Carta d’identità falsa e validità per l’espatrio: la Cassazione fissa i paletti
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12869/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema delicato e di grande attualità: il reato di possesso di una carta d’identità falsa. La decisione chiarisce in modo netto la linea di demarcazione tra la fattispecie più grave, prevista dall’articolo 497-bis del codice penale, e quelle minori, stabilendo un principio fondamentale sull’onere della prova.
Il caso in esame: dal Tribunale alla Cassazione
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo, confermata sia in primo grado dal Tribunale di Massa sia in appello dalla Corte di Genova, per il reato di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandolo su tre motivi principali:
1. Un presunto vizio di motivazione e violazione di legge, sostenendo che il reato dovesse essere derubricato in quello meno grave di falsità materiale in certificazioni amministrative (artt. 477 e 482 c.p.).
2. La non configurabilità del reato contestato, poiché la carta d’identità falsa in suo possesso non sarebbe stata valida per l’espatrio.
3. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
L’analisi della Corte sulla carta d’identità falsa
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, riunendo e rigettando i primi due motivi. Il punto centrale della decisione risiede nella natura del documento contraffatto. I giudici hanno sottolineato che la sentenza impugnata era priva di vizi logici, in quanto il documento contestato non conteneva la clausola di ‘non validità per l’espatrio’. Proprio questa assenza lo qualificava come titolo idoneo a legittimare l’uscita dal territorio nazionale.
La Corte ha inoltre specificato che la circostanza che un tale documento non potesse, in concreto, essere rilasciato all’imputato è del tutto irrilevante. La norma, infatti, sanziona la semplice detenzione del documento falso, non il suo effettivo utilizzo. Il fatto che l’imputato se lo sia procurato, nonostante la sua presunta ‘inutilità’, è stato considerato un elemento a suo sfavore.
L’onere della prova e il precedente giurisprudenziale
La Cassazione ha rafforzato la propria posizione richiamando un suo precedente orientamento (Sez. 5, n. 25218 del 2020). Secondo questa giurisprudenza consolidata, il possesso di una carta d’identità falsa integra il delitto previsto dall’art. 497-bis c.p. solo se il documento è valido per l’espatrio. Tuttavia, l’onere di allegazione probatoria, ovvero il compito di dimostrare l’esistenza di una clausola che ne limiti la validità (come la dicitura ‘non valida per l’espatrio’), grava interamente sull’imputato che ne contesta l’idoneità.
La questione delle attenuanti generiche
Anche il terzo motivo di ricorso, relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, è stato ritenuto infondato. La Corte lo ha qualificato come ‘generico’, poiché il ricorrente non aveva indicato alcun elemento concreto e favorevole che la Corte d’Appello avrebbe omesso di valutare. Una semplice richiesta di clemenza, non supportata da fatti specifici, non è sufficiente per ottenere una riduzione di pena.
le motivazioni
Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su un’interpretazione rigorosa dell’art. 497-bis del codice penale. La decisione si articola su due pilastri fondamentali. In primo luogo, la natura del documento: una carta d’identità, per sua tipologia, è considerata un titolo valido per l’espatrio, a meno che non contenga una specifica clausola che lo escluda. L’assenza di tale clausola sul documento falso è determinante per qualificare il reato nella sua forma più grave. In secondo luogo, il principio dell’onere della prova: non è l’accusa a dover dimostrare la validità per l’espatrio, ma è la difesa a dover provare il contrario, ossia la presenza di una limitazione esplicita. La Corte ha ritenuto irrilevante la possibilità concreta di utilizzo del documento, poiché la legge punisce il mero possesso, che manifesta di per sé la pericolosità della condotta. Infine, la richiesta di attenuanti è stata respinta per genericità, confermando che le doglianze devono essere specifiche e non limitarsi a una mera lamentela sulla decisione del giudice di merito.
le conclusioni
L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Consolida il principio secondo cui chi viene trovato in possesso di una carta d’identità falsa rischia una condanna per un reato grave, a meno che non sia in grado di dimostrare che il documento stesso riportava una chiara limitazione all’espatrio. Questa decisione rende più difficile per la difesa sostenere la derubricazione del reato in fattispecie meno gravi, spostando sull’imputato un onere probatorio significativo. Inoltre, ribadisce la necessità, per chi ricorre in Cassazione, di formulare motivi di ricorso specifici e dettagliati, soprattutto quando si lamenta la mancata concessione di benefici come le attenuanti generiche. Il messaggio del legislatore, interpretato dalla Corte, è chiaro: la circolazione di documenti d’identità falsi validi per l’espatrio è considerata una minaccia seria, punita con severità.
Possedere una carta d’identità falsa è sempre un reato grave ai sensi dell’art. 497-bis c.p.?
No, non sempre. Secondo la Corte, il reato più grave si configura quando il documento falso non contiene la specifica dicitura ‘non valida per l’espatrio’. Se tale dicitura è assente, il documento è considerato valido per l’espatrio e si applica la norma più severa.
Chi deve dimostrare se una carta d’identità falsa era valida o meno per l’espatrio?
L’onere di dimostrare che il documento non era valido per l’espatrio (ad esempio, provando la presenza della relativa clausola) spetta all’imputato. È una sua responsabilità fornire la prova a sostegno di questa tesi.
Perché la richiesta di concessione delle attenuanti generiche è stata respinta?
La richiesta è stata respinta perché ritenuta ‘generica’. L’imputato non ha indicato elementi concreti e specifici a suo favore che sarebbero stati trascurati dal giudice di merito nella sua valutazione. Una lamentela generica, senza argomentazioni dettagliate, non è sufficiente per ottenere una revisione della decisione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12869 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12869 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/10/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Genova del 10 ottobre 2023 ha confermato la pronunzia di condanna del Tribunale di Massa in ordine al reato di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi, ex art 497 bis cod. pen.
Ritenuto che il primo ed il secondo motivo qui riuniti – con cui il ricorrente lamenta vizio di motivazione e violazione di legge in punto di configurabilità del reato ex art 497 bis cod. pen. e la mancata derubricazione nel reato di falsità materiale in certificazioni o autorizzazioni amministrative (artt.477 e 482 cod. pen.) – sono manifestamente infondati atteso che:
-la motivazione della sentenza impugnata si presenta immune da vizi logici (pag. 2: il documento contestato non contiene la clausola di non validità ed è per sua tipologia tale da considerarsi titolo legittimante l’espatrio. La circostanza che tale documento non avrebbe potuto essere rilasciato all’imputato risulta irrilevante, tanto più che nonostante la supposta inutilità, l’imputato se lo è procurato: infatti, la norma sanziona la detenzione della carta di identità falsa, non il suo concreto uso);
– secondo la giurisprudenza di questa Corte il possesso di una carta d’identità contraffatta integra il delitto previsto dall’art. 497-bis cod. pen. solo ove documento contenga la clausola di validità per l’espatrio, gravando sull’imputato che ne contesti l’esistenza il relativo onere di allegazione probatoria. (Sez. 5, n. 25218 del 13/07/2020, Rv. 279473).
Ritenuto che il terzo motivo – con cui il ricorrente denunzia vizio di motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche – è generico non essendo stati indicati elementi in concreto favorevoli alla concessione che siano stati omessi nella valutazione dalla sentenza impugnata.
Rilevato pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q. M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/03/2024