Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 31894 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 31894 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a PESCIA il 10/04/1944
avverso il decreto del 07/11/2024 del TRIBUNALE di PISTOIA
visti gli atti, letto il provvedimento impugnato e il ricorso degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché la memoria difensiva; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona della Sostituta P.G. NOME
COGNOME la quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Ricorso trattato ai sensi dell’art. 611 c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
Con domanda presentata ai sensi dell’art. 58 d.lgs. 159/2011, COGNOME NOME, esercente la professione legale, chiedeva l’ammissione dei crediti spettanti in via privilegiata, per complessivi euro 227.632,51 quale compenso per l’attività professionale svolta, nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE su mandato di NOME e COGNOME NOME, amministratori della citata società nell’ambito di diverse pratiche, distintamente esaminate nel provvedimento impugnato.
Con provvedimento del 14 giugno 2024, il GIP del Tribunale di Pistoia, quale giudice delegato ai sensi dell’art. 104-bis disp. att. cod. proc. pen., ammetteva solo in parte i crediti di cui COGNOME NOME domandava l’ammissione allo stato passivo per attività giudiziali e stragiudiziali espletate. In particolare, riconosceva al richiedente un credito di euro 29.133,13 in via privilegiata, oltre euro 1.964,22 in chirografo, come proposto dagli amministratori giudiziari.
Il ricorrente impugnava il provvedimento del Gip, ai sensi dell’art. 59 d.lgs. cit., al Tribunale di Pistoia che, con decreto del 7 novembre 2024, rigettava l’opposizione.
COGNOME GiovanniCOGNOME a mezzo dei difensori di fiducia, ricorre per cassazione avverso il decreto del Tribunale di Pistoia, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione.
Con il ricorso si ripropongono le censure formulate in sede di opposizione sulla complessità dell’attività svolta e sulla corretta applicazione dei parametri e la rilettura della documentazione allegata alla richiesta di ammissione allo stato passivo.
In particolare, si premette che la domanda di ammissione riguarda i crediti che spetterebbero in via privilegiata al ricorrente quale compenso per l’attività professionale svolta nell’interesse della società, su mandato degli amministratori, in relazione ad una serie di pratiche.
Il Tribunale ha rigettato le domande di ammissione sul rilievo che mancherebbe un preventivo accordo sulla misura del compenso per le prestazioni professionali da compiere, nonché la prova della complessità dell’attività professionale svolta dal professionista.
Ad avviso della difesa, in mancanza della convenzione intervenuta tra le parti, il giudice non può in ogni caso diminuire oltre il 50% i valori medi di cui alle tabelle stabiliti con decreto ministeriale.
Inoltre, l’esclusione della complessità dell’attività professionale deriverebbe unicamente da un omesso esame della documentazione prodotta.
Infine, passandosi in rassegna tutte le pratiche in relazione alle quali è stata
avanzata domanda di ammissione dei crediti, la difesa avanza censure inerenti sia alla natura e ambito dell’attività professionale svolta dal legale ricorrente sia in relazione al quantum della misura del compenso liquidato.
Il Pubblico ministero, nella persona della sostituta P.G. NOME COGNOME con requisitoria del 27 luglio 2025, ha concluso perché venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Con memoria del 24 luglio 2025 la difesa del ricorrente ha insistito nei motivi di ricorso, a cui ha allegato requisitoria di altro P.G. con conclusioni favorevoli al ricorrente, relativa ad analogo ricorso dell’Avv. COGNOME, rubricato RG n. 13264/2025.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Occorre brevemente premettere che, in materia di liquidazione dei crediti quali compensi derivanti dall’attività professionale svolta, nel caso di assenza dell’accordo delle parti sulla misura del compenso, ai sensi dell’art. 13, comma 6, I. n. 247 del 2012, il giudice deve fare ricorso alle tariffe ministeriali stabilite co decreto del Ministro della giustizia. A mente di tale disposizione, infatti, i parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, ogni due anni, ai sensi dell’art. 1 comma 3, si applicano quando all’atto dell’incarico professionale il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale sia resa nell’interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge.
Inoltre, sulla scorta di un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore alla percentuale massima del 50% dei parametri medi e ciò per effetto di una scelta normativa intenzionale, volta a circoscrivere il potere discrezionale del giudice di quantificare il compenso o le spese processuali, e garantire, attraverso una limitata flessibilità del parametri tabellari, l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e della prestazione professionale (Sez. civ., n. 9815 del 13/04/2023, Rv. 667534 – 01).
La ratio è proprio quella di rimarcare l’inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base da parte degli organi giudicanti, a tutela del principio della trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali.
Pertanto, in assenza di una diversa convenzione in essere tra le parti, il
giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 37/2018, non potrà determinare il compenso al di sotto dei valori minimi, in quanto avente carattere inderogabile.
Inoltre, in sede di liquidazione dei compensi, non si deve procedere a confutare le singole voci e ad indicare la misura di ogni singola voce della tariffa, né è necessaria una diffusa motivazione, giacché la determinazione dell’importo da liquidare può essere espressione del processo di valutazione, sicché i criteri ricavabili dalle tariffe professionali, costituenti normazione secondaria e determinanti il limite alla valutazione discrezionale del giudice, possono essere sinteticamente individuati dalla somma liquidata, distinta per onorari e spese.
In tema di liquidazione dei compensi professionali ai difensori, il giudice è tenuto ad indicare il criterio seguito nella liquidazione e deve esporre le ragioni per le quali abbia ritenuto di non attribuire compensi e rimborsi per prestazioni indicate nella nota presentata dal legale, rapportando l’enunciazione della “ratio decidendi” agli argomenti difensivi svolti dalle parti.
