Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37638 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37638 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Sorrento il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli emessa il 04/06/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.NOME COGNOME ricorre avverso l’ordinanza con cui