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Coltivazione cannabis: quando è reato? Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per un agricoltore accusato di coltivazione cannabis su larga scala. Nonostante l’uso di semi certificati, la Corte ha stabilito che la finalità di spaccio, provata dalle ingenti quantità, dalle attrezzature professionali e dai livelli di THC in alcuni campioni, integra il reato previsto dall’art. 73 d.P.R. 309/1990. La sentenza chiarisce che la legge sulla canapa industriale (L. 242/2016) non legalizza la produzione di derivati con efficacia drogante.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Coltivazione di Cannabis: Oltre i Limiti della Legalità. La Sentenza della Cassazione

La linea di confine tra la coltivazione di canapa industriale consentita e la produzione di sostanze stupefacenti è spesso al centro di complessi dibattiti legali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza i principi che distinguono le due attività, sottolineando come la coltivazione cannabis, anche se avviata con semi certificati, integri un grave reato quando le modalità e le finalità sono orientate al mercato degli stupefacenti. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere i criteri utilizzati dai giudici per valutare la liceità di tali attività.

I Fatti: Un’Azienda Agricola Sotto la Lente

Il caso ha origine da un controllo su un’autovettura condotta da un imprenditore agricolo, all’interno della quale le forze dell’ordine hanno percepito un forte odore di marijuana. I successivi controlli presso l’azienda agricola dell’uomo hanno portato alla luce una vasta operazione di coltivazione e produzione. Gli agenti hanno rinvenuto oltre 100 piante di cannabis sativa di circa un metro di altezza, coltivate in due serre professionali dotate di impianti di illuminazione, riscaldamento e irrigazione.

Oltre alle piante, sono stati sequestrati circa 7,5 kg di marijuana già essiccata e pronta per la vendita, corrispondenti a oltre 1100 dosi medie singole, e una piccola quantità di hashish. La perquisizione ha inoltre rivelato la presenza di attrezzature specifiche per il confezionamento, come una macchina per il sottovuoto, un setaccio e una bilancia, elementi che indicavano una produzione organizzata e non destinata all’uso personale o ai fini consentiti dalla legge.

La Difesa dell’Imputato: La Tesi della Cannabis Light

L’imprenditore si è difeso sostenendo di operare nella piena legalità, appellandosi alla legge n. 242/2016 sulla coltivazione della canapa industriale. A riprova della sua buona fede, ha esibito fatture e ricevute relative all’acquisto di semi certificati, provenienti da varietà ammesse dalla normativa. Secondo la sua tesi, l’attività era finalizzata alla produzione di “cannabis light” e le eventuali eccedenze nei limiti di THC erano da considerarsi un effetto naturale non voluto. Ha inoltre contestato le modalità di campionatura delle sostanze, ritenendole irregolari.

L’Analisi sulla coltivazione cannabis e i Principi delle Sezioni Unite

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha richiamato i principi consolidati espressi dalle Sezioni Unite (in particolare la nota sentenza n. 30475/2019). I giudici hanno chiarito che la legge n. 242/2016 ha lo scopo di promuovere la filiera agroindustriale della canapa per usi specifici (es. produzione di fibre, cosmetici, alimenti), ma non ha liberalizzato la coltivazione cannabis per la produzione di foglie, infiorescenze, olio e resina destinati al consumo umano con effetti droganti.

