giudici diversi, si applica la regola generale dell’art. 665, comma 4, c.p.p.: è competente il giudice, monocratico o collegiale, che ha pronunciato il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto ammissibile il conflitto di competenza tra due giudici dello stesso Tribunale?
La Corte lo ha ritenuto ammissibile perché il rifiuto formale di entrambi i giudici (uno monocratico e l’altro collegiale, sebbene dello stesso ufficio) a trattare il procedimento creava una situazione di stasi processuale che solo l’intervento della Corte di Cassazione poteva risolvere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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