Carenza di Interesse nel Ricorso: Quando un Appello Perde di Significato
Nel complesso mondo della procedura penale, l’esito di un ricorso può dipendere da eventi che accadono al di fuori dell’aula di tribunale. La carenza di interesse nel ricorso è uno di questi eventi: una circostanza che può svuotare di significato un’impugnazione, portando a una sua dichiarazione di inammissibilità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come questo principio opera in relazione alle misure cautelari.
I Fatti del Caso: Dalla Misura Cautelare all’Assoluzione
Il caso ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Napoli che, accogliendo l’appello del pubblico ministero, aveva disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari per una persona indagata per detenzione di stupefacenti. Questa decisione ribaltava una precedente pronuncia del Giudice per le indagini preliminari, che aveva invece rigettato la richiesta di misura cautelare.
Contro l’ordinanza che imponeva gli arresti domiciliari, la difesa dell’indagata ha proposto ricorso per cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazioni di legge. Tuttavia, mentre il ricorso era pendente, si è verificato un fatto decisivo: nel processo di primo grado, l’imputata è stata assolta. A seguito dell’assoluzione, la misura cautelare è stata revocata. La stessa difesa ha quindi comunicato alla Corte di Cassazione la cessazione della misura, prospettando la sopravvenuta carenza di interesse a proseguire con il ricorso.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile proprio per “sopravvenuta carenza di interesse”. Ha stabilito che, venendo meno la misura cautelare, è venuto meno anche l’interesse concreto e attuale della ricorrente a ottenere una pronuncia sulla legittimità dell’ordinanza che l’aveva disposta.
Inoltre, la Corte ha specificato che, data la natura di questa inammissibilità, la ricorrente non doveva essere condannata al pagamento delle spese processuali né di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
Le Motivazioni: La Sopravvenuta Carenza di Interesse nel Ricorso
La Corte ha basato la sua decisione su un principio consolidato nella giurisprudenza. Un’impugnazione, come un ricorso o un appello, presuppone l’esistenza di un interesse concreto e attuale della parte a ottenere una modifica della decisione contestata. Nel caso di una misura cautelare, questo interesse risiede nella necessità di rimuovere una limitazione alla libertà personale.
Quando la misura cautelare cessa di esistere – in questo caso, a seguito di una sentenza di assoluzione – l’ordinanza che l’aveva imposta perde la sua efficacia. Di conseguenza, un’eventuale pronuncia della Cassazione che annullasse quell’ordinanza non avrebbe alcun effetto pratico sulla libertà della persona. L’interesse ad agire, quindi, svanisce.
La Corte ha precisato che esiste un’eccezione: l’interesse potrebbe persistere se l’imputato manifestasse esplicitamente l’intenzione di volersi avvalere della decisione della Cassazione per una futura richiesta di riparazione per ingiusta detenzione. In tal caso, l’ottenimento di una pronuncia favorevole, anche se tardiva, avrebbe ancora un’utilità concreta. Nel caso di specie, però, la difesa non solo non ha manifestato tale interesse, ma ha espressamente evidenziato la cessazione di ogni interesse al ricorso.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche e Principio di non Soccombenza
La conclusione principale di questa sentenza è che gli eventi del processo di merito possono avere un impatto diretto e risolutivo sui procedimenti incidentali, come quelli relativi alle misure cautelari. L’assoluzione dell’imputato rende di fatto obsoleto il dibattito sulla legittimità della misura cautelare precedentemente applicata.
Un’altra importante implicazione pratica riguarda le spese legali. La legge prevede che la parte il cui ricorso è dichiarato inammissibile venga condannata al pagamento delle spese. Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che questa regola non si applica quando l’inammissibilità deriva da una carenza di interesse nel ricorso sopravvenuta dopo la sua proposizione. In questi casi, non si configura una vera e propria “soccombenza”, neppure virtuale, perché l’improcedibilità non dipende da un errore iniziale del ricorrente, ma da un evento successivo che ha reso la decisione superflua. Questo principio protegge il cittadino da conseguenze economiche negative per situazioni che non dipendono dalla sua volontà o da un suo errore processuale.
Cosa significa “sopravvenuta carenza di interesse” in un ricorso contro una misura cautelare?
Significa che il motivo per cui è stato presentato il ricorso è venuto a mancare dopo la sua proposizione, perché la misura cautelare stessa non è più in vigore (ad esempio, a causa di un’assoluzione). Di conseguenza, l’appellante non ha più un interesse pratico e attuale a ottenere una decisione sulla legittimità di quella misura.
Un ricorso contro una misura cautelare può proseguire anche se la misura è stata revocata?
Sì, ma solo a una condizione specifica: l’interessato deve manifestare espressamente e motivare il suo interesse a ottenere comunque una pronuncia, solitamente al fine di poter richiedere in futuro una riparazione per ingiusta detenzione. In assenza di tale manifestazione, il ricorso viene dichiarato inammissibile.
Se un ricorso viene dichiarato inammissibile per carenza di interesse, il ricorrente deve pagare le spese processuali?
No. Secondo il principio affermato dalla Corte, questa specifica causa di inammissibilità non equivale a una “sconfitta” legale (soccombenza). Poiché l’improcedibilità è dovuta a un evento esterno e successivo, e non a un errore del ricorrente, non è prevista la condanna al pagamento delle spese del procedimento né di una sanzione pecuniaria.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11998 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11998 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nata a Caivano il DATA_NASCITA; avverso l’ordinanza del 29/09/2023 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 settembre 2023, il Tribunale di Napoli ha accolto l’appello del pubblico ministero avverso l’ordinanza del 25 luglio 2023, con la quale – per quanto qui rileva – il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord aveva rigettato la richiesta di misura cautelare in relazione al reato di detenzione di stupefacenti. Il Tribunale ha applicato all’indagata la misura cautelare degli arresti domiciliari.
Avverso l’ordinanza, l’indagata ha proposto, per il tramite del difensore di fiducia, ricorso per cassazione, con due motivi di doglianza, chiedendone l’annullamento, sul rilievo del vizio motivazionale, nonché della violazione delle disposizioni incriminatrici e dell’art. 274 cod. proc. pen., in riferimento ai gra indizi di colpevolezza e al pericolo di recidiva.
Con memoria successiva, la difesa ha prospettato la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso, essendo venuta meno la misura cautelare originariamente disposta, a seguito di assoluzione dell’imputata in primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Invero, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità è inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, la richiesta di riesame proposta dal prevenuto avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale qualora l’ordinanza cautelare genetica sia stata, nelle more, annullata, in quanto l’impugnazione presuppone la perdurante efficacia dell’ordinanza originaria, salvo che egli, personalmente, non abbia manifestato, e debitamente motivato, che intende servirsi dell’eventuale pronuncia favorevole ai fini della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione (così, per tutte, Sez. 6 n. 49861 del 02/10/2018, Rv. 274311).
Tale principio trova applicazione nel caso di specie, in cui la difesa ha espressamente prospettato la carenza di interesse, in conseguenza della cessazione della misura cautelare.
Deve poi escludersi la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento o di una somma a favore della cassa delle ammende. E ciò, in forza del principio per cui, alla dichiarazione di inammissibilità del ricor per cassazione per il venir meno dell’interesse alla decisione sopraggiunto alla sua proposizione, non consegue la condanna del ricorrente né alle spese del procedimento, né al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, in quanto non si configura una ipotesi di soccombenza della parte, neppure virtuale (così Sez. U, n. 31524 del 14/07/2004, Rv. 228168; Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Rv. 208166; Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017, dep. 2018, Rv. 272308).
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 15/12/2023