Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33837 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33837 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Palestrina il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma del 14.12.2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 9.1.2024, il Tribunale di Roma, sezione riesame, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di COGNOME NOME avverso il provvedimento con cui la Corte d’Appello di Assise di Roma in data 14.11.2023 aveva rigettato una richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, unitamente all’autorizzazione a svolgere attività lavorativa, o, in subordine, con quella degli arresti domiciliari.
Il Tribunale, quanto al rilievo difensivo circa la disparità di trattamento di COGNOME con altro coimputato condannato a pena maggiore in primo grado e ristretto ab initio agli arresti domiciliari, ha condiviso l’argomentazione della Corte d’Assise d’Appello secondo cui la scelta del g.i.p. di diversificare il trattamento tra coimputati è frutto di una valutazione circa adeguatezza e proporzionalità della misura incentrata sulla personalità degli indagati.
In secondo luogo, ha ritenuto infondata la censura relativa alle esigenze cautelari, perché la Corte d’Assise d’Appello ha adeguatamente motivato in ordine alle ragioni (gravità del fatto, entità della pena inflitta, pericolosità soci dell’imputato desumibile dalle modalità del fatto) per le quali è da ritenersi idonea a contenere le esigenze cautelari ravvisabili nei confronti di COGNOME la sola misura carceraria.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, articolando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606 lett. cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
La motivazione richiama le ragioni della scelta iniziale della misura cautelare da parte del g.i.p. senza tenere conto degli elementi sopravvenuti, tra cui la dosimetria della pena (quella inflitta a COGNOME è inferiore a quella inflitta coimputato sottoposto agli arresti domiciliari) e il fatto che la sentenza riconosce un ruolo di minore efficacia causale alla condotta del ricorrente.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale.
Censura, infatti, che non si sia tenuto conto del disposto dell’art. 275, comma 1-bis, cod. proc. pen., secondo cui, contestualmente ad una sentenza di condanna, l’esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti.
2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b). cod. proc. pen., violazione della legge in ordine all’assenza della motivazione.
Il ricorso lamenta, cioè, che la motivazione sia carente ed apparente, in quanto il provvedimento impugnato si è limitato a richiamare quella della Corte d’Assise d’Appello senza rispondere alle specifiche doglianze difensive.
Con requisitoria scritta del 30.4.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, osservando !a motivazione del provvedimento impugnato sia congrua e dia atto, in assenza di elementi nuovi, della inidoneità
di misure diverse dalla custodia in carcere a soddisfare le esigenze cautelari. Ha aggiunto che «peraltro, nelle more, la sentenza è divenuta definitiva».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Proprio da quest’ultimo rilievo contenuto nella requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, deve muoversi per rilevare preliminarmente la inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Dall’ordinanza del Tribunale del Riesame, risulta che la misura cautelare era stata applicata a COGNOME NOME in un procedimento avente ad oggetto il reato di omicidio volontario, commesso in concorso con COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nel quale il ricorrente era stato condannato alla pena di ventuno anni di reclusione con sentenza della Corte d’Assise di Frosinone in data 23.9.2022, confermata dalla Corte d’Assise di Appello di Roma con sentenza in data 12.7.2013. La stessa ordinanza impugnata ha dato atto che alla data della decisione del 14.12.2023 il procedimento fosse pendente innanzi alla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione con udienza non ancora fissata.
Ebbene, è risultato che effettivamente nel frattempo questa Sezione della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione abbia rigettato all’udienza del 9.4.2024 il ricorso avverso la sentenza della Corte d’Assise di Appello di Roma proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nei cui confronti, quindi, è divenuta definitiva la condanna per il reato in relazione al quale vigeva a suo carico la misura: questo collegio ha disposto l’acquisizione di copia del relativo dispositivo, che è stata allegata agli atti.
Di conseguenza, l’irrevocabilità della sentenza di condanna a pena detentiva comporta, in tema di misure cautelari personali, il venir meno della funzione del vincolo custodiale e determina l’inammissibilità dell’impugnazione cautelare, in quanto la definitività del titolo esecutivo, pur se sopravvenuta rispetto al momento della presentazione del ricorso per cassazione, apre una fase ontologicamente incompatibile con la verifica demandata al tribunale ordinario a fini cautelari e, “a fortiori”, alla Suprema Corte. (da ultimo, Sez. 3, n. 8361 del 26/1/2024, Rv. 285968 – 01).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, giacché, per effetto della sentenza di condanna definitiva, al titolo cautelare si è sovrapposto il diverso titolo rappresentato dall’ordine di esecuzione. (Sez. 3, n. 46795 del 20/11/2008, Rv. 242267 – 01).
La declaratoria di inammissibilità non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE, in quanto la sopravvenuta carenza di interesse è
derivata da causa a lui non imputabile e quindi non configura un’ipotesi di soccombenza (Sez. 1, n. 15908 del 16.4.2024, Rv. 286244 – 01; sez. 3, n. 29593 del 26.5.2021. Rv. 281785 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Così deciso il 24.5.2024