Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31108 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31108 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato in Romania il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata in Romania il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 01/12/2022 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito il difensore, AVV_NOTAIO COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 dicembre 2022, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Velletri del 19 novembre 2020, con la quale gli imputati, all’esito di giudizio abbreviato, erano stati condannati alla pen di 2 anni e 8 mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, per i
reati di cui agli artt. 256 e 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006, per avere in più occasion ed in concorso, effettuato attività di trasporto e smaltimento di rifiuti n autorizzati, provvedendo anche alla loro illecita combustione.
Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione degli artt. 256-bis, 184, comma 2, lettera e), e 185, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 152 del 2006, nella versione vigente all’epoca dei fatti, sul rilievo che i fatti descr nell’imputazione non potevano essere sussunti nelle fattispecie contestate, ricorrendo la deroga sanzionatoria di cui all’art. 256-bis, comma 6, d.lgs. n. 152 del 2006. A parere della difesa, nel marzo del 2019, epoca a cui risalgono i fatti oggetto di contestazione, il materiale vegetale trasportato dagli imputati non era considerato rifiuto e non potevano essere applicate ai ricorrenti le sanzioni di cui agli artt. 256 e 256-bis, d.lgs. n. 152 del 2006.
Per la difesa, la presente censura, pur non essendo stata dedotta in precedenz’a con i motivi di appello, potrebbe essere sottoposta alla cognizione del giudice di legittimità, in quanto relativa ad una questione rilevabile d’ufficio in og stato e grado del processo, essendo stata applicata una pena illegale. Infatti, l’impugnata sentenza conferma la condanna degli imputati alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione, quando per i fatti contestati nel capo di imputazione sarebbe stata applicabile la sola sanzione amministrativa ex art. 255, del d.lgs. n. 152 del 2006. In ogni caso, anche volendo considerare la potatura oggetto di trasporto e combustione come rifiuto urbano, secondo l’attuale disciplina la pena da irrogare sarebbe stata quella prevista dall’art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006 per il trattamento non autorizzato dei rifiuti, che sarebbe un reato contravvenzionale sanzionato con una pena di specie diversa da quella irrogata. La pena irrogata ai ricorrenti, quindi, dovrebbe ritenersi in ogni caso illegale.
2.2. Con una seconda doglianza, si censurano la carenza assoluta di motivazione, in ordine alla sussistenza del necessario elemento soggettivo richiesto per l’integrazione della fattispecie incriminatrice contestata agli imputat e la manifesta illogicità della motivazione per la presenza di elementi probatori in contrasto con la configurabilità della attispecie penale. In capo ai ricorrenti non vi sarebbe stata alcuna consapevolezza di trasportare e dare alle fiamme del materiale considerato “rifiuto”. La Corte di appello avrebbe omesso di motivare sul punto e sarebbe altresì rimasto prive) di riscontro il motivo di impugnazione che chiedeva l’assoluzione della COGNOME per carenza dell’elemento soggettivo, essendo la stessa completamente estranea al mondo del giardinaggio. La motivazione della Corte territoriale si sarebbe incentrata unicamente sulla condotta materiale degli
imputati, senza indagare in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico. Inoltre, nel percorso motivazionale i giudici di appello avrebbero fatto riferimento ad elementi fattuali descritti nella deroga sanzionatoria di cui all’art. 256-bis, comma 6, d.lgs. n. 152 del 2006 e ciò denoterebbe un percorso motivazionale manifestatamente illogico.
2.3. In terzo luogo, si denunciano la violazione dell’art. 131-bis, cod. pen., e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato. La Corte di appello non avrebbe adeguatamente valutato: la gravità del reato e la capacità a delinquere degli imputati; il loro stato di incensuratezza; il corretto comportamento processuale; le loro condizioni di vita individuali, familiari e sociali. Gli imputati avrebbero immediatamente ammesso gli addebiti e ciò avrebbe dovuto deporre a loro favore, come anche il fatto che il COGNOME svolga da tempo l’attività di giardiniere con regolare autorizzazione amministrativa, e sia titolare di partita iva, proprietario di un appartamento e ben inserito nel contesto sociale. Anche la gravità del fatto risulterebbe marginale, posto che si sarebbe trattato di abbruciamento di sfalci e potature non pericolosi per l’ambiente. Infine, a favore degli imputati deporrebbe l’esiguità dell’intensità del dolo.
