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Coltivazione domestica stupefacenti: i limiti legali

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per coltivazione di sostanze stupefacenti. La Corte ha stabilito che la coltivazione domestica stupefacenti non può essere considerata per uso personale, e quindi non punibile, quando il quantitativo ricavabile (in questo caso 388 dosi), unito al ritrovamento di un bilancino di precisione e bustine per il confezionamento, indica una destinazione allo spaccio e non a un consumo strettamente personale.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Coltivazione Domestica Stupefacenti: Quando Scatta il Reato?

La questione della coltivazione domestica stupefacenti per uso personale è da tempo al centro del dibattito giuridico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna sul tema, delineando con chiarezza i confini tra la condotta non punibile e quella che integra un vero e proprio reato. Analizziamo insieme questa importante decisione per capire quali elementi vengono considerati decisivi dai giudici.

Il caso in esame: coltivazione in casa o spaccio?

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo da parte del Tribunale e della Corte di Appello per il reato di produzione e detenzione di sostanze stupefacenti. Nello specifico, l’imputato era stato trovato in possesso di piante coltivate in casa dalle quali si potevano ricavare ben 388 dosi medie singole.

Oltre alla sostanza, le forze dell’ordine avevano rinvenuto nell’abitazione anche un bilancino di precisione e venti bustine di plastica trasparente, comunemente utilizzate per il confezionamento e la vendita al dettaglio. La Corte di Appello aveva confermato la condanna a 1 anno e 10 mesi di reclusione e 8.000 euro di multa, ritenendo che tali elementi provassero una finalità di spaccio.

I motivi del ricorso e la risposta della Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basandosi su due argomenti principali:
1. La sua condotta doveva essere ricondotta alla coltivazione domestica stupefacenti non punibile, in quanto destinata esclusivamente all’uso personale.
2. In subordine, il fatto doveva essere qualificato come di “lieve entità”, con una conseguente pena molto più bassa.

La Corte di Cassazione ha respinto entrambe le tesi, dichiarando il ricorso inammissibile e confermando la condanna.

Le motivazioni

La Suprema Corte, nel motivare la sua decisione, ha richiamato un principio fondamentale stabilito dalle Sezioni Unite nel 2019 (sentenza Caruso). Secondo tale orientamento, la coltivazione domestica non è reato solo se rispetta precise condizioni: deve essere svolta con tecniche rudimentali, riguardare un numero esiguo di piante e produrre un quantitativo minimo di sostanza, senza alcun indizio che la colleghi al mercato illegale.

Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che questi requisiti non fossero soddisfatti. La Corte ha evidenziato come la possibilità di ricavare quasi 400 dosi, unita alla presenza di strumenti tipici dello spaccio come il bilancino e le bustine, costituisse una prova logica e inequivocabile. Questi elementi, nel loro insieme, dimostravano che lo stupefacente non era destinato a un consumo “non strettamente personale”, ma era inserito in un contesto più ampio, potenzialmente orientato alla vendita. Di conseguenza, non era possibile qualificare il fatto come non punibile.

Per quanto riguarda la richiesta di riconoscere la “lieve entità”, la Corte ha sottolineato che il solo “valore ponderale”, ovvero la notevole quantità di sostanza ricavabile, era già di per sé sufficiente a escludere questa ipotesi più lieve di reato.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un concetto cruciale: la non punibilità della coltivazione domestica non è una regola generale, ma un’eccezione che si applica solo in casi molto specifici e circoscritti. La semplice coltivazione tra le mura di casa non è sufficiente a garantire l’impunità. I giudici valutano l’intero contesto e la presenza di “indici di un inserimento nel mercato illegale”. La scoperta di bilancini, materiale per il confezionamento o ingenti quantità di sostanza può trasformare quella che si vorrebbe far passare per una condotta ad uso personale in un grave reato. La decisione serve da monito: la linea di demarcazione tra lecito e illecito in materia di coltivazione domestica è sottile e definita da criteri oggettivi che vanno oltre la semplice intenzione del coltivatore.

Quando la coltivazione domestica di stupefacenti non è considerata un reato?
Non è considerata reato quando, per la mancanza di tipicità, la condotta di coltivazione denota un nesso di immediatezza oggettiva con l’uso personale esclusivo. Ciò si verifica quando è svolta in forma domestica, con tecniche rudimentali, un numero scarso di piante e si ricava un quantitativo modestissimo di prodotto, in assenza di indici di un inserimento nel mercato illegale.

Perché nel caso specifico la coltivazione è stata ritenuta un reato?
Perché dalla sostanza sequestrata si potevano ricavare 388 dosi medie singole. Inoltre, il ritrovamento presso l’abitazione di un bilancino di precisione e di 20 bustine di plastica per il confezionamento ha portato la Corte a dedurre, in modo non illogico, che lo stupefacente fosse destinato a un consumo non strettamente personale, ma allo spaccio.

Quali elementi impediscono di classificare il reato come di ‘lieve entità’?
Secondo la sentenza, il valore ponderale dello stupefacente, ovvero la quantità significativa che se ne può ricavare (in questo caso 388 dosi), è un elemento sufficiente per escludere la qualificazione del fatto come di ‘lieve entità’, prevista dall’art. 73 comma 5 del d.P.R. 309/90.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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