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Carenza di interesse: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare. La decisione si basa sulla sopravvenuta carenza di interesse dell’imputato, il quale, dopo aver presentato ricorso, ha ottenuto una misura meno afflittiva e ha successivamente rinunciato all’impugnazione. La Corte ha stabilito che, poiché l’inammissibilità deriva da una causa non imputabile al ricorrente, non vi è luogo a condanna alle spese processuali.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Carenza di Interesse: Quando un Ricorso in Cassazione Diventa Inammissibile

Nel complesso mondo della procedura penale, l’esito di un ricorso non dipende solo dalla fondatezza dei motivi, ma anche da eventi che possono verificarsi dopo la sua presentazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 5910 del 2024, illumina un principio fondamentale: la carenza di interesse sopravvenuta, che può portare alla dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione, con importanti conseguenze sulle spese processuali.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari (G.i.p.) del Tribunale di Arezzo nei confronti di un individuo accusato di reati gravi, tra cui associazione per delinquere finalizzata a frodi fiscali e autoriciclaggio. L’indagato, tramite il suo difensore, aveva impugnato tale provvedimento davanti al Tribunale del riesame di Firenze, che aveva però rigettato l’istanza.

Successivamente, l’indagato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando vizi di legge e di motivazione sia riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sia sulla valutazione delle esigenze cautelari. Tuttavia, mentre il ricorso era pendente, si è verificato un evento decisivo: il G.i.p. di Arezzo, con un nuovo provvedimento, ha sostituito la misura degli arresti domiciliari (già concessa in un secondo momento) con una misura non coercitiva, ovvero il divieto di esercizio di impresa e di uffici direttivi. A fronte di questo netto miglioramento della sua posizione, l’indagato ha formalmente rinunciato al ricorso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, prendendo atto della rinuncia, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda sull’articolo 591 del codice di procedura penale, che prevede l’inammissibilità dell’impugnazione quando l’interessato non vi ha più interesse.

Le Motivazioni: la Sopravvenuta Carenza di Interesse

Il cuore della sentenza risiede nella spiegazione della carenza di interesse. La Corte osserva che la rinuncia all’impugnazione è la prova più evidente del fatto che il ricorrente non ha più alcun vantaggio pratico da una possibile decisione a suo favore. L’obiettivo originario del ricorso era ottenere la revoca o la sostituzione della misura cautelare detentiva. Avendo ottenuto una misura molto meno afflittiva (un semplice divieto), lo scopo del ricorso è venuto meno.

L’aspetto più significativo della motivazione riguarda però le conseguenze economiche di tale inammissibilità. Di norma, l’articolo 616 del codice di procedura penale prevede che la parte che ha proposto un ricorso dichiarato inammissibile venga condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria. Tuttavia, la Corte, citando consolidata giurisprudenza, chiarisce che tale condanna non si applica quando l’inammissibilità è determinata da una causa non imputabile al ricorrente. In questo caso, la carenza di interesse è sorta a seguito di un provvedimento favorevole del giudice, un evento esterno e non attribuibile a una negligenza o a un errore del ricorrente. Di conseguenza, nessuna condanna alle spese è stata pronunciata.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di equità processuale fondamentale. Un ricorso in giustizia è uno strumento per ottenere un risultato utile e concreto. Se, durante il procedimento, tale utilità viene a mancare per un fatto favorevole all’interessato, come un provvedimento migliorativo, non è giusto penalizzarlo economicamente per aver rinunciato a un’azione legale ormai superflua. La decisione offre una chiara indicazione pratica: la rinuncia a un’impugnazione a seguito di una sopravvenuta carenza di interesse non colpevole non comporta la condanna alle spese, garantendo così che le dinamiche processuali non si traducano in un onere ingiustificato per il cittadino.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, attestata dalla formale rinuncia all’impugnazione da parte del ricorrente.

Cosa si intende per “sopravvenuta carenza di interesse” in questo caso specifico?
Significa che l’interesse del ricorrente a ottenere una decisione sul ricorso è venuto meno dopo che la misura cautelare originaria (prima carcere, poi arresti domiciliari) è stata sostituita con una molto più favorevole e non detentiva (divieto di esercizio di impresa), rendendo di fatto inutile la prosecuzione dell’impugnazione.

Per quale motivo il ricorrente non è stato condannato al pagamento delle spese processuali?
Non è stato condannato alle spese perché la causa dell’inammissibilità (la carenza d’interesse) non era a lui imputabile, ma derivava da un evento favorevole, ovvero un nuovo provvedimento del giudice. La giurisprudenza esclude la condanna alle spese in queste circostanze.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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