Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15566 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15566 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a VALLEFIORITA il 20/09/1954
avverso la sentenza del 26/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo mancanza di motivazione in relazione ad una prova decisiva e violazione dell’art. 73 d.P.R. 309/90 nonché inversione dell’onere della prova, anche in relazione all’art. 441, comma 5, cod. proc. pen. e con un secondo motivo violazione di legge e vizio motivazionale in punto di mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
In relazione al primo motivo lamenta che il giudice di secondo grado abbia avallato apoditticamente la versione dei fatti ricostruita in primo grado commettendo il medesimo errore in ordine alla valutazione delle prove raccolte, soprattutto laddove si è trascurato il prodotto documento attestante l’acquisto da parte dell’imputato di sostanza di tipo legale disponibile liberamente sul mercato proprio perché priva di efficacia drogante. Si ricorda che la difesa aveva anche sollecitato i poteri officiosi del giudice, anche alla luce della chiara incertezza della situazione scaturente dalla contraddittorietà delle prove rap volte: da un lato infatti era pre sente l’esito del narcotest, attività peraltro svolta solo su parte della sostanza per la quale era stata data la prova della lecita provenienza; Dall’altra la ricevuta di acquisto di sostanza legale avrebbe imposto quantomeno un’analisi sulle piante coltivate, anche al fine di valutare concreto l’offensiva.
Quanto al secondo aspetto si lamenta che la Corte territoriale abbia ancorato la decisione solo sul dato quantitativo omettendo di valutare le residue circostanze favorevoli peraltro implicitamente riconosciute, anche alla luce della concessione delle circostanze attenuanti generiche e del contenimento della pena del limite edittale. ,
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
E’ stata poi depositata in data 02/04/2025 memoria a firma dell’Avv, NOME COGNOME COGNOME nell’interesse del ricorrente, con cui, ribadito che non è stato valutato un elemento di prova decisivo qual è l’acquisto di semi di cannabis di una qualità legale e che andava operato il chiesto accertamento tecnico, si insiste per l’accoglimento del ricorso.
I motivi sopra richiamati non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2.1. Va premesso che siamo di fronte ad una doppia conforme affermazione di responsabilità ed è pacifico che in tal caso le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l’univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte Sez. 2 n. 34891 del 16/5/2013, Vecchia, Rv. 256096; conf. Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. il 2012, COGNOME, Rv. 252615: Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. il 1994, COGNOME ed altri, Rv. 197250).
Ne deriva che, nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME ed altri, Rv.254107; conf. Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, Depretis Rv. 281935). La motivazione della sentenza di appello è del tutto cungrua, in altri termini, se, come nel caso che ci occupa, il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'”ossatura” dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26/9/2002, dep. il 2003, COGNOME, Rv. 223061).
2.2 I fatti, per quello che rileva in questa sede e per come ricostruiti dai giudici di merito, sono incontestati. Come ricordava già il giudice di primo grado, dalla lettura degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero e, specificamente, della c.n.r. e del verbale di arresto redatti dagli operanti della Legione Carabinieri “Calabria” Stazione di Squillace dei 06/07/2020, oltre che dei verbali di perquisizione e sequestro e di accertamenti urgenti “narcotest” redatti in pari data (tutti atti pienamente utilizzabili essendosi proceduto con rito abbreviato, emerge che nella medesima giornata le forze dell’ordine procedettero all’arresto dell’odierno
ricorrente NOME COGNOME. Nello specifico, nell’ambito di un servizio di poli finalizzato alla prevenzione e alla repressione del traffico illecito di sostanze stu pefacenti, gli operanti si portarono presso l’abitazione dell’odierno imputato sita a Vallefiorita in INDIRIZZO, avendo fondato motivo che lo stesso occultasse il predetto materiale illecito. Qui giunti e reso edotto il COGNOME sul motivo d loro presenza, gli operanti intimarono all’imputato di consegnare loro lo stupefacente in suo possesso e lo stesso spontaneamente consegnò loro un contenitore in plastica cli colore giallo con la dicitura “Moon Rock Ice”, contenente 3 grammi cli sostanza avente le caratteristiche organolettiche della marijuana (come successivamente confermato dall’accertamento narcotest in atti). Nel prosieguo dell’attività cli perquisizione, nonostante l’uomo avesse riferito di non possedere altro stupefacente, gli operanti individuarono nascoste all’interno di un casolare, situato nel terreno del COGNOME, sul retro della sua abitazione, 12 piante marijuana in buono stato vegetativo; parimenti, sul retro di un altro casolare anch’esso situato nella medesima proprietà, vennero rinvenute altre 12 piante di marijuana (anch’esse in buono stato vegetativo e nascoste alla vista). Infine, la perquisizione proseguì nel terreno frontalmente adiacente all’abitazione dell’odierno imputato e qui .gli operanti trovarono ulteriori 8 piante di sostanza stupefacente, sempre appartenenti alla tipologia della marijuana, occultate tra i pomodori.
