Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 31123 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 31123 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Cagliari il 03/06/1988
avverso l’ordinanza del 29/04/2025 del Tribunale di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29/04/2025, il Tribunale di Brescia, pronunciandosi sull’appello che era stato proposto da NOME COGNOME ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza del 04/04/2025 con la quale il G.i.p. del Tribunale di Brescia aveva rigettato la richiesta dello stesso COGNOME di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere – che gli era stata applicata con ordinanza del 19/12/2024 dello stesso G.i.p. del Tribunale di Brescia per essere egli gravemente indiziato di due rapine aggravate in concorso e per il pericolo che commettesse delitti della stessa specie – con la misura degli arresti domiciliari.
Avverso tale ordinanza del 29/04/2025 del Tribunale di Brescia, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta: a) in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la «mancata individuazione degli elementi di novità rappresentati: 1) dalla dichiarazione di disponibilità, da parte dei genitori dell’COGNOME, ad accogliere il predetto figlio in regime di arresti domiciliari presso propria abitazione; 2) dalle modalità e dal luogo di esecuzione degli arresti: in un’abitazione ubicata in un paesino della Sardegna, Villamassargia (SU), in località oggettivamente distantissima dal /ocus commissi delicti (Brescia), che è il medesimo in cui dimora il resto sodalizio criminale, e con l’ausilio del braccialetto elettronico», con «conseguente difetto di motivazione L.] consistito nella mancata indicazione delle ragioni per le quali gli arresti domiciliari (eventualmente anche con l’ausilio del braccialetto elettronico), non fossero – oltre che elementi di novità – idonei a salvaguardare la contestata esigenza cautelare del pericolo di recidiva»; b) la violazione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Dopo avere trascritto sia l’ordinanza del 04/04/2025 con la quale il G.i.p. del Tribunale di Brescia aveva rigettato la sua richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, sia un ampio stralcio dell’ordinanza impugnata, l’COGNOME contesta anzitutto l’affermazione del Tribunale di Brescia secondo cui la sostituzione della misura cautelare in essere «presuppone, pur sempre, l’attenuazione delle esigenze special-preventive» (pag. 3, secondo capoverso, dell’ordinanza impugnata), atteso che sarebbero «numerosi, nella realtà giudiziaria quotidiana, i casi a dimostrazione dell’insussistenza di una necessaria correlazione tra concessione di un misura più o meno afflittiva e l’aggravamento/affievolimento dell’esigenza cautelare».
Ciò premesso, il ricorrente deduce che al Tribunale di Brescia (come già al G.i.p. dello stesso Tribunale che si era pronunciato sulla richiesta di sostituzione della misura) sarebbero «sfuggiti due elementi di novità», ulteriori rispetto al decorso tempo di applicazione della misura, costituiti: 1) dalla disponibilità dei genitori a ospitarlo agli arresti domiciliari presso la loro abitazione, possibilità ch sarebbe stata «inesistente in occasione dell’applicazione della misura in atto e quindi nuova»; 2) «dalle modalità e dal luogo di esecuzione degli arresti: in un’abitazione ubicata in un paesino della Sardegna, Villamassargia (SU), in località oggettivamente distantissima dal /ocus commissi delicti (Brescia), che è, oltretutto, lo stesso in cui dimora il resto sodalizio criminale, e con l’ausilio del braccialetto elettronico».
Dopo avere evidenziato che l’ordinanza “genetica” aveva argomentato che la custodia cautelare in carcere si doveva ritenere «l’unica cautela allo stato idonea a recidere i legami criminali esistenti tra gli indagati», l’Ansaldi argomenta che, «a maggior ragione, gli arresti domiciliari (eventualmente anche con l’ausilio del
braccialetto elettronico), da eseguirsi, in convivenza coi genitori, a Villarnassargia (PU), paesino della Sardegna di soli 3.285 abitanti, che dista 53,4 km dal capoluogo di Cagliari – geograficamente ed oggettivamente distantissimo dal /ocus commissi delicti (Brescia), che è il medesimo in cui dimora il restante sodalizio criminale – devono oggettivamente considerarsi non solo elementi di novità – in aggiunta alla dichiarazione di ospitalità dei genitori dell’istante, al mezzo di controllo del braccialetto elettronico e al decorso del tempo – ma, in più, modalità idonea a mantenere intatta la prefissata recisione del legame criminale sussistente tra gli indagati posta dal G.I.P. a sostegno della misura custodiate più afflittiva».