2.4. Con un ultimo motivo di ricorso, si censura la carenza assoluta di motivazione in ordine al diniego delle circostanze · attenuanti generiche e, conseguentemente, dei doppi benefici di legge. La Corte di appello si sarebbe limitata a riportare una frase contenuta nella sentenza del Gup all’esito del giudizio abbreviato, senza prendere in considerazione le precise censure mosse al riguardo con i motivi di appello. Infine, l’entità della pena inflitta ai ricorrenti, a fronte d mancanza di un danno per l’ambiente, contrasterebbe con la sua finalità rieducativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di censura – con il quale si denuncia la violazione degli artt. 256-bis, 184, comma 2, lettera e), e 185, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 152 del 2006 nella versione vigente all’epoca dei fatti – è inammissibile.
La questione sollevata dai ricorrenti, pur se apparentemente riguardante la qualificazione giuridica dei fatti, si sostanzia, in realtà, in una rivalutazione fattual degli elementi probatori e viene per la prima volta sollevata in questa sede, come pacificamente ammesso anche dalla stessa difesa. I ricorrenti trascurano di considerare che non viene loro imputato il mero abbruciamento di arbusti e potature, ovvero dei rifiuti che potrebbero rientrare nella previsione di cui all’art. 184, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 152 del 2006 nella versione vigente
all’epoca dei fatti contestati, ma di aver utilizzato combustibile liquido e volantini pubblicitari; l’utilizzo dei quali esclude l’applicabilità del richiamato art. 1 comma 2, lettera e), che si riferisce esclusivamente ai materiali agricoli bruciati come tali, senza l’aggiunta di ulteriori materiali – anche se funzionale all’accensione o a un più rapido abbruciamento – quali, ad esempio, combustibili o volantini pubblicitari; e ciò, perché è evidente che la combustione dei materiali agricoli è consentita nella misura in cui genera per l’ambiente un pregiudizio contenuto. Il motivo è, dunque, inammissibile, perché non tempestivamente proposto con l’atto di appello e perché manifestamente infondato, posto che la qualificazione giuridica dei fatti risulta corretta, con conseguente non illegalità della relativa pena.
1.2. La seconda doglianza – riferita alla motivazione circa la responsabilità penale – è inammissibile. Risulta pacificamente che il COGNOME abbia ammesso gli addebiti; parimenti, non residuano margini di dubbio anche in ordine alla responsabilità della COGNOME, che è stata in più occasioni vista nell’atto di aiutare il compagno a scaricare i rifiuti dal camion per poi appiccare fuoco, tanto che è stata la stessa COGNOME a consegnare alla polizia giudiziaria l’accendino con il quale sono stati abbruciati gli arbusti. Infine, la doglianza secondo cui la circostanza che in motivazione si sia fatto riferimento alla locuzione “arbusti”, elemento descritto nella deroga sanzionatoria di cui all’art. 256-bis, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, avrebbe dovuto condurre all’applicazione della stessa, risulta mentita dalla formulazione dell’imputazione e dello svolgimento dei fatti, ovvero dall’abbruciamento dei rifiuti agricoli con l’uso di combustibili e carta.
1.3. La terza censura – con la quale si denunciano la violazione dell’art. 131bis, cod. pen., e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato – è inammissibile.
A fronte di mere asserzioni difensive di segno contrario, non risulta illogica la motivazione resa dalla Corte di appello in ordine all’esclusione del fatto di particolare tenuità, posto che il collegio di merito ha sottolineato elementi dirimenti: il fatto è stato reiterato all’interno di un’area boschiva protetta e ciò l connota di significativa gravità. Sul punto, la deduzione difensiva secondo cui l’abbruciamento di materiale agricolo non comporterebbe alcun pregiudizio per l’ambiente è smentita in base a quanto già argomentato in relazione al primo motivo di ricorso. Oltre alla gravità e al pericolo legati al luogo nel quale venivano abbruciati gli arbusti, una zona boschiva protetta, l’abbruciamento degli stessi è stato effettuato con combustibile liquido e volantini pubblicitari.
1.4. Infine, la doglianza con la quale si censura la carenza assoluta di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e, conseguentemente, ai doppi benefici di legge è inammissibile. Sul punto la Corte di appello – a fronte
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di generiche contestazioni difensive di segno contrario – in continuità con il giudice di primo grado, ha evidenziato la particolare gravità dei fatti, per la reiterazione nel tempo in una zona boschiva protetta e la pericolosità per la salubrità dell’ambiente.
I ricorsi, per tali motivi, devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di’ inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/03/2024.