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Colloqui detenuto convivente: sì dalla Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che un detenuto sottoposto al regime speciale del 41 bis ha diritto a mantenere colloqui e corrispondenza con il proprio convivente. La Corte ha rigettato il ricorso del Ministero della Giustizia, chiarendo che la nozione di ‘convivente’ è distinta e parificata a quella di ‘familiare’ ai fini dei contatti. La sentenza sottolinea che, una volta provata la stabilità del rapporto di convivenza, il diritto ai colloqui del detenuto convivente non può essere negato, superando l’interpretazione restrittiva che limitava tale possibilità solo ai familiari legalmente riconosciuti.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Colloqui Detenuto Convivente: La Cassazione Equipara il Partner al Familiare

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha sancito un principio fondamentale in materia di diritti dei detenuti, stabilendo che i colloqui del detenuto convivente sono un diritto garantito anche nel regime di carcere duro previsto dall’art. 41 bis. Questa decisione chiarisce che il partner convivente, pur non essendo un familiare in senso stretto, gode degli stessi diritti di contatto, a condizione che il rapporto di convivenza sia effettivo e dimostrato.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dal reclamo di un uomo detenuto in regime differenziato ex art. 41 bis. A seguito dell’applicazione di tale regime, gli erano stati negati i colloqui visivi e la possibilità di ricevere corrispondenza dalla sua convivente. La motivazione del diniego iniziale da parte del Magistrato di Sorveglianza si basava su una interpretazione restrittiva: la donna era considerata una ‘terza persona’ in quanto la convivenza non era stata formalmente provata e il detenuto risultava ancora legalmente sposato con un’altra persona.
Il detenuto ha impugnato tale decisione, sostenendo che la sua relazione con la convivente era ultradecennale e che, prima dell’applicazione del 41 bis, aveva regolarmente effettuato colloqui audiovisivi con lei. Il Tribunale di Sorveglianza, accogliendo il reclamo, ha riconosciuto l’esistenza di un effettivo rapporto di convivenza, basandosi sugli atti che confermavano una fitta corrispondenza e scambi di pacchi postali tra i due.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso del Ministero

Il Ministero della Giustizia, per mezzo dell’Avvocatura dello Stato, ha presentato ricorso in Cassazione contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La tesi del Ministero era che la nozione di ‘familiari’, prevista dalla legge per i colloqui, non potesse essere estesa ai conviventi, specialmente in un regime restrittivo come il 41 bis. Secondo il ricorrente, i contatti avrebbero dovuto essere ammessi solo con i familiari strettamente intesi, e il legame tra il detenuto e la donna non era stato adeguatamente provato.
Inoltre, si contestava il valore probatorio dei precedenti colloqui e del fatto che l’uomo fosse stato arrestato presso l’abitazione della donna, ritenuti insufficienti a dimostrare una stabile convivenza.

Le Motivazioni della Corte e il Diritto ai Colloqui del Detenuto Convivente

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Ministero, ritenendolo infondato. Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione letterale dell’art. 41 bis, comma 2 quater, lett. b), dell’ordinamento penitenziario. La norma disciplina i colloqui per i detenuti in regime differenziato, consentendoli espressamente ‘con familiari e conviventi’.
La Corte ha spiegato che l’uso della congiunzione ‘e’ indica che le due figure, familiare e convivente, sono distinte ma godono dello stesso diritto. Non è necessario che la qualità di convivente si sommi a quella di familiare. Pertanto, i colloqui sono permessi sia con i familiari (anche se non conviventi) sia con i conviventi (anche se non familiari).
La decisione è ulteriormente rafforzata dal richiamo a circolari del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP). In particolare, la circolare del 2 ottobre 2017 afferma testualmente che ‘al fine dell’autorizzazione al colloquio visivo il convivente è parificato al familiare avente diritto’. Analogamente, un’altra circolare sulla ricezione dei pacchi stabilisce che questa è possibile senza autorizzazione specifica se il pacco proviene da ‘familiari o conviventi’.
Nel caso specifico, la convivenza era stata ritenuta provata dalle informazioni raccolte dagli organi di polizia giudiziaria, che avevano confermato come l’uomo fosse stato arrestato proprio presso l’abitazione dove viveva con la partner. Questa circostanza è stata considerata sufficiente a rendere illegittimo il diniego dei colloqui del detenuto convivente.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione consolida un importante principio di diritto e di civiltà: ai fini dei contatti con l’esterno, il convivente di un detenuto, anche in regime di 41 bis, è equiparato a un familiare. La decisione afferma che, una volta accertata l’effettività e la stabilità del rapporto di convivenza, non possono essere poste limitazioni ai colloqui e alla corrispondenza basate su una concezione restrittiva e formalistica dei legami familiari. Si tratta di un passo fondamentale per la tutela dei diritti affettivi della persona detenuta, bilanciando le esigenze di sicurezza con il rispetto della sfera personale e relazionale.

Un detenuto in regime 41 bis ha diritto ad avere colloqui con il proprio convivente?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario consente esplicitamente i colloqui con i ‘familiari e conviventi’, riconoscendo il diritto anche per chi si trova in regime detentivo speciale.

Ai fini dei colloqui, il convivente è equiparato a un familiare?
Sì. La sentenza, supportata da circolari ministeriali, chiarisce che il convivente è ‘parificato al familiare avente diritto’. Pertanto, gode degli stessi diritti in materia di colloqui visivi, corrispondenza e ricezione di pacchi.

Cosa è necessario per dimostrare il rapporto di convivenza ai fini dei colloqui?
La convivenza deve essere un fatto provato. Nel caso esaminato, le informazioni fornite dagli organi di polizia giudiziaria, che attestavano l’arresto del detenuto presso l’abitazione condivisa con la partner, sono state considerate una prova sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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