Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46323 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46323 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PAVIA nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 14/09/1979
avverso l’ordinanza del 24/07/2024 del GIP TRIBUNALE di PAVIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato la non esecutività dell’ordine di carcerazione SIEP 185/2024 emesso dal Procuratore della Repubblica di Pavia nei confronti di NOMECOGNOME e ne ha sospeso l’esecuzione, disponendo l’immediata scarcerazione del condannato.
Il G.E. ha ritenuto già espiata la pena inflitta con la sentenza in esecuzione (sentenza GUP Pavia del 13/02/2024, irr. il 02/03/2024) per l’unico reato ostativo, di cui all’art. 628 c. 1 e 3 n. 1 cod. pen.; nel calcolo della pena applicata con la citata sentenza, il GUP di Pavia, nel determinare la pena base per reato non ostativo, aveva omesso di specificare i singoli aumenti per la continuazione in relazione ai quattro reati satellite, tra cui quello di cui all’art. 628, comma 1, e 3 cod. pen., indicando solo l’aumento totale pari ad anni 1 di reclusione; il G.E., al fine di quantificare la pena concretamente inflitta per il reato ostativo, ha ritenuto di applicare il criterio dell’accrescimento di pari tenore per ciascun reati satellite, pari a mesi tre di reclusione, ridotto per il rito a mesi due di reclusione; ha quindi osservato che, al momento in cui era stato emesso l’ordine di carcerazione da parte del P.M. (il 18/04/2024), il presofferto già espiato da NOME era pari a mesi undici e giorni ventisei di reclusione, e quindi la quota parte di pena inflitta per reato ostativo dovesse ritenersi già espiata: conseguentemente l’ordine di carcerazione doveva essere emesso in forma sospesa.
Avverso detto provvedimento ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pavia denunciando violazione di legge con riferimento all’art. 656 cod. proc. pen..
Il Procuratore ricorrente osserva in particolare come la presenza di un reato ostativo tra quelli oggetto della condanna in esecuzione precluda al P.M. la sospensione dell’ordine di carcerazione, a prescindere da valutazioni circa l’espiazione della porzione di pena ad esso relativa, di competenza della sola magistratura di sorveglianza ai fini della concessione di benefici penitenziari. Nel caso di specie, peraltro, il Magistrato di sorveglianza aveva già rigettato la domanda di accesso all’affidamento in prova provvisorio e dichiarato inammissibile quella di detenzione domiciliare provvisoria.
Sotto altro profilo, censura il ricorrente la decisione del G.E. che, a fronte di un errore da parte del Giudice della cognizione (che ha omesso di specificare i singoli aumenti per la continuazione), ha a sua volta errato nel ritenere già espiata la pena per il reato ostativo, suddividendo l’aumento unico per continuazione in parti uguali.
Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Con successiva memoria, la difesa del condannato ha versato in atti il provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Milano del 23/10/2024, depositato il 28/10/2024, di ammissione del NOME all’affidamento in prova al servizio sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’esame del ricorso nel merito è precluso dal rilievo preliminare assorbente della sopraggiunta carenza di interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione, che ne determina l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc pen.
Va in proposito rilevato che, secondo consolidati e condivisi principi, nel sistema processuale penale, la nozione d’interesse a impugnare, richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. quale condizione dell’impugnazione e requisito soggettivo del relativo diritto, non è basata sul concetto di soccombenza, posto a base delle impugnazioni civili, che presuppongono un processo di tipo contenzioso e, quindi, una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti. Essa deve essere, invece, individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di una utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011’dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693). Il requisito dell’interesse deve, in particolare, configurarsi in maniera immediata, concreta e attuale, e sussistere oltre che al momento della proposizione del gravame anche in quello della sua decisione, perché questa possa potenzialmente avere una effettiva incidenza di vantaggio sulla situazione giuridica devoluta alla verifica del giudice della impugnazione (Sez. U, n. 10272 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202269; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203093; Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, COGNOME, Rv. 206169; Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, COGNOME, Rv. 208165). A tale riguardo si è presa in specifica considerazione la categoria della “carenza d’interesse sopraggiunta”, individuandosi il suo fondamento giustificativo nella valutazione negativa della persistenza, al momento della decisione, di un interesse all’impugnazione, la cui attualità sia venuta
meno a causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore, assorbendo la finalità perseguita dall’impugnante, o perché la stessa ha già trovato concreta attuazione, ovvero in quanto ha perso ogni rilevanza per il superamento del punto controverso (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, citata, Rv. 251694).
Tale principio opera anche nel caso in cui l’impugnazione sia proposta dal pubblico ministero, il quale non può far valere una mera pretesa teorica preordinata all’astratta osservanza della legge e alla correttezza giuridica della decisione, ma deve comunque dedurre un concreto pregiudizio, suscettibile di essere eliminato dalla riforma o dall’annullamento della decisione impugnata (vedi Sez. 3, n. 30547 del 06/03/2019, Rv. 276274).
Alla luce di detti consolidati e condivisi principi non sussiste, nel caso in esame, l’interesse al ricorso, poiché l’avvenuta ammissione del NOME all’affidamento in prova al servizio sociale, come da provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Milano in data 23/10/2024, in relazione al medesimo titolo esecutivo n. 185/2024 SIEP emesso dal P.M. di Pavia, implica la non possibile riviviscenza, in caso di accoglimento del ricorso, GLYPH dell’ordine di carcerazione, dichiarato non esecutivo GLYPH dal Giudice pavese, il che esclude che possa ritenersi sussistente un interesse a coltivare l’impugnazione da parte dell’impugnante Procuratore della Repubblica.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 591, comma 1 lett. a), cod. proc. pen.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse.
Così deciso il 13/11/2024