Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26516 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26516 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 08/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Vasto il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 27/04/2023 della Corte di appello di Campobasso; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 aprile 2023, la Corte di appello di Campobasso ha confermato, quanto alla responsabilità penale, la sentenza del Gip del Tribunale di Larino del 7 febbraio 2022, resa all’esito di giudizio abbreviato, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui all’art. 73, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990, perché illecitamente acquistava per la vendita e deteneva, all’interno dell’abitazione e in giardino, due pacchi ricevuti tramite corrier
contenenti marijuana per un peso complessivo di oltre 20 kg, insieme ad altre buste di marijuana, nonché a materiale atto al confezionamento di dosi.
La Corte di appello ha riqualificato il reato ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, e ha corrispondentemente rideterminato la pena in sei mesi di reclusione ed euro 1600,00 di multa.
Avverso la sentenza, l’imputato, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si deduce l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice e dell’art. 2 della legge n. 242 del 2016, trattandosi di cannabis light ricevuta lecitamente da un produttore allo scopo di avviarne una lecita commercializzazione. La difesa evidenzia come fossero stati riscontrati valori percentuali di THC inferiori allo 0,6 e lamenta che la Corte di appello ha ritenuto che la legge n. 242 del 2016 non consente l’ottenimento di prodotti quali foglie, infiorescenze, olio, resina, anche se il contenuto di THC presente dovesse essere inferiore alle concentrazioni percentuali richiamati dall’art. 4, commi 5 e 7, della stessa legge. Del resto, a conferma della liceità dell’acquisto, il ricorrente evidenzia come non vi siano contestazioni a carico della società venditrice. In punto di diritto, si lamenta che la tesi della illiceità del commercio delle infiorescenze – fatta propria delle Sezioni Unite della Corte di cassazione – confonde la vendita al dettaglio delle stesse con l’intrinseca illiceità del prodotto in questione.
2.2. Si sostiene, in secondo luogo, la configurabilità della particolare tenuità del fatto ai sensi dell’articolo 131-bis cod. pen., sul rilievo dellgej incensuratezzae cui della giovane etàkrdel legittimo affidamento riposto nell’acquisto di prodotti da una società del settore, della condotta collaborativa tenuta dall’imputato in sede di arresto e nel corso del processo.
2.3. Il ricorrente ha depositato memoria con la quale propone un motivo aggiunto diretto ad ottenere il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea della questione se gli artt. 34-36 TFUE e l’art. 17 della direttiva 2002/53/CE ostino al divieto assoluto di commercializzare infiorescenze, oli e resine derivate dalle coltivazioni di canapa ai sensi dell’art. 1 della legge n. 242 del 2016. Si lamentano, in particolare, la violazione delle previsioni sull’organizzazione del mercato comune della canapa, per contrasto con i principi di concorrenza e libertà di impresa, nonché di libertà di circolazione delle merci e di libertà di stabilimento. Si ribadiscono, poi, le censure già formulate motivi principali di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. La prima doglianza, riferita alla mancanza di efficacia drogante della marijuana sequestrata e all’applicabilità del divieto fissato dalla legge n. 242 del 2016 al commercio di infiorescenze, è manifestamente infondata.
La fattispecie in esame rientra pienamente nella casistica oggetto della pronuncia Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, Rv. 275956 – 01, secondo cui, in tema di stupefacenti, la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 9 ottob 1990, n. 309, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge 2 dicembre 2016, n. 242, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività. Infatti, la legge in questione qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della diretti 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, per le finalità tassativamente indicate dall’art.2 della predetta legge.
In tale sentenza si è chiarito, dunque, come l’ambito di applicabilità della legge n. 242 del 2016 sia quello della coltivazione, allo scopo di evitare di criminalizzare i casi in cui la cultura, nel corso di maturazione, presenti una percentuale di THC superiore al valore soglia indicato nel medesimo testo normativo; percentuale che potrebbe essere dovuta a cause naturali non prevedibili e comunque indipendenti rispetto alla condotta del coltivatore.
Nel caso di specie, il quantitativo di sostanza detenuto dal ricorrente, ampiamente dotato di efficacia drogante, seppure al di sotto della soglia dello 0,6%, era rappresentato da foglie e infiorescenze, per circa 20 kg complessivi, da cui era possibile ricavare circa 2853 dosi. La vicenda è dunque estranea all’ambito strettamente agricolo, perché afferisce invece all’ambito commerciale come ammesso dallo stesso ricorrente, e riguarda parti della pianta concretamente utilizzabili a fini stupefacenti, la cui commercializzazioni è perciò vietata.
1.2. Inammissibile è il secondo motivo di doglianza, perché riferito a dati fattuali, a fronte di una motivazione che – in modo logico e coerente – esclude la particolare tenuità del fatto in considerazione del notevole numero di dosi ricavabili dallo stupefacente, che – pur non avendo impedito la configurabilità della fattispecie di minore gravità di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, in presenza di altri elementi favorevoli all’imputato – certamente assume carattere ostativo circa la non punibilità.
1.3. L’inammissibilità dei motivi principali preclude l’analisi dei motivi aggiunti, peraltro in parte ripetitivi dei primi, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc
pen. Quanto alla questione pregiudiziale eurounitaria, la stessa è proposta in forma meramente assertiva e sulla base di un presupposto di fatto puntualmente smentito dagli atti, ovvero la mancanza di efficacia drogante della sostanza oggetto dell’imputazione. Né la difesa tiene conto di quanto già evidenziato in base alla richiamata pronuncia dalle Sezioni unite di questa Corte relativamente alla finalità prettamente agricola della regolamentazione, sia europea che interna, di questa categoria di mercato.
Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 08/03/2024