Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4905 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4905 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposte da Procuratore generane presso la Corte di appello di Perugia t t: avverso la sentenza del 10/05/2024 della Corte di appello di GLYPH emessa nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 31/03/1976; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di
Perugia per nuovo giudizio.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Perugia, riformando la sentenza con cui Tribunale di Terni aveva condannato NOME COGNOME ex art. 73, comma 4, d.P.R. 09 ottobre 1990 n. 309, per avere coltivato presso la propria abitazione 48 piante di marijuana come descritto nel capo di imputazione, ha
assolto l’imputato ritenendo che nella fattispecie egli realizzò una modesta coltivazione domestica per ricavarne sostanza drogante da fumare solo per sé.
Nel ricorso presentato dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Perugia si chiede l’annullamento della sentenza con rinvio per nuovo giudizio, assumendo che la Corte di appello ha erroneamente disapplicato l’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, perché ha trascurato che il reato di coltivazione di piante produttive di sostanze stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente (Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, caruso, Rv. 278624).
Nella memoria presentata dall’avvocato NOME COGNOME in difesa dell’imputato si chiede il rigetto del ricorso perché i suoi motivi sono manifestamente infondati, privi di specificità in tutte le loro articolazioni e ripropositivi di questioni già vagliate dal giudice del merito e del tutto assertivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va ribadito che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, perché basta la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente.
Tuttavia, non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto (Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 16/04/2020, COGNOME, Rv. 278624).
Nel caso in esame, i fatti oggetto della imputazione non sono controversi, ma differenti sono le valutazioni che ne forniscono, il Tribunale, la Corte d’appello e il Procuratore generale ricorrente.
2.1. Il Tribunale ha osservato che, nonostante il «carattere domestico e non certo tecnico-agrario della attività di coltivazione» e «pur a voler ritenere che l’imputato destinasse una parte della sostanza ottenuta per un consumo
personale», i dati raccolti «non rendono verosimile che il prodotto della coltivazione non fosse finalizzato anche alla cessione a terzi», evidenziando che: l’utilizzo di «una strumentazione articolata e piuttosto costosa (oltre 300,00 euro per stessa ammissione dell’imputato» è difficilmente compatibile con una finalizzazione al mero autoconsumo del prodotto ricavato, anche in considerazione delle condizioni economiche del Fusco (..) che percepiva il beneficio del reddito di cittadinanza»; le piante di marijuana avevano un’altezza media di 15/20 centimetri, all’interno di vasi di plastica altri 28 centimetri e larghi 26; in un barattolo di vetro, Fusco conservava 5 grammi di marijuana dai quali sono risultate ricavabili 52 dosi medie singole.
Per altro verso, il Tribunale ha concesso a Fusco le circostanze attenuanti generiche, considerando «le difficili condizioni sociali e di vita del Fusco, che ha dichiarato di avere iniziato a consumare sostanze stupefacenti dopo la prematura morte della figlia», così, dando credito alla spiegazione offerta dall’imputato circa l’utilizzazione dei prodotti della sua coltivazione.
2.2. Invece, la Corte di Appello, dopo aver tenuto distinte le due condotte descritte nella imputazione – la detenzione delle bustine contenenti 4,15 grammi di marijuana e la coltivazione delle 48 piante – ha correttamente qualificato la condotta di COGNOME non come reato, ma come illecito amministrativo.
Ha osservato che la detenzione delle bustine è del tutto compatibile con un uso esclusivamente personale, anche considerando lo stato di pluriennale assuntore di droga del Fusco e la mancanza di indizi di sue attività di spaccio.
Ha valutato che COGNOME disponeva di piante di marijuana che in parte avevano già prodotto (con modestissima percentuale di principio attivo) sostanza drogante, ma che la coltivazione era rimasta confinata in uno spazio angusto, come evidenziato dalle fotografie in atti.
In particolare, su questa linea, nella sentenza impugnata, evidenziandosi che già il Tribunale aveva rilevato il «carattere domestico e non certo tecnico-agrario dell’attività di coltivazione» si osserva quanto segue: a) Fusco ha detenuto 48 piante di marijuana che in parte avevano già prodotto sostanza drogante, ma con una percentuale di principio attivo molto modesta; b) le fotografie in atti mostrano che tale coltivazione avveniva in uno spazio angusto; e aveva carattere rudimentale, seppure con l’aggiunta di una paio di lampade, acquistabili a basso prezzo tramite internet, indispensabili a condurre a maturazione le piante perché la cantina non era illuminata.
La circostanza, evidenziata nel ricorso in esame, che l’imputato non abbia utilizzato soltanto 2 lampade da 400 watt, perché queste erano corredate da un alimentatore, dal trasformatore e da un aeratore con termostati, non è rilevante perché l’apparato utilizzato è rimasto comunque strettamente funzionale alla
efficace coltivazione delle piante in una cantina non illuminata e no all’ampliamento della estensione della coltivazione.
Sulla base di quanto precede, deve concludersi che la Corte di appello ha correttamente applicato il principio di diritto per il quale integra una coltivaz domestica non punibile ia messa a coltura di piantine di marijuana, collocate i vasi all’interno di un’abitazione, le quali, in relazione al grado di svi raggiunto, consentono l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanze stupefacenti ragionevolmente destinate all’uso personale dell’imputato (Sez. 6, 6599 del 05/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280786).
Tale principio specifica quello già espresso dalla Corte di cassazione a Sezion unite nella sentenza dalla quale trae le mosse il ricorso in esame e che considerata nella sua integralità e, quindi, anche nella parte in cui esclude che illecita la coltivazione di piante di marijuana che, mancando indizi di vendita prodotti, mostri con immediatezza la destinazione esclusiva all’uso personale (Sez U, n. 12348 del 19/12/2019 dep. 2020, cit.).
Pertanto, il ricorso risulta infondato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così decisa il 24/10/2024