Ricorso inammissibile per carenza di interesse: quando non si pagano le spese
Nel complesso mondo del diritto processuale, l’esito di un ricorso può dipendere da eventi che si verificano anche dopo la sua presentazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 10126/2024, chiarisce un punto fondamentale riguardante la carenza di interesse sopravvenuta, stabilendo che in tali circostanze il ricorrente non deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. Analizziamo questa importante decisione.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dal ricorso presentato da un soggetto avverso un’ordinanza del Tribunale di Roma. Quest’ultima aveva sostituito una misura cautelare degli arresti domiciliari con una misura interdittiva, specificamente la sospensione da un pubblico ufficio per un periodo di sei mesi. L’imputato, ritenendo ingiusto il provvedimento, aveva proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni di legittimità.
Tuttavia, durante il periodo di pendenza del ricorso dinanzi alla Suprema Corte, è intervenuto un fatto nuovo e decisivo: la misura interdittiva oggetto dell’impugnazione è stata revocata. A seguito di ciò, il difensore del ricorrente ha trasmesso una dichiarazione di rinuncia al ricorso, motivata proprio dalla venuta meno di qualsiasi interesse a ottenere una decisione nel merito.
La Decisione della Corte: la Carenza di Interesse Sopravvenuta
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, prendendo atto della situazione, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione non risiede in un difetto originario dell’atto di impugnazione, ma nella cosiddetta carenza di interesse sopravvenuta. In altre parole, l’obiettivo che il ricorrente si prefiggeva – la rimozione della misura interdittiva – era già stato raggiunto per altre vie, rendendo di fatto inutile una pronuncia della Corte sul punto.
Le Motivazioni
Il cuore della sentenza risiede nella parte motiva relativa alle conseguenze di tale inammissibilità. Di norma, una dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria. Tuttavia, la Corte ha specificato che questa regola non si applica al caso di specie.
Il ragionamento, supportato da consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite (sent. Chiappetta, 1997), si basa su una distinzione cruciale: la carenza di interesse è sopraggiunta dopo la proposizione del ricorso. Questo significa che, al momento della sua presentazione, il ricorso poteva essere pienamente legittimo e fondato. Il venir meno dell’interesse non è quindi imputabile a una negligenza o a un errore del ricorrente, ma a un evento esterno e successivo.
In questa situazione, secondo la Corte, non si configura un’ipotesi di ‘soccombenza’, neppure ‘virtuale’. La soccombenza implica una ‘sconfitta’ nel merito del giudizio, ma qui il merito non è stato neppure esaminato, proprio perché divenuto irrilevante. Di conseguenza, far gravare le spese sul ricorrente sarebbe ingiusto e contrario ai principi del giusto processo.
Conclusioni
La sentenza n. 10126/2024 rafforza un principio di equità processuale di grande importanza pratica. Stabilisce che un cittadino non deve essere penalizzato economicamente se, per eventi non dipendenti dalla sua volontà, il suo legittimo ricorso perde di scopo durante il giudizio. Questa decisione offre una tutela fondamentale, evitando che il timore di una condanna alle spese possa scoraggiare la rinuncia a un ricorso ormai divenuto superfluo, contribuendo così all’efficienza del sistema giudiziario e alla tutela dei diritti delle parti.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione diventa inutile perché il provvedimento impugnato viene revocato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per ‘sopravvenuta carenza di interesse’, poiché il ricorrente non ha più alcun beneficio concreto da ottenere da una decisione della Corte.
Se un ricorso è dichiarato inammissibile per carenza di interesse sopravvenuta, il ricorrente deve pagare le spese processuali?
No. Secondo la Corte di Cassazione, questa specifica situazione non comporta la condanna al pagamento delle spese processuali né di sanzioni pecuniarie, perché non si configura una soccombenza (una ‘sconfitta’ nel giudizio).
Perché in questo caso non si applica la condanna alle spese?
Perché il venir meno dell’interesse a ricorrere si è verificato dopo la presentazione del ricorso e per cause non imputabili al ricorrente. Mancando una soccombenza, anche solo ‘virtuale’, non c’è il presupposto legale per la condanna alle spese.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10126 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10126 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 25/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Napoli il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza emessa il 31 luglio 2023 dal Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; letta la dichiarazione di rinuncia al ricorso trasmessa dal difensore, AVV_NOTAIO.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma che ha annullato il provvedimento di applicazione della misura degli arresti
domiciliari in relazione al capo 4 dell’imputazione provvisoria e sostituito detta misura in relazione al capo 5 con quella interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio per il periodo di sei mesi.
Ha dedotto due motivi di ricorso di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
1.1. Violazione degli artt. 192 e 273 cod. proc. pen. nonché degli artt. 110 e 319 cod. pen.;
1.2 Violazione degli art. 274 e 516 cod. proc. pen. in relazione all’art. 24 Cost.
Nelle more del ricorso il ricorrente ha dichiarato di rinunciare all’impugnazione per carenza di interesse a seguito della intervenuta revoca della misura interdittiva.
In considerazione della sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
All’inammissibilità del ricorso non segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento processuali né al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, in quanto il venir meno dell’interesse, sopraggiunto alla proposizione del ricorso, non configura un’ipotesi di soccombenza, neppure virtuale (Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208166; Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017, dep. 2018, Rezvumes, Rv. 272308).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Così deciso il 25 gennaio 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Pre idente