Tanto premesso, va anzitutto escluso che il Gip, nel decreto con cui ha formato e reso esecutivo lo stato passivo, riconoscendo al ricorrente soltanto una parte dei crediti richiesti, sia incorso in violazioni di legge e che tale vizio ridondi, a sua volta, nel decreto confermativo del Tribunale oggetto del presente ricorso.
A fronte di una richiesta che, per ciascun credito professionale, faceva riferimento alla “tariffa media”, sia che si tratti di attività giudiziale c stragiudiziale, il giudice, pur attenendosi sui valori minimi valutando in termini di modesta complessità giuridica l’attività svolta dal professionista, non è sceso al di sotto dei limiti tariffari.
Inoltre, dalla lettura del provvedimento di rigetto della domanda di riconoscimento dei crediti nella misura indicata dal legale ricorrente, per come si ricava dall’opposizione presentata al Tribunale, non risulta che l’assenza di un mandato scritto abbia di per sé determinato la decadenza del diritto del professionista al riconoscimento del pagamento della prestazione. La mancanza del preventivo accordo sul compenso per le prestazioni professionali svolte è stato piuttosto apprezzato dal giudice delegato sotto due profili: il primo, quale mancanza dell’indicazione ad opera delle parti della misura del corrispettivo stabilito che potesse orientare lo stesso giudice nella liquidazione (cfr. pratiche: RAGIONE_SOCIALE, pag. 5; RAGIONE_SOCIALE – Tribunale di Firenze RG 6217/2014, pag. 8; RAGIONE_SOCIALE, pag. 14); il secondo, quale indice di carenza dimostrativa del contenuto dell’attività svolta che, sulla base delle puntuali indicazioni degli amministratori giudiziari, è stata ritenuta dai giudici di
merito “modesta”.
Quanto, poi, alla motivazione resa dal Tribunale, essa risulta analitica e congrua con riferimento a ciascuna delle pratiche per cui è stata formulata la richiesta di ammissione del credito allo stato passivo; il Tribunale ha adeguatamente richiamato e confutato le ragioni della parte poste a base dell’opposizione.
In particolare, il Tribunale ha validato la liquidazione dei compensi effettuata dal GIP ai fini dell’ammissione degli stessi in via privilegiata allo stato passivo richiamando:
in relazione alla pratica RAGIONE_SOCIALEto T.R. Trasporti, l’assenza di qualsivoglia pattuizione scritta circa il compenso dovuto al professionista e l’applicazione dei parametri di cui al DM 55/2014, come modificati dal DM 37/2018, nella misura minima sulla base della modesta complessità giuridica dell’attività svolta, quale si evince dalla documentazione allegata alla domanda di insinuazione al passivo;
in relazione alla pratica RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, la mancata dimostrazione dell’avvio del complesso iter autorizzativo imposto dalla procedura concorsuale, ai fini della vendita dell’immobile e la rilevanza, ai fini dell’individuazione dello scaglione da applicare, del solo valore dell’unico contratto concluso con la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE di cui è stata fornita la prova;
in relazione alla pratica RAGIONE_SOCIALE e alla pratica RAGIONE_SOCIALE Unipol Sai, l’assenza di qualsivoglia pattuizione scritta circa il compenso dovuto al professionista e l’applicazione dei parametri di cui al DM 55/2014, come modificati dal DM 37/2018, nella misura minima sulla base dell’assenza di complessità giuridica dell’attività svolta, richiamando la documentazione allegata alla domanda di insinuazione al passivo;
in relazione alla pratica RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e in relazione alla pratica RAGIONE_SOCIALECOGNOME, l’applicazione dei parametri di cui al DM n. 55/2014, come modificati dal DM n. 37/2018, nella misura minima sulla base della assenza di complessità giuridica dell’attività svolta, quale si evince dalla documentazione allegata, la corretta riduzione della fase istruttoria in relazione all’attività concreto svolta, e l’esclusione della fase di studio in relazione alla pratica RAGIONE_SOCIALE atteso l’esame del medesimo provvedimento sia per proporre impugnazione che per il giudizio inibitorio;
in relazione alla pratica RAGIONE_SOCIALE, l’inesistenza di attività difensiva qualificabile come stragiudiziale, diversa dalla successiva negoziazione assistita;
in relazione alle pratiche NOME Penale, l’attività difensiva dell’avvocato COGNOME espletata nell’esclusivo interesse di NOME e
COGNOME NOME che nei procedimenti penali in esame rivestivano la qualità di imputati, e il conferimento del mandato, non già a causa dell’ufficio amministrativo ricoperto in relazione alla contestazione alla società stessa dei reati, ma in conseguenza del comportamento dai predetti posto in essere in occasione dello svolgimento dell’ufficio amministrativo, e quindi l’assenza di prova di un onere a carico della RAGIONE_SOCIALE, di far fronte al pagamento dei crediti richiesti dal difensore.
A fronte di tali argomenti e alla luce dei motivi posti a fondamento dell’opposizione, le odierne censure di legittimità sono orientate a contestare il merito della decisione, finendo per sollecitare alla Corte di cassazione una rilettura degli elementi di fatto posti a base dei decreti impugnati, essendo invece precluso alla Corte di legittimità sovrapporre la propria valutazione a quella operata dai giudici di merito.
Nulla aggiungendo di decisivo la memoria difensiva ai fini dell’accoglimento dei motivi di ricorso, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, li 11 settembre 2025
Il Consiglier ,estensore
Il Presidente