Alla luce cli quanto riscontrato, gli operanti procedettero dunque a porre lo stupefacente sotto sequestro (nel complesso: 3 grammi di sostanza “finita” e 32 piante di marijuana, anch’esse positive al narcotest), nonché all’arresto del COGNOME. E quest’ultimo, in sede di convalida, ebbe ad assumersi la paternità, oltre che di quanto consegnato agli operanti, anche delle piante rinvenute dichiarando che queste ultime erano state da lui piantate nel mese di febbraio, appartenevano alla tipologia della cannabis “light” ed erano funzionali a trarne lo stupefacente per il suo fabbisogno quotidiano, da lui utilizzato come antidolorifico per alleviare l sofferenza derivante dalla patologia oncologica cli cui soffre (contestualmente producendo documentazione medica attestante lo stato cli malattia).
Ebbene, con tale tesi difensiva, che sostanzialmente è quella riproposta acriticamente in appello e anche in questa sede si era motivatamente già confrontato il giudice di primo grado, rilevando come, in merito alla capacità offensiva della coltivazione delle 32 piante di stupefacente, deve ritenersi che la stessa sussista indipendentemente dal mancato accertamento del quantitativo di principio attivo estraibile, n quanto la giurisprudenza di questa Corte di legittimit è chiara nel ribadire il principio per cui il reato di coltivazione di stupeface è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico
previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente (così Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278624 – 02). Ebbene, rilevava già il primo giudice che tali presupposti risultano confermati nel caso di specie, stante la loro conformità alla tipologia botanica della marijuana accertata con narcotest, nonché l’avanzato stato di crescita delle piante e la valenza drogante del ricavato ammessa in sede di convalida dall’arrestato.
Veniva anche evidenziato che, in merito all’asserita coltivazione per finalità di consumo “domestico”, lo stesso può essere pacificamente escluso. A tal proposito, sarebbe infatti necessaria la sussistenza di un nesso di immediatezza tra coltivazione e destinazione ad esclusivo uso personale del coltivatore di tipo oggettivo ed ancorato ad indici sintomatici, tutti necessariamente compresenti. Questi ultimi sono stati ben individuati dall’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale: in un minimo elemento dimensionale della coltivazione che deve comprendere uno scarso numero in piante; in modestissime quantità di sostanza drogante ottenibili dalla coltura; nello svolgersi della suddetta attività in forma domestica e non industriale, anche con riferimento alla natura rudimentale delle tecniche utilizzate; nonché devono mancare indici significativi di inserimento del soggetto esecutore dell’attività nel circuito del mercato illegale.
Del resto, le già citate Sez. U., n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278624 – 01 hanno affermato il principio che Non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, solo una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto.
Ebbene, coerentemente con tali principi, già il giudice di primo grado aveva evidenziato come fosse evidente che nel caso in esame la coltivazione di 32 piante di marijuana non potesse essere ricondotta entro i limiti applicativi sopra esposti. In tal senso, il numero di piante in fase di crescita, nonché il luogo della coltiva zione – occultato e ripartito in diverse aree – sono stati ritenuti logicamente fattor indicativi di una condotta eseguita con modalità prive di un carattere “casalingo” e “domestico”, tale da far escludere che l’attività sia destinata a soddisfare bisogni meramente individuali. E ciò oltretutto trova conferma anche con riferimento al profilo soggettivo del COGNOME, che vanta plurimi precedenti penali, realizzati an che in momenti cronologicamente vicini ai fatti di reato per cui è processo.
Il giudice di primo grado aveva pure confutato la circostanza dedotta dall’imputato in sede di convalida di fare uso dello stupefacente come trattamento entidolorifico per la propria patologia oncologica, rilevando come, per quanto corroborata da documentazione medica (che tuttavia non prescrive affatto trattamenti antidolorifici mediante l’assunzione di sostanze stupefacenti), non valesse, tuttavia, a giustificare la massiccia presenza di 32 piante di marijuana.
