Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24600 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24600 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Rovato il 25/01/1972;
COGNOME NOMECOGNOME nata a Brescia il 26/07/1975;
COGNOME NOMECOGNOME nata a Brescia il 20/04/1978
COGNOME NOMECOGNOME nata a Rovato il 05/08/1956
avverso la sentenza emessa il 19/09/2024 dalla Corte d’Appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19/09/2024, la Corte d’Appello di Brescia ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Brescia, in data 18/12/2023, con la quale – per quanto qui specificamente rileva – gli odierni ricorrenti, nelle rispettiv qualità rispettivamente meglio precisate in rubrica, erano stati condannati alla pena di giustizia in relazione: quanto a COGNOME NOME, al reato di cui al capo 2),
limitatamente all’imputazione sub b); quanto COGNOME NOME, al reato di cui al capo 4); quanto a COGNOME NOME, al reato di cui al capo 5); quanto a COGNOME NOME, al reato di cui al capo 7). In relazione a tali delitti per cui era intervenuta condanna, il Tribunale aveva altresì disposto la confisca del profitto, anche per equivalente; inoltre, nei confronti delle COGNOME e della COGNOME (oltre che di COGNOME NOME), il Tribunale aveva invece dichiarato non doversi procedere, per essere i reati estinti per prescrizione, quanto alle residue imputazioni rispettivamente ascritte.
In particolare, la Corte d’Appello: ha dichiarato non doversi procedere, nei confronti di COGNOME NOME e del COGNOME, dai reati per cui era intervenuta condanna in primo grado, limitatamente alle dichiarazioni IVA, per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione; ha revocato la confisca per equivalente disposta nei confronti dei predetti, nei limiti indicati; ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata.
Ricorrono per cassazione, con unico atto, il COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge con riferimento al mancato rispetto del termine di quaranta giorni per la notifica agli imputati del decreto di citazione a giudizio i appello, ai sensi del novellato art. 601 cod. proc. pen. Dopo aver ripercorso l’evoluzione normativa in relazione a tale incombente, la difesa insiste per la rilevazione del vizio di notifica e la conseguente nullità della sentenza.
2.2. Violazione di legge con riferimento alla conferma della penale responsabilità. Si censura la sentenza per essersi limitata a riprodurre le considerazioni svolte dal primo giudice, e per aver ignorato quanto dedotto in appello in ordine alla normativa di settore, e – quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche – alla incensuratezza degli imputati.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, richiamando la recente pronuncia delle Sezioni Unite quanto alla prima questione, e sottolineando il carattere generico delle residue doglianze prospettate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve preliminarmente evidenziarsi che la dichiarazione di adesione all’astensione di categoria, trasmessa dal difensore dei ricorrenti in vista dell’odierna udienza, risulta priva di effetti.
È invero necessario dar seguito al condivisibile indirizzo interpretativo elaborato da questa Suprema Corte nella vigenza delle disposizioni emergenziali
conseguenti alla diffusione del COVID-19, ma certamente applicabile anche alla “ordinaria” fattispecie in esame – secondo cui «nel giudizio di cassazione celebrato secondo la disciplina emergenziale pandemica, in assenza di tempestive richieste di discussione orale, è priva di effetti l’istanza di rinvio presentata dal difensor che dichiari di aderire all’astensione collettiva proclamata dai competenti organismi di categoria, non avendo l’istante diritto di partecipare all’udienza camerale» (Sez. 5, n. 26764 del 20/04/2023, COGNOME, Rv. 284786 – 01)
I ricorsi sono inammissibili.
2.1. Per ciò che riguarda l’eccezione di nullità della citazione a giudizio per mancato rispetto dei termini, deve osservarsi che la difesa ha sollevato una questione già decisa, anteriormente alla proposizione del ricorso, dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, nel senso che «la disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobr 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nel giudizio di appello, è applicabile agli atti d’impugnazione proposti a far data dal 1 luglio 2024» (così l’informazione provvisoria diffusa sul sito di questa Suprema Corte in data 27/06/2024, con riferimento alle decisioni Sez. U, n. 24124 del 27/06/2024, NOME COGNOME e 27/06/2024, n. 42125, ric. COGNOME).
Risulta quindi pacifica l’infondatezza dell’eccezione, essendo il ricorso in appello degli imputati stato depositato in data anteriore al 01/07/2024. Deve solo aggiungersi che, se è vero che le due sentenze sono state depositate solo in data 27/11/2024 (due giorni dopo la presentazione dell’odierno ricorso), dando luogo alla massimazione del principio ai nn. Rv. 287095-01 e Rv. 287096-01, è anche vero che la difesa ricorrente era pienamente in grado di confrontarsi con l’informazione provvisoria, viceversa del tutto ignorata nella formulazione della doglianza.
2.2. Ad analoghe conclusioni di inammissibilità deve pervenirsi quanto alle residue censure, che appaiono del tutto prive delle indispensabili connotazioni di specificità.
Questa Suprema Corte, con orientamento del tutto consolidato, ha avuto modo di chiarire che «è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01).
Si tratta di un principio che deve trovare applicazione nella fattispecie in esame, in cui la Corte territoriale (pag. 18 seg. della sentenza impugnata) aveva evidenziato il mancato confronto dei motivi di appello con il percorso argomentativo alla base della decisione di condanna in primo grado.
In particolare, con riferimento alla omessa dichiarazione di cui al capo 7), è stata evidenziata l’assenza di elementi idonei a sostenere il mancato
raggiungimento della soglia di punibilità; quanto alle residue imputazioni contestate ai ricorrenti, la Corte d’Appello ha posto in rilievo il mancato confronto
con quanto rappresentato alle pagg. 12 segg. della sentenza di primo grado, con riferimento alla fittizietà delle operazioni fatturate e alla complessiva logic
fondante le operazioni medesime, funzionali all’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali: una logica pienamente condivisa dai membri della famiglia titolari delle
varie cariche amministrative (cfr. in particolare pag. 19, in cui la Corte territoria sottolinea che il percorso argomentativo tracciato dal primo giudice, all’esito di
una completa disamina delle risultanze in atti, aveva posto l’accento sul fatto che le attività oggetto delle fatturazioni non erano in alcun modo ricollegabili alla
documentazione prodotta dalla difesa).
A fronte di tali specifici rilievi mossi dalla Corte d’Appello, la difesa non andata oltre una reiterazione della propria prospettazione, volta a sostenere
l’effettività delle operazioni sottese alle fatture senza peraltro alcun effetti confronto con la motivazione della sentenza impugnata.
Considerazioni del tutto analoghe devono essere svolte con riferimento alla doglianza relativa alla mancata concessione delle attenuanti generiche, a proposito
delle quali si insiste sull’incensuratezza degli imputati: anche in questo caso, difetta un adeguato confronto critico rispetto alle concordi valutazioni dei giudici di merito, imperniate non solo sulla irrilevanza, in sé, dello stato di incensuratezza, ma anche sullo scarso rilievo attribuibile alla condotta processuale e sulla valenza negativa riconducibile al mancato attivarsi, da parte dei ricorrenti, al fine d riparare il danno cagionato all’erario (cfr. sul punto pag. 20 della sentenza impugnata).
Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 07 maggio 2025
Il Consigliere estensore