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Coltivazione domestica e uso terapeutico: i limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per la coltivazione di 32 piante di marijuana. L’imputato sosteneva si trattasse di cannabis “light” per uso terapeutico personale. La Corte ha ribadito che il numero elevato di piante e le modalità di occultamento escludono la configurabilità della coltivazione domestica per uso personale, rendendo irrilevante il movente terapeutico, peraltro non adeguatamente provato. È stata inoltre confermata la mancata concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Coltivazione di Cannabis: quando il numero di piante esclude l’uso personale

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sui delicati confini tra la coltivazione domestica di cannabis per uso personale e l’attività penalmente rilevante. Il caso in esame riguarda un uomo condannato per aver coltivato 32 piante di marijuana, il quale si difendeva sostenendo che fossero destinate a un uso terapeutico personale per alleviare le sofferenze di una patologia oncologica e che si trattasse di cannabis “light” acquistata legalmente. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo importanti chiarimenti sui criteri per distinguere le due fattispecie.

I Fatti del Caso: 32 Piante per Uso Terapeutico?

Durante un controllo, le forze dell’ordine hanno rinvenuto presso l’abitazione dell’imputato un piccolo quantitativo di sostanza già lavorata e, soprattutto, 32 piante di marijuana in buono stato vegetativo. Le piante erano state abilmente occultate in tre diversi luoghi all’interno della sua proprietà: una parte in un casolare, un’altra in un secondo casolare sul retro e le restanti nascoste tra piante di pomodori. L’uomo ha ammesso la coltivazione, giustificandola come una necessità per produrre un antidolorifico naturale contro una grave malattia, presentando anche documentazione medica a supporto. Ha inoltre sostenuto di aver utilizzato semi di cannabis “light”, lecitamente acquistati.

L’Analisi della Corte e i limiti della coltivazione domestica

La difesa dell’imputato si basava su due argomenti principali: la mancata valutazione di una prova decisiva (la ricevuta d’acquisto dei semi) e l’errata esclusione dell’attenuante del “fatto di lieve entità”. La Cassazione ha rigettato entrambi i punti, confermando la solidità delle sentenze di primo e secondo grado.

Il cuore della decisione ruota attorno all’interpretazione del concetto di coltivazione domestica. Richiamando un fondamentale precedente delle Sezioni Unite (la sentenza “Caruso”), la Corte ha ribadito che la coltivazione per uso personale, per non essere reato, deve presentare caratteristiche precise: tecniche rudimentali, un numero esiguo di piante e una produzione minima, tale da soddisfare esclusivamente i bisogni immediati del coltivatore.

Nel caso specifico, la coltivazione di ben 32 piante, suddivise e occultate in tre aree distinte, è stata ritenuta logicamente incompatibile con un’attività “casalinga” e destinata a un fine puramente personale. Questi elementi, secondo i giudici, sono indici di un’attività organizzata che supera i limiti della modestia e suggerisce finalità diverse dal semplice autoconsumo.

La Questione del “Fatto di Lieve Entità” e l’Uso Terapeutico

Anche la richiesta di applicare l’attenuante del fatto di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90) è stata respinta. La Corte ha sottolineato che la valutazione deve essere complessiva, considerando non solo la quantità e qualità della sostanza, ma anche i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione. La diversificazione della coltivazione in tre siti diversi è stata considerata un fattore aggravante che impediva di qualificare il fatto come di minima offensività penale.

Infine, per quanto riguarda la giustificazione dell’uso terapeutico, i giudici hanno osservato che, sebbene l’imputato soffrisse di una patologia, non vi era alcuna documentazione sanitaria che prescrivesse una terapia del dolore a base di cannabinoidi. In ogni caso, anche l’eventuale uso terapeutico non può giustificare una coltivazione su così larga scala, che lascia presupporre la possibilità di un’attività illecita parallela, come lo spaccio.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità evidenziando che il ricorso non faceva altro che riproporre censure già adeguatamente esaminate e respinte dai giudici di merito. Le decisioni di primo grado e d’appello sono state ritenute “doppia conforme”, logiche e coerenti. La valutazione dei fatti, in particolare il numero di piante (32) e la loro dislocazione in tre punti diversi, ha correttamente portato a escludere sia la natura domestica della coltivazione, sia l’ipotesi del fatto di lieve entità. La motivazione terapeutica, non supportata da prescrizioni mediche e sproporzionata rispetto alla quantità coltivata, non è stata ritenuta valida a scriminare la condotta.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida l’orientamento restrittivo della giurisprudenza sulla coltivazione domestica di cannabis. La decisione chiarisce che il numero di piante rimane un criterio fondamentale, ma non l’unico. Le modalità concrete della coltivazione, come l’occultamento e la suddivisione in più siti, assumono un peso decisivo nell’escludere l’uso esclusivamente personale. Inoltre, la sentenza ribadisce che il movente terapeutico, per avere una qualche rilevanza, deve essere supportato da specifiche prescrizioni mediche e, in ogni caso, non può giustificare una produzione che ecceda in modo palese le necessità personali.

La coltivazione di un numero elevato di piante di cannabis può essere considerata “domestica” se destinata all’uso personale terapeutico?
No. Secondo la Corte, la coltivazione di 32 piante, per le sue dimensioni e le modalità di occultamento in tre diversi siti, esclude la qualificazione di “coltivazione domestica” destinata a uso esclusivamente personale, anche in presenza di una motivazione terapeutica.

L’acquisto di semi di cannabis “light” legali garantisce che la coltivazione non sia un reato?
No. Il reato di coltivazione di stupefacenti sussiste quando la pianta è conforme al tipo botanico vietato e ha l’attitudine a produrre sostanza stupefacente. Il semplice acquisto legale dei semi non è una prova decisiva per escludere il reato, specialmente se la coltivazione non rientra nei limiti e nelle finalità previste dalla legge sulla canapa industriale.

Per ottenere l’attenuante del “fatto di lieve entità”, è sufficiente la modesta quantità di principio attivo nella sostanza?
No. La valutazione per il riconoscimento del “fatto di lieve entità” è complessiva. La Corte considera non solo il dato quantitativo e qualitativo, ma anche i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione. Nel caso di specie, il numero di piante e la loro coltivazione diversificata sono stati ritenuti elementi sufficienti a escludere l’attenuante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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