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Coltivazione canapa light: assoluzione e superamento THC

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore contro l’assoluzione di due agricoltori. Nonostante il superamento della soglia di THC in una coltivazione di canapa light, l’assenza di prova sulla volontà dolosa (dolo) degli imputati è stata decisiva. La sentenza sottolinea come l’aumento del principio attivo possa derivare da cause naturali, escludendo l’automatica responsabilità penale.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Coltivazione Canapa Light: Quando il Superamento del THC Non È Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 6345/2024 offre un importante chiarimento sulla coltivazione canapa light e sulla responsabilità penale dell’agricoltore in caso di superamento dei limiti di THC. La Corte ha stabilito che non basta accertare un valore di principio attivo superiore alla soglia legale per affermare la colpevolezza; è necessario che l’accusa dimostri, oltre ogni ragionevole dubbio, l’intenzione dolosa di produrre sostanza stupefacente.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da un’accusa mossa a due agricoltori per la coltivazione di circa 5260 piante di canapa indiana e la detenzione di 600 kg di marijuana. Inizialmente, il Tribunale aveva emesso una condanna. Tuttavia, la Corte di Appello di Catanzaro, decidendo su rinvio della stessa Corte di Cassazione, aveva riformato la sentenza di primo grado, assolvendo gli imputati “perché il fatto non sussiste”.

Secondo la Corte d’Appello, non vi erano prove sufficienti per dimostrare che gli imputati avessero agito con la volontà di produrre droga. Il Procuratore Generale ha impugnato questa assoluzione, sostenendo che le analisi chimiche effettuate su 45 campioni dimostravano un superamento diffuso della soglia di THC consentita, elemento che, unito all’ingente quantitativo, avrebbe dovuto confermare l’accusa.

La Questione Giuridica nella Coltivazione Canapa Light

Il nodo centrale della questione riguarda l’interpretazione della Legge 242/2016, che disciplina la coltivazione canapa light a basso contenuto di THC. La legge prevede una causa di esclusione della responsabilità per l’agricoltore qualora il contenuto di THC superi la soglia dello 0,6% a causa di fattori imprevisti e non dipendenti dalla sua volontà, come ad esempio un’ibridazione spontanea delle piante.

Il compito affidato alla Corte di Appello, e poi riesaminato dalla Cassazione, era proprio quello di verificare se la condotta degli imputati rientrasse in questa specifica cornice normativa, distinguendo tra una coltivazione lecita sfuggita al controllo per cause naturali e una coltivazione volutamente illecita.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore, ritenendolo generico e incapace di confrontarsi con l’articolata motivazione della Corte di Appello. I giudici supremi hanno evidenziato i seguenti punti chiave:

1. Complessità delle Prove Analitiche

La Corte di merito non si è limitata a prendere atto del superamento dei limiti di THC, ma ha valutato un quadro probatorio complesso e non univoco. Dalle analisi erano emersi sia campioni con THC molto basso sia altri, più numerosi, con valori superiori alla soglia. Questa disomogeneità è stata interpretata come un possibile sintomo di un’ibridazione spontanea e non come il risultato di una condotta dolosa.

2. Mancanza della Prova del Dolo

Il punto cruciale è l’assenza di prove certe sulla volontà dolosa degli agricoltori. Mancavano dati tecnici sull’attività di coltivazione e non era stato possibile effettuare confronti con campioni prelevati da altre aree dell’azienda. In assenza di elementi capaci di dimostrare con certezza l’intenzione di produrre sostanza stupefacente, la Corte di Appello ha correttamente applicato il principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, assolvendo gli imputati.

3. Genericità del Ricorso

Il Procuratore si è limitato a valorizzare il mero dato numerico del superamento della soglia di THC, facendone discendere automaticamente l’illiceità della coltivazione. Questo approccio, secondo la Cassazione, ignora la specificità della normativa sulla canapa industriale e la necessità di provare l’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale in materia di coltivazione canapa light: la responsabilità penale non è automatica. Il superamento del limite di THC è un indizio, ma non costituisce di per sé la prova del reato. Spetta all’accusa l’onere di dimostrare, con prove certe e incontrovertibili, che l’agricoltore ha agito con la specifica intenzione di produrre droga. In mancanza di tale prova, e in presenza di spiegazioni alternative plausibili come i processi naturali delle piante, il dubbio deve risolversi a favore dell’imputato, conducendo all’assoluzione.

Un agricoltore che coltiva canapa light è sempre responsabile penalmente se le piante superano la soglia di THC consentita?
No. La sentenza chiarisce che il superamento del limite di THC può avvenire per fenomeni naturali come l’ibridazione spontanea. Se non viene provata la volontà dolosa (l’intenzione) dell’agricoltore di produrre sostanza stupefacente, la responsabilità penale è esclusa, come previsto dalla Legge 242/2016.

Cosa deve dimostrare l’accusa per ottenere una condanna in casi simili?
L’accusa non può limitarsi a dimostrare il superamento del valore soglia di THC. Deve provare “oltre ogni ragionevole dubbio” che l’agricoltore ha agito con dolo, cioè con la precisa intenzione di coltivare piante per produrre droga, e non come conseguenza di un processo naturale imprevisto nell’ambito di una coltivazione autorizzata.

Perché il ricorso del Procuratore Generale è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto generico perché non si è confrontato con la complessa motivazione della Corte d’appello. Si è limitato a ribadire il dato del superamento della soglia di THC, ignorando l’analisi della corte sul possibile fenomeno di ibridazione spontanea e sulla mancanza di prove certe riguardo la volontà dolosa degli imputati, che ha portato alla loro assoluzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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