La mancata considerazione degli indicati elementi di asserita novità, in aggiunta a quello del «decorso del tempo», integrerebbe un «difetto di motivazione» dell’ordinanza impugnata in punto di idoneità o no degli invocati arresti domiciliari a soddisfare l’esigenza cautelare, posta a base dell’ordinanza “genetica”, di «recidere i legami criminali esistenti tra gli indagati».
Il ricorrente richiama infine il disposto del comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., in base al quale la custodia cautelare in carcere potrebbe essere disposta solo quando le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte da nessuna meno afflittiva forma di limitazione della libertà personale.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente formula: «Osservazioni sul decorso del tempo e sulla violazione dei principi di attualità e concretezza, sanciti dall’art 274 comma 1 lett. c) c.p.p.».
Dopo avere dato atto della mancata presentazione di una richiesta di riesame contro l’ordinanza “genetica”, l’Ansaldi rappresenta che sarebbe comunque pacifico che egli, nel periodo di circa sei mesi compreso tra i giorni 10-11/07/2024 in cui sarebbero state commesse le due rapine e il giorno 09/01/2025 in cui fu eseguita la misura della custodia cautelare in carcere, non si era «reso artefice di ulteriori episodi di rapina (o reati in generale), ed abbia per l’effetto dimostrat che il pericolo di recidiva – alla data del 09 gennaio 2025 – non fosse né più attuale né concreto».
Ciò renderebbe «ipotizzabile» che, se fosse stata presentata richiesta di riesame, egli «avrebbe avuto buone possibilità di essere scarcerato alla luce del fatto che se non era attuale e concreto il pericolo di recidiva immediatamente dopo la commissione delle contestate rapine (dall’Il luglio 2024 in poi) – tanto che il P.M. non chiese l’applicazione di alcuna misura cautelare personale – a maggior ragione non poteva essere attuale e concreto a distanza di 6 mesi. In estrema sintesi, il pericolo di recidiva che ha dato origine alla custodia cautelare in atto, è manifestato, improvviso, imperterrito ed ingiustificato, per la prima volta, il 09.01.2025, nonostante i fatti in contestazione risalissero al 10 el’ll luglio 2024».
Ciò detto, si lamenta che il Tribunale di Brescia, «rifugiandosi dietro lo scudo del giudicato cautelare», avrebbe «esclusivamente valutato il solo comportamento tenuto dall’COGNOME dopo l’applicazione della custodia cautelare in carcere e non anche i pregressi 6 mesi in cui l’istante, in stato di assoluta libertà, non rendendosi autore di ulteriori crimini, ha dato prova di assoluto autocontrollo, ergo dell’assenza del pericolo di recidiva».
Secondo il ricorrente, tale fatto costituirebbe «un dato oggettivo che deve essere sempre computato, unitamente al tempo trascorso in custodia cautelare in carcere, a prescindere dalla formazione del giudicato cautelare sulle argomentazioni sottese all’ordinanza genetica». Un dato che «i Giudici della cautela – in sede di valutazione del rapporto decorso del tempo/comportamento dell’indagato – avrebbero dovuto tenere in debito conto – a prescindere dalla sussistenza di un giudicato cautelare sulle argomentazioni poste a sostegno dell’ordinanza genetica» e che costituirebbe l’«effettiva riprova della insussistenza dell’attualità e concretezza del pericolo di recidiva – ex art. 274 comma 1 lett. C c.p.p. – posto a fondamento della misura in atto».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) del Ministero della giustizia ha infatti comunicato che, dal 25/06/2025, il ricorrente NOME COGNOME è stato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari in Villamassarda (SU), ciò che costituiva l’oggetto della sua originaria richiesta al G.i.p. del Tribunale di Brescia.
Da ciò l’inammissibilità del ricorso.
Deve infatti essere considerato inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell’appello cautelare contro l’ordinanza di rigetto della richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari allorquando il soggetto sia stato – come nella specie, secondo quanto risulta dalla menzionata comunicazione del DAP – scarcerato per il reato cui la suddetta richiesta si riferisce e sottoposto agli arresti domiciliari, come era stato da lui richiesto.
Poiché il venir meno dell’interesse alla decisione del ricorso per cassazione è sopraggiunto alla sua proposizione, alla declaratoria di inammissibilità non devono seguire né la condanna al pagamento delle spese processuali né la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende, non essendo configurabile un’ipotesi di soccombenza (Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, COGNOME, Rv. 206168-01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Così deciso il 09/07/2025.