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Combustione illecita rifiuti: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per la combustione illecita di rifiuti, nello specifico 60 kg di cavi per recuperare rame. La Corte ha confermato che tale pratica costituisce reato e non un illecito amministrativo, data la modalità (abbruciamento a terra) e l’impatto ambientale. Esclusa anche l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Combustione Illecita di Rifiuti: la Cassazione Conferma la Condanna

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, si è pronunciata su un caso di combustione illecita di rifiuti, ribadendo principi fondamentali in materia di reati ambientali. La vicenda riguarda un soggetto condannato per aver bruciato una notevole quantità di cavi elettrici al fine di recuperarne il rame. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito e fornendo chiarimenti sulla differenza tra illecito penale e amministrativo e sui limiti di applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato in primo e secondo grado alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione per il reato di concorso in combustione illecita di rifiuti. Nello specifico, l’imputato era stato sorpreso a bruciare circa 60 kg di cavi di rame per estrarre il metallo prezioso dalla guaina di plastica. L’operazione aveva generato una fitta coltre di fumo nero, con un evidente impatto negativo sull’ambiente circostante.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due principali motivi:

1. Errata qualificazione giuridica del fatto: Secondo la difesa, la condotta doveva essere riqualificata come mero illecito amministrativo (previsto dall’art. 255 del D.Lgs. 152/2006) e non come il reato penale di combustione illecita (art. 256-bis dello stesso decreto).
2. Mancata applicazione della causa di non punibilità: In subordine, si chiedeva l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, sostenendo che il fatto fosse di “particolare tenuità” e quindi non meritevole di sanzione penale.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Combustione Illecita di Rifiuti

La Suprema Corte ha respinto entrambi i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato che le argomentazioni della difesa non erano critiche di legittimità, ma mere “doglianze in punto di fatto”, ovvero un tentativo di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove, attività preclusa al giudice di Cassazione.

Nel merito, la Corte ha specificato che la sentenza d’appello aveva correttamente motivato la propria decisione. L’attività di recupero del rame, per essere lecita, deve seguire precise modalità, tra le quali non rientra assolutamente l’abbruciamento a terra della guaina. Questa pratica, citando una precedente sentenza (Cass. n. 50309/2023), è intrinsecamente illegale e dannosa. Inoltre, il quantitativo di materiale bruciato (60 kg) e la densa nube di fumo prodotta sono stati considerati elementi sufficienti per configurare il reato e non un semplice illecito amministrativo.

Anche riguardo al secondo motivo, la Corte ha ritenuto incensurabile la valutazione del giudice d’appello. La non punibilità per particolare tenuità del fatto è stata esclusa a causa del “notevole quantitativo di cavi” e dell'”impatto che l’operazione ha avuto sull’ambiente circostante”. Il fatto, quindi, non poteva essere considerato di lieve entità.

Le Conclusioni della Suprema Corte

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione riafferma un principio cruciale: la combustione illecita di rifiuti è una condotta grave che integra un reato penale, specialmente quando ha un impatto ambientale tangibile. Il tentativo di mascherare tale attività come una lecita operazione di recupero di materiali non trova accoglimento se le modalità utilizzate sono pericolose e non conformi alla legge. La decisione sancisce inoltre che la valutazione sulla gravità del fatto, ai fini dell’applicazione dell’art. 131-bis c.p., deve tenere conto non solo della quantità di rifiuti bruciati ma anche delle conseguenze concrete sull’ambiente. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro.

Bruciare cavi per recuperare il rame è un reato?
Sì, secondo la sentenza in esame, l’abbruciamento a terra di cavi per recuperare il rame costituisce il reato di combustione illecita di rifiuti (art. 256-bis, d.lgs. n. 152 del 2006) e non un semplice illecito amministrativo, in quanto è una modalità di smaltimento non consentita e dannosa per l’ambiente.

Quando un reato ambientale può essere considerato di ‘particolare tenuità’ e quindi non punibile?
La sentenza chiarisce che il fatto non può essere considerato di particolare tenuità quando riguarda un notevole quantitativo di materiale (in questo caso 60 kg di cavi) e ha un impatto significativo sull’ambiente, come la produzione di una fitta coltre di fumo nero. La valutazione dipende quindi dalla concretezza del danno e del pericolo arrecato.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile senza entrare nel merito delle prove?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati dall’imputato erano ‘doglianze in punto di fatto’. Il compito della Cassazione non è rivalutare le prove o ricostruire i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, che in questo caso è stata ritenuta corretta e adeguata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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