La commercializzazione di tali derivati rimane un reato ai sensi dell’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti (d.P.R. 309/1990), a meno che non sia provata la loro concreta inoffensività, ovvero l’assoluta assenza di efficacia psicotropa. Le soglie di THC indicate dalla legge del 2016 (0,2% – 0,6%) servono unicamente a escludere la responsabilità dell’agricoltore che, pur avendo seguito le regole, si trovi con un raccolto che supera di poco il limite, ma non costituiscono una soglia di liceità per la commercializzazione dei derivati.

le motivazioni della Corte di Cassazione

La decisione della Corte si fonda su una valutazione complessiva degli elementi probatori, che andavano ben oltre il semplice dato formale dell’acquisto di semi legali. I giudici hanno ritenuto che l’imputato avesse creato solo un’apparenza di legalità per mascherare un’attività illecita. Gli elementi decisivi sono stati:

1. Le Quantità e la Professionalità: L’ingente quantitativo di piante e di sostanza già lavorata, unito alla presenza di serre attrezzate e strumenti per il confezionamento, è stato considerato incompatibile con una coltivazione a fini legali e sintomo di un’attività organizzata per lo spaccio.
2. L’Efficacia Drogante: Le analisi di laboratorio, sebbene abbiano riscontrato in molti campioni un THC inferiore allo 0,6%, hanno rivelato in altri (resina, foglie) concentrazioni significativamente più alte (fino al 14,22%), a dimostrazione della concreta capacità drogante del prodotto. La presenza di campioni “legali” non smentisce l’offensività complessiva della condotta.
3. L’Elemento Soggettivo (Dolo): La Corte ha escluso l’ipotesi di un errore scusabile sulla legge. L’insieme delle circostanze, dalla predisposizione di una struttura professionale alla gestione di ingenti quantità, dimostrava la piena consapevolezza e volontà dell’imputato di produrre sostanze stupefacenti destinate a terzi, configurando pienamente il dolo richiesto dalla norma penale.
4. L’Esclusione della Lieve Entità: La richiesta di qualificare il fatto come di “lieve entità” (art. 73, comma 5) è stata respinta proprio in virtù del dato quantitativo e qualitativo, che delineava un’operazione di notevole disvalore sociale e non un episodio marginale.

Infine, anche il diniego delle attenuanti generiche è stato confermato, poiché la gravità dei fatti e le modalità organizzate della condotta delittuosa non permettevano di riconoscere elementi a favore dell’imputato.

le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale: la legge sulla canapa industriale non è uno scudo per chi intende produrre e commercializzare stupefacenti. I giudici non si fermano all’apparenza (l’acquisto di semi certificati), ma valutano l’intero contesto operativo. La professionalità dell’impianto, le quantità prodotte, la presenza di attrezzature per il confezionamento e, soprattutto, la concreta efficacia drogante del prodotto finale sono gli indicatori che trasformano una potenziale attività agricola lecita in un grave reato. Per gli operatori del settore, è un monito a operare nel rigoroso rispetto dei fini previsti dalla legge, poiché ogni deviazione verso la produzione di sostanze con effetti psicotropi destinati al mercato illegale comporta severe conseguenze penali.

È sempre legale la coltivazione di cannabis con semi certificati ai sensi della legge 242/2016?
No. La coltivazione è legale solo se finalizzata agli usi agroindustriali previsti dalla legge (es. fibre, alimenti, cosmetici). Se è finalizzata alla produzione di derivati (foglie, infiorescenze) con efficacia drogante e destinati alla commercializzazione, integra il reato previsto dall’art. 73 d.P.R. 309/1990, indipendentemente dall’origine dei semi.

La presenza di un basso livello di THC (sotto lo 0,6%) in alcuni campioni rende l’intera coltivazione legale?
No. Secondo la Corte, la presenza di alcuni campioni con THC entro i limiti non esclude l’illiceità della condotta se altri campioni presentano un’efficacia drogante e se le circostanze complessive (quantità, attrezzature) dimostrano la finalità di spaccio. L’offensività della condotta va valutata nel suo insieme.

Quando una coltivazione di cannabis non può essere considerata un “fatto di lieve entità”?
Una coltivazione non è considerata di lieve entità quando i dati quantitativi (numero di piante, peso della sostanza) e qualitativi (modalità professionali di coltivazione, presenza di strumenti per il confezionamento e lo spaccio) indicano un’operazione organizzata e una significativa pericolosità sociale, come nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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