Carenza di Interesse: Quando l’Espiazione della Pena Annulla il Ricorso
Nel diritto processuale penale, uno dei pilastri fondamentali per poter agire in giudizio è l’esistenza di un interesse concreto. L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di come la carenza di interesse possa portare alla dichiarazione di inammissibilità di un ricorso. Questo avviene quando, nel corso del procedimento, la situazione di fatto si evolve a tal punto da rendere inutile una decisione nel merito. Analizziamo come l’avvenuta espiazione della pena abbia determinato l’esito di questa vicenda.
Il Caso in Analisi: Un Ricorso Presentato a Pena Già Scontata
Un soggetto condannato aveva presentato ricorso alla Corte di Cassazione avverso un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze. L’oggetto del contendere riguardava, presumibilmente, il riconoscimento di un beneficio penitenziario o una detrazione di pena. Tuttavia, un fatto cruciale è intervenuto durante l’iter processuale: il ricorrente ha terminato di scontare la sua pena. Questo evento ha radicalmente cambiato le carte in tavola, portando la Suprema Corte a interrogarsi sulla persistenza di un interesse a proseguire il giudizio.
La Carenza di Interesse nell’Esecuzione Penale
La Corte ha stabilito che le censure sollevate dal ricorrente non potevano superare il vaglio preliminare di ammissibilità. Il motivo è semplice e logico: con l’avvenuta espiazione della pena, è venuta meno la carenza di interesse, che deve essere attuale e concreto. In altre parole, il ricorrente non avrebbe più potuto ottenere alcun vantaggio pratico da un’eventuale pronuncia favorevole. La questione per cui aveva agito era, nei fatti, superata.
L’interessato sosteneva di avere ancora un interesse, mirando a una detrazione da applicare a una pena inflitta per un reato commesso in precedenza. La Corte ha respinto questa argomentazione, sottolineando che non era stato nemmeno specificato il titolo del reato per cui tale detrazione avrebbe dovuto operare.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La decisione della Suprema Corte si fonda su un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. I giudici hanno ribadito che “non sussiste l’interesse del condannato a proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento di diniego del riconoscimento della liberazione anticipata allorché, in corso di procedimento, il medesimo sia stato scarcerato per intervenuta espiazione della pena”.
La Corte ha specificato che l’eventuale “credito di pena” derivante da una decisione favorevole non può essere utilizzato come giustificazione per mantenere vivo il ricorso. Questo perché, ai sensi dell’art. 657, comma 4, del codice di procedura penale, la fungibilità in sede esecutiva non è applicabile per reati non ancora commessi o, per estensione, per pene diverse e non chiaramente identificate. L’interesse a creare una sorta di “riserva” di pena da scontare in meno non è considerato un interesse idoneo, attuale e concreto a fondare l’ammissibilità del ricorso.
Infine, data l’evidente inammissibilità e la colpa del ricorrente nell’aver proseguito un’azione legale priva di presupposti, la Corte lo ha condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 c.p.p.
Conclusioni: L’Importanza del Momento Processuale
Questa ordinanza sottolinea un principio cardine del nostro ordinamento: non si può abusare dello strumento processuale per questioni astratte o future. L’interesse ad agire deve essere valutato non solo al momento della proposizione del ricorso, ma deve persistere per tutta la durata del giudizio. L’espiazione della pena è un evento che estingue la materia del contendere in molti casi legati all’esecuzione penale, determinando una inevitabile carenza di interesse e la conseguente inammissibilità dell’impugnazione. La decisione serve da monito sull’importanza di valutare attentamente i presupposti processuali prima di adire le vie legali, per evitare non solo una sconfitta giuridica ma anche significative conseguenze economiche.
Perché un ricorso può essere dichiarato inammissibile se la pena è già stata scontata?
Perché viene a mancare l’interesse attuale e concreto a una pronuncia sul ricorso. Se la pena è terminata, il ricorrente non otterrebbe alcun beneficio pratico da una decisione a suo favore, rendendo il procedimento inutile.
È possibile utilizzare un “credito di pena” (come una riduzione per liberazione anticipata) per un’altra pena da scontare?
No, l’ordinanza chiarisce, citando la giurisprudenza, che l’interesse a ottenere un “credito di pena” da utilizzare per altre sentenze non è sufficiente a fondare l’ammissibilità del ricorso. La fungibilità della pena non è applicabile in questi termini, specialmente se la pena di destinazione non è chiaramente specificata.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso per colpa del ricorrente?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver avviato un procedimento giudiziario privo dei necessari presupposti legali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27013 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27013 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Ritenuto che le censure articolate da NOME COGNOME nell’unico motivo non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché, come già evidenziato dal Tribunale di sorveglianza, con l’avvenuta espiazione della pena è sopravvenuta la carenza di interesse, attuale e concreto, ad una pronuncia sul ricorso.
Non può dirsi attuale e concreto l’interesse ad una eventuale detrazione da una pena irrogata per un reato commesso in precedenza, di cui non viene specificamente e concretamente indicato il titolo da eseguire.
rilevato che in tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità, affermando che “non sussiste l’interesse del condannato a proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento di diniego del riconoscimento della liberazione anticipata allorché, in corso di procedimento, il medesimo sia stato scarcerato per intervenuta espiazione della pena. È inidoneo a fondare detto interesse il credito di pena derivante dalla positiva delibazione della richiesta di riduzione, atteso che, ai sensi dell’art. 657, comma 4, cod. proc. peri., la fungibilità in sede esecutiva non è applicabile per un reato non ancora commesso (Sez. 1, n. 50481 del 09/10/2019, Rv. 277825; v., anche, Sez. 1, n. 46887 del 22/10/2009, Rv. 245677).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 6 giugno 2024
Il Consigliere estensore
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