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Coltivazione domestica: quando non è reato? Cassazione

La Corte di Cassazione conferma l’assoluzione di un uomo per la coltivazione di 48 piante di marijuana. La sentenza stabilisce che la coltivazione domestica non è reato se le tecniche sono rudimentali, il numero di piante esiguo, il prodotto minimo e destinato esclusivamente all’uso personale, senza indizi di spaccio.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Coltivazione domestica di cannabis: la Cassazione fissa i paletti per la non punibilità

La questione della coltivazione domestica di cannabis per uso personale è da tempo al centro di un acceso dibattito giuridico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito ulteriori chiarimenti, confermando un orientamento ormai consolidato che esclude la rilevanza penale per le condotte di minima entità. Il caso analizzato riguarda un uomo inizialmente condannato per aver coltivato 48 piante di marijuana e successivamente assolto in appello, decisione ora confermata dalla Suprema Corte, che ha rigettato il ricorso del Procuratore generale.

I Fatti di Causa

Il percorso giudiziario inizia con una condanna da parte del Tribunale di Terni per il reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990. L’imputato era stato trovato in possesso di 48 piante di marijuana coltivate presso la propria abitazione. Sebbene il Tribunale avesse riconosciuto il carattere ‘domestico e non tecnico-agrario’ dell’attività, aveva ritenuto che l’uso di attrezzature specifiche (del valore di circa 300 euro) e il numero di piante fossero incompatibili con una finalità di mero autoconsumo.

La Corte di Appello di Perugia, tuttavia, ha ribaltato la decisione. I giudici di secondo grado hanno qualificato la condotta non come reato, ma come illecito amministrativo. La Corte ha valorizzato il fatto che la coltivazione avveniva in uno spazio angusto, con tecniche rudimentali (nonostante l’uso di alcune lampade a basso costo) e che le piante avevano prodotto una sostanza con una percentuale di principio attivo molto modesta. Inoltre, non erano emersi indizi di un’attività di spaccio, rendendo plausibile la destinazione all’esclusivo uso personale, anche in considerazione della condizione di assuntore pluriennale dell’imputato.

La Decisione della Corte sulla coltivazione domestica

Il Procuratore generale ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il reato di coltivazione sussiste indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile, essendo sufficiente l’idoneità della pianta a produrre sostanza stupefacente. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e confermando pienamente la sentenza di assoluzione della Corte di Appello.

La Corte ha ribadito il principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite con la storica sentenza ‘Caruso’ del 2019: non integra il reato di coltivazione di stupefacenti quella condotta che, per le sue caratteristiche, appare destinata in modo evidente ed esclusivo all’uso personale.

Le motivazioni

La Cassazione ha spiegato che, per escludere la punibilità, devono ricorrere congiuntamente specifici requisiti. La coltivazione deve essere:

1. Svolta in forma ‘domestica’: ovvero in contesti casalinghi e non su larga scala.
2. Realizzata con tecniche rudimentali: l’uso di attrezzature non è di per sé decisivo. Nel caso di specie, le lampade e gli altri strumenti erano considerati ‘strettamente funzionali’ a consentire la crescita delle piante in un ambiente altrimenti inadatto, come una cantina non illuminata, e non a potenziare o ampliare la produzione.
3. Basata su un numero scarso di piante: da cui si può ricavare un ‘modestissimo quantitativo di prodotto’.
4. Priva di indizi di inserimento nel mercato illegale: deve mancare qualsiasi prova che la sostanza prodotta sia destinata, anche solo in parte, alla cessione a terzi.

Secondo la Corte, la Corte d’Appello ha correttamente applicato questi principi, valutando la situazione nel suo complesso e concludendo che la coltivazione in esame, per quanto composta da 48 piante, rientrava nei limiti della non punibilità penale per la sua minima offensività e l’evidente finalità di autoconsumo.

Le conclusioni

Questa sentenza consolida un importante principio di diritto che distingue la coltivazione ‘tecnico-agraria’ e potenzialmente destinata al mercato, sempre penalmente rilevante, dalla piccola coltivazione domestica ad uso esclusivo del coltivatore. La decisione sottolinea che la valutazione del giudice non deve essere meramente quantitativa (basata sul numero di piante), ma qualitativa, analizzando l’insieme delle modalità della condotta. Si tratta di un’interpretazione che mira a non criminalizzare condotte prive di una reale offensività per la salute pubblica, focalizzando invece le risorse repressive sul contrasto al traffico di stupefacenti.

Coltivare poche piante di marijuana a casa è sempre reato?
No. Secondo la sentenza, non integra reato una coltivazione che, per l’assenza di indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale. Questo si verifica quando è svolta in forma domestica, con tecniche rudimentali e un numero scarso di piante da cui si ricava un modestissimo quantitativo di prodotto.

L’uso di lampade o altre attrezzature rende automaticamente la coltivazione un’attività criminale?
No. La Corte ha chiarito che l’utilizzo di attrezzature come lampade, alimentatori e aeratori non è di per sé rilevante se l’apparato è strettamente funzionale a rendere possibile la coltivazione in un ambiente altrimenti inadatto (come una cantina non illuminata) e non è finalizzato all’ampliamento della sua estensione.

Qual è il criterio per distinguere una coltivazione lecita da una illecita?
Il criterio non si basa solo sul numero di piante, ma su una valutazione complessiva della condotta. Devono essere considerate le modalità di coltivazione (rudimentali o professionali), il livello di sviluppo delle piante, la quantità di sostanza stupefacente ricavabile e, soprattutto, l’assenza di qualsiasi indicatore che suggerisca una destinazione del prodotto diversa dall’uso personale esclusivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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