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Cattivo stato di conservazione: condanna senza analisi

Il titolare di un ristorante è stato condannato per aver detenuto alimenti in cattivo stato di conservazione, tra cui prodotti congelati in proprio e poi ricongelati. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che per questo reato non sono necessarie analisi di laboratorio che provino il deperimento del cibo. Il reato, infatti, è di pericolo e punisce la scorretta modalità di conservazione a prescindere dal verificarsi di un danno effettivo alla salute dei consumatori.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Cattivo stato di conservazione: quando il reato sussiste anche senza analisi

La corretta gestione degli alimenti è un pilastro fondamentale per qualsiasi operatore del settore della ristorazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 5672/2024) ha ribadito un principio cruciale: il reato di cattivo stato di conservazione degli alimenti si configura sulla base delle modalità di stoccaggio, senza che sia necessario dimostrare il deperimento effettivo del prodotto tramite analisi di laboratorio. Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione per tutti gli addetti ai lavori.

Il caso: alimenti congelati e ricongelati in un ristorante

Il caso ha origine dalla condanna del titolare di un ristorante. Durante un’ispezione, le autorità avevano trovato nel congelatore del locale diversi prodotti alimentari deperibili, tra cui carni, semilavorati, anatre e mazzancolle, in evidente cattivo stato di conservazione.
Nello specifico, era stato accertato che alcuni alimenti erano stati congelati direttamente dall’operatore (e non acquistati già surgelati), mentre altri erano stati scongelati e successivamente ricongelati. Questa pratica, notoriamente rischiosa per la sicurezza alimentare, è stata al centro della contestazione.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la condanna fosse illegittima per diverse ragioni. In primo luogo, lamentava la mancanza di analisi di laboratorio che attestassero l’effettivo deperimento degli alimenti. In secondo luogo, affermava che, non essendosi verificati malori tra i clienti, non vi fosse stato alcun danno concreto. Infine, sosteneva che dovesse applicarsi solo una sanzione amministrativa e non una penale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la condanna inflitta dal Tribunale. I giudici hanno chiarito che la normativa non richiede prove scientifiche del deterioramento del cibo, ma si concentra sulla violazione delle corrette procedure di conservazione, considerate di per sé un pericolo per la salute pubblica.

Le motivazioni: la natura del reato di cattivo stato di conservazione

La sentenza si fonda su principi consolidati in materia di sicurezza alimentare. Le motivazioni della Corte chiariscono la natura e la portata del reato previsto dall’art. 5, lettera b), della legge 283/1962.

L’irrilevanza delle analisi di laboratorio

Il punto centrale della decisione è che il cattivo stato di conservazione non è un elemento che deve essere provato con analisi microbiologiche o chimiche. Il reato si configura quando gli alimenti sono detenuti con modalità non idonee a garantirne la salubrità. La presenza di prodotti ricongelati, conservati in vaschette aperte e con brinatura, costituisce di per sé la prova della violazione. Il giudice può basare la sua decisione sui dati oggettivi che emergono dal verbale degli ispettori, come l’inosservanza delle più elementari cautele igieniche e delle tecniche di conservazione.

Reato di pericolo, non di danno

La Corte ribadisce che il reato in questione è un “reato di pericolo”. Questo significa che la legge non punisce il verificarsi di un danno effettivo alla salute del consumatore (come un’intossicazione alimentare), ma il semplice fatto di aver creato una situazione potenzialmente dannosa. L’obiettivo della norma è preventivo: proteggere l’interesse del consumatore a ricevere un prodotto trattato secondo le corrette norme igieniche, prima ancora che possa verificarsi un danno. Di conseguenza, l’argomento difensivo secondo cui “nessun cliente si è sentito male” è stato ritenuto del tutto irrilevante.

Il rapporto con l’illecito amministrativo

Infine, i giudici hanno respinto la tesi della specialità tra illecito penale e illecito amministrativo. Anche se l’operatore riceve una sanzione amministrativa per violazioni delle norme igieniche generali (come previsto dal D.Lgs. 193/2007), ciò non esclude la responsabilità penale per il reato di cattivo stato di conservazione. Le due normative, infatti, tutelano beni giuridici diversi e possono essere applicate contemporaneamente. La sanzione amministrativa punisce il mancato rispetto dei requisiti generali di igiene, mentre quella penale sanziona la specifica e più grave condotta di conservare male gli alimenti.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per i ristoratori

Questa sentenza conferma un orientamento rigoroso a tutela della salute pubblica. Per gli operatori del settore alimentare, le implicazioni sono chiare:
1. La forma è sostanza: Le modalità di conservazione sono esse stesse oggetto di valutazione legale. Non basta che un alimento sia ‘ancora buono’; deve essere conservato secondo le regole.
2. Attenzione massima alle procedure: Pratiche come la ricongelazione di prodotti scongelati o il congelamento ‘fai-da-te’ di alimenti freschi destinati alla vendita come tali sono considerate pericolose e possono integrare un reato.
3. L’ispezione fa fede: Le constatazioni oggettive riportate nel verbale degli ispettori (es. brina eccessiva, contenitori aperti, mancanza di etichettatura) possono essere sufficienti per fondare una condanna penale.
4. Non si può attendere il danno: La responsabilità scatta nel momento in cui si crea il pericolo, non quando il pericolo si trasforma in un danno effettivo per la salute di un cliente. Agire nel rispetto delle normative non è solo un obbligo, ma la migliore forma di prevenzione, sia per i consumatori che per l’azienda stessa.

Per configurare il reato di cattivo stato di conservazione è necessaria un’analisi di laboratorio che provi il deperimento degli alimenti?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il reato si configura sulla base delle modalità di detenzione degli alimenti. L’inosservanza delle corrette tecniche di conservazione, accertata visivamente dagli ispettori, è sufficiente a integrare il reato, senza necessità di prelievi o analisi specifiche.

È necessario che un cliente si ammali perché l’esercente sia condannato per cattivo stato di conservazione?
No, non è necessario. Il reato è classificato come ‘reato di pericolo’, il che significa che la legge punisce la creazione di un rischio per la salute pubblica, indipendentemente dal fatto che si sia verificato un danno concreto. La condotta illecita è la conservazione scorretta in sé.

Se ricevo una multa (sanzione amministrativa) per problemi di igiene, sono esente da responsabilità penale per gli stessi fatti?
No. La sentenza chiarisce che l’illecito amministrativo (es. violazione dei regolamenti sull’igiene) e il reato di cattivo stato di conservazione sono due cose distinte che possono coesistere. L’applicazione di una sanzione amministrativa non esclude la possibilità di essere perseguiti e condannati anche penalmente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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