LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Compenso amministratore giudiziario: chi paga?

In un caso di confisca di prevenzione successivamente revocata, il Tribunale ha autorizzato la restituzione dei beni ai proprietari solo dopo aver detratto l’ingente compenso dell’amministratore giudiziario. I proprietari hanno fatto ricorso in Cassazione, sostenendo che tale spesa dovesse essere a carico dello Stato. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, non per il merito della questione, ma per un vizio di procedura. Ha chiarito che il provvedimento del Tribunale, agendo come giudice dell’esecuzione, non poteva essere impugnato direttamente in Cassazione, ma doveva essere contestato tramite un’opposizione davanti allo stesso giudice.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 24 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Compenso amministratore giudiziario: chi paga se la confisca è revocata?

Quando un bene viene confiscato e poi restituito, una domanda cruciale emerge: a chi spetta pagare il compenso dell’amministratore giudiziario che ha gestito quel bene per anni? La spesa grava sul patrimonio del cittadino, che ha già subito un provvedimento poi rivelatosi ingiusto, o sullo Stato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta questo tema, non risolvendo la questione nel merito ma fornendo una bussola procedurale indispensabile per chi si trova in questa situazione.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un decreto di confisca di prevenzione emesso nel 2002 dal Tribunale di Salerno nei confronti di diversi soggetti e società. Dopo un lungo iter giudiziario, la Corte di Appello di Napoli, con un decreto divenuto definitivo nel 2021, ha revocato la confisca, ordinando la restituzione dei beni agli aventi diritto.

Gli amministratori giudiziari, incaricati della gestione dei beni durante il procedimento, hanno presentato il loro rendiconto. Dai ‘frutti della gestione’ (gli utili prodotti), per un totale di oltre 1,1 milioni di euro, avevano prelevato quasi 640.000 euro a titolo di compenso per il loro operato. Di conseguenza, le somme liquide rimaste da restituire ai proprietari ammontavano a circa 491.000 euro.

Il Tribunale di Salerno, con un’ordinanza del 2025, ha autorizzato gli amministratori a restituire solo questa somma residua, di fatto ponendo il loro compenso a carico dei patrimoni privati. Contro questa decisione, i proprietari dei beni hanno proposto ricorso per cassazione.

La questione del compenso amministratore giudiziario

I ricorrenti hanno lamentato la violazione degli articoli 42 e 43 del D.Lgs. 159/2011 (Codice Antimafia). Secondo la loro tesi, le spese per i compensi degli amministratori dovrebbero essere sempre a carico dell’Erario, specialmente quando la confisca viene revocata. Il prelievo dalle disponibilità della procedura sarebbe solo un’anticipazione per semplificare la gestione, ma in caso di revoca, lo Stato dovrebbe farsi carico di tali costi.

Deducendo il compenso dai ‘frutti della gestione’ spettanti ai privati, il Tribunale avrebbe, di fatto, scaricato su di loro un costo che la legge attribuisce allo Stato, vanificando in parte gli effetti della revoca della confisca.

Le Motivazioni della Cassazione: Inammissibilità per Errore Procedurale

La Corte di Cassazione, tuttavia, non è entrata nel merito della questione. Ha dichiarato i ricorsi inammissibili per un motivo puramente procedurale. La Corte ha stabilito che l’ordinanza del Tribunale di Salerno non era un atto legato alla procedura di approvazione del rendiconto (prevista dall’art. 43 del Codice Antimafia), ma un provvedimento emesso dal giudice dell’esecuzione.

In materia di misure di prevenzione, la competenza a decidere su questioni esecutive, come la restituzione dei beni dopo la revoca della confisca, spetta al giudice che ha disposto la misura. Per contestare i provvedimenti di questo giudice, il Codice Antimafia non prevede una disciplina specifica. Pertanto, secondo la Cassazione, si deve applicare per analogia la disciplina generale prevista dal codice di procedura penale.

Nello specifico, la Corte ha richiamato l’articolo 676 del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che contro le ordinanze del giudice dell’esecuzione non si può proporre direttamente ricorso per cassazione. Il rimedio corretto è l’opposizione davanti allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento. Solo la decisione sull’opposizione potrà, eventualmente, essere impugnata.

In sintesi, i ricorrenti hanno ‘sbagliato porta’: invece di presentare un’opposizione al Tribunale di Salerno, hanno adito direttamente la Corte di Cassazione, rendendo il loro ricorso inammissibile.

Conclusioni

Questa pronuncia offre un’importante lezione di carattere processuale. Pur non decidendo se il compenso dell’amministratore giudiziario spetti allo Stato o al privato in caso di confisca revocata, chiarisce in modo inequivocabile la strada da seguire per sollevare la questione. La decisione del giudice dell’esecuzione che liquida le somme da restituire va contestata con un’opposizione dinanzi allo stesso organo giudiziario. Solo dopo aver esaurito questo grado di giudizio sarà possibile, se necessario, ricorrere ai gradi superiori. Per i cittadini e i loro legali, si tratta di un’indicazione fondamentale per evitare errori procedurali che possono precludere la tutela dei propri diritti.

A chi spetta pagare il compenso dell’amministratore giudiziario quando una confisca di prevenzione viene revocata?
L’ordinanza non decide nel merito la questione. Si limita a stabilire che i ricorrenti, i quali sostenevano che la spesa dovesse essere a carico dello Stato, hanno utilizzato uno strumento processuale errato per far valere le loro ragioni.

Qual è il rimedio corretto per contestare un’ordinanza del giudice dell’esecuzione sulla restituzione di beni dopo una confisca revocata?
Secondo la Corte di Cassazione, il rimedio corretto non è il ricorso per cassazione diretto, ma l’opposizione davanti allo stesso giudice dell’esecuzione che ha emesso il provvedimento, in applicazione analogica dell’art. 676 del codice di procedura penale.

Perché il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato proposto contro un’ordinanza del giudice dell’esecuzione, per la quale la legge non prevede l’impugnazione diretta in Cassazione, ma il diverso rimedio dell’opposizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati