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Commercializzazione cannabis light: la Cassazione fa chiarezza

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30475 del 2019, hanno affrontato la questione della legalità della commercializzazione di derivati della cosiddetta “cannabis light”. Il caso nasce dal ricorso di un Procuratore della Repubblica contro l’annullamento di un sequestro di inflorescenze di canapa. La Corte ha stabilito che la legge n. 242/2016, che promuove la filiera agroindustriale della canapa, non legalizza la vendita al dettaglio di foglie, inflorescenze o resine. Tale commercializzazione cannabis light, pertanto, integra il reato previsto dal Testo Unico Stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/1990). Tuttavia, la punibilità è esclusa se il giudice accerta, caso per caso, che il prodotto è concretamente privo di qualsiasi effetto drogante, in applicazione del principio di offensività.

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Pubblicato il 14 agosto 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

La Commercializzazione di Cannabis Light: Reato o Attività Lecita? La Sentenza delle Sezioni Unite

La questione della legalità della commercializzazione cannabis light ha generato per anni un acceso dibattito e una notevole incertezza giuridica, alimentata da interpretazioni contrastanti della Legge n. 242/2016. Con la storica sentenza n. 30475 del 2019, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione sono intervenute per porre fine al contrasto giurisprudenziale, delineando confini precisi tra l’attività agroindustriale lecita e la condotta penalmente rilevante. Analizziamo i punti chiave di questa decisione fondamentale.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un procedimento penale avviato a seguito del sequestro preventivo di 13 kg di foglie e inflorescenze di cannabis presso un punto vendita di Ancona. L’accusa era quella di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990.

Inizialmente, il Tribunale del Riesame di Ancona aveva revocato il sequestro per i prodotti con una percentuale di THC non superiore allo 0,6%, basandosi su un’interpretazione estensiva della Legge n. 242 del 2016. Secondo il Tribunale, se la legge consentiva la coltivazione di determinate varietà di canapa, doveva ritenersi lecita anche la vendita dei suoi derivati, come le inflorescenze, entro i limiti di tolleranza previsti.

Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che l’esenzione di responsabilità prevista dalla legge del 2016 si applica unicamente al coltivatore e non si estende al commerciante che vende al pubblico prodotti come foglie e inflorescenze. Questo contrasto interpretativo ha reso necessario l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

La Commercializzazione Cannabis Light e il Conflitto tra Norme

Il cuore del problema risiede nella difficile coesistenza di due normative apparentemente in conflitto:

1. Il d.P.R. n. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti): Vieta e sanziona penalmente la coltivazione, la produzione, la vendita e la detenzione di sostanze stupefacenti, tra cui la cannabis e i suoi derivati (foglie, inflorescenze, resina, olio), inseriti in apposite tabelle senza distinzioni basate sulla percentuale di principio attivo (THC).
2. La Legge n. 242/2016: Promuove la coltivazione e la filiera agroindustriale della canapa (varietà di cannabis sativa L. con basso contenuto di THC), elencando una serie di finalità lecite (produzione di alimenti, cosmetici, semilavorati industriali, materiale per bioedilizia, ecc.). Prevede inoltre soglie di tolleranza di THC (dallo 0,2% allo 0,6%) per escludere la responsabilità penale del solo agricoltore durante la fase di coltivazione.

Questa sovrapposizione ha creato un’area grigia, portando a sentenze di segno opposto sulla legalità della vendita al pubblico dei prodotti derivati, in particolare le inflorescenze.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le Sezioni Unite hanno risolto il conflitto interpretativo attraverso un’analisi rigorosa e sistematica della normativa. La Corte ha chiarito che la Legge 242/2016 deve essere interpretata come una norma speciale, ma con un ambito di applicazione tassativo e limitato.

1. Ambito Ristretto della Legge 242/2016: La legge promuove la coltivazione di canapa esclusivamente per gli usi industriali e agroalimentari elencati in modo tassativo all’art. 2, comma 2. Tra questi non figurano le foglie, le inflorescenze, l’olio o la resina destinati al consumo umano in forme assimilabili al fumo o all’inalazione. La Corte sottolinea che la coltivazione per il “florovivaismo” non può essere interpretata come un via libera alla vendita di inflorescenze per uso ricreativo.

2. Irrilevanza delle Soglie di THC per la Vendita: I limiti percentuali di THC (0,2% – 0,6%) menzionati nell’art. 4 della legge sono clausole di esclusione della responsabilità destinate unicamente all’agricoltore. Servono a tutelarlo nel caso in cui, durante il ciclo colturale, la pianta sviluppi un contenuto di principio attivo superiore a quello previsto, nonostante l’uso di sementi certificate. Tali soglie, quindi, non definiscono una quantità di THC lecita per la commercializzazione del prodotto finito.

3. La Vendita Rientra nel Testo Unico Stupefacenti: Di conseguenza, qualsiasi condotta di cessione, vendita o commercializzazione al pubblico di derivati della cannabis che non rientrino nell’elenco tassativo della Legge 242/2016 (come appunto foglie e inflorescenze) ricade pienamente nella disciplina del d.P.R. 309/1990. Formalmente, quindi, integra la fattispecie di reato prevista dall’art. 73.

4. Il Ruolo Decisivo del Principio di Offensività: Qui si trova il punto cruciale e più innovativo della sentenza. Pur qualificando la vendita come reato, le Sezioni Unite richiamano il principio di concreta offensività. Affinché la condotta sia punibile, non basta che la sostanza sia formalmente illegale; è necessario che essa sia concretamente idonea a produrre un effetto drogante o psicotropo. Spetta al giudice di merito verificare, caso per caso, se la singola dose ceduta possieda tale efficacia. Se il prodotto è di fatto privo di qualsiasi effetto stupefacente, il reato non sussiste per mancanza di offensività della condotta.

Conclusioni

La sentenza delle Sezioni Unite stabilisce un principio di diritto chiaro: la commercializzazione cannabis light al pubblico sotto forma di foglie, inflorescenze, olio e resina è un’attività che esula dalla legalità concessa dalla Legge 242/2016 e integra, in astratto, il reato di cui all’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti. La punibilità, tuttavia, è subordinata a una verifica in concreto, da parte del giudice, della reale efficacia drogante del prodotto. Viene così superato il mero dato formale della percentuale di THC, affidando al magistrato il compito di valutare l’effettiva pericolosità della sostanza nel singolo caso.

La vendita di foglie e inflorescenze di “cannabis light” è legale in Italia secondo questa sentenza?
No. La sentenza stabilisce che la commercializzazione di foglie, inflorescenze, olio e resina derivati dalla cosiddetta “cannabis light” non rientra nell’ambito della legge n. 242 del 2016 e, pertanto, integra il reato previsto dall’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti (d.P.R. 309/1990).

Il basso contenuto di THC (sotto lo 0,6%) rende automaticamente lecita la vendita?
No. Le Sezioni Unite chiariscono che i limiti di THC (0,2% – 0,6%) menzionati nella legge n. 242 del 2016 riguardano esclusivamente la coltivazione e la responsabilità dell’agricoltore, non la commercializzazione del prodotto finale. La vendita rimane un reato a prescindere da queste percentuali.

In quali casi la vendita di “cannabis light” non è punibile?
La vendita non è punibile solo se viene dimostrato in concreto che il prodotto è privo di qualsiasi efficacia drogante o psicotropa. Il giudice deve verificare caso per caso, secondo il “principio di offensività”, se la sostanza ceduta è effettivamente in grado di produrre un effetto stupefacente, anche minimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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