Con tali argomentazioni già l’atto di gravame nel merito non si era confrontato, ribadendo acriticamente la linea difensiva dell’acquisto di semi di cannabis light acquistati lecitamente e piantati per far fronte alle proprie esigenze di malato oncologiche.
E con motivazione logica e congrua, la Corte territoriale ha risposto che in maniera del tutto condivisibile il giudice di primo grado – indiscusso che fosse l’imputato a coltivare quelle piante per averlo egli stesso ammesso – ha ritenuto del tutto condivisibile l’interpretazione del giudice di primo grado, che a fronte d 32 piante di non modeste dimensioni e in pieno stato vegetativo, ha ritenuto dimostrata la penale responsabilità dell’odierno imputato, poiché il dato ponderale anche isolatamente considerato, porta ad escludere la destinazione all’uso esclusivamente personale.
Quanto poi al valore del THC contenuto nelle piante in sequestro, per i giudici di appello è indiscussa la natura della sostanza atteso che la quantità del principio attivi può semmai rilevare in punto di gravità del fatto. Ciò perché – come si ricorda – la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che in tema di stupefacenti, la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenz olio e resina, integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 3 anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge 2 dicembre 2016, n. 242, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività (cos Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 275956 – 01 che in motivazione, hanno precisato che la legge 2 dicembre 2016, n.242, qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della dirett 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, per le finalità tassativamente indicate dall’art.2 della predetta legge).
In sentenza si ribadisce che l’ammissione dell’imputato di essere soggetto assuntore per motivi terapeutici non è stato sostenuto da alcuna documentazione sanitaria indicante la necessità di una terapia del dolore e si conclude nel senso di
condividere l’opzione per una detenzione a fini di spaccio della sostanza stupefacente, aggiungendo che in tale contesto il fatto che il COGNOME possa utilizzare la sostanza ad uso terapeutico non vale certo a contraddire il fatto che l’uomo possa essere al contempo anche dedito all’attività illecita di spaccio.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità. E rispetto a tale motivata, logic e coerente pronuncia i ricorrenti chiedono una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
2.3. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto con ampia motivazione, pienamente corrispondente ai principi più volte affermati sul punto, del perché hanno ritenuto i fatti in contestazione non riconducibili alla previsione incriminatrice di cui all’art. 73 co. 5 Dpr. 309/90 richiamando le considerazioni del giudice di primo grado sulla coltivazione e sul numero di piante interessate dalla stessa.
Si tratta, non va trascurato di una coltivazione diversificata, come visto in precedenza, in tre siti diversi.
La sentenza de quo, pertanto, appare pienamente conforme al dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatt di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309 del 1990 – anche all’esito de formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n, 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014) e della legge 16.5.2014 n. 79 che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 20.3.2014 n. 36 – può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con una valutazione che deve essere complessiva, ma al cui esito è possibile che uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione restando priva di incidenza sul giudizio (così Sez. U. n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076 che, a pag. 14 della motivazione, ricordano che rimangono pertanto attuali i principi affermati nei precedenti arresti delle Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 e Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 cfr. anche ex multis, Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, COGNOME, Rv. 263551, nel giudicare un caso in cui è stata ritenuta legittima l’esclusione dell’attenuante in esame per la protrazione nel tempo dell’attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistati e ceduti, per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l’elevato numero di clienti; conf. Sez. 3, 32695 del 27/03/2015,
N.
4440/2025 GLYPH
R.G.
COGNOME, Rv. 264491, in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell’at- tenuante la diversità qualitativa delle sostanze detenute per la vendita, indicativa
dell’attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori).
Va anche evidenziato che, seppure è stata in talune occasioni riconosciuta la forma lieve del reato contestato in casi in cui la quantità di sostanza stupefacente
rinvenuta è stata superiore rispetto a quella del caso qui in esame, la più recente giurisprudenza di legittimità ha condivisibilmente chiarito il principio secondo cui
in tema di stupefacenti, la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può effettuarsi in base al solo dato quantitativo,
risultante dalla ricognizione statistica su un campione di sentenze che hanno rico- nosciuto la minore gravità del fatto, posto che, come da sempre detto, per l’ac-
certamento della stessa, è necessario fare riferimento all’apprezzamento comples- sivo degli indici richiamati dalla norma (Sez. 3, n. 12551 del 14/02/2023,
Rv. 284319 – 01).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 08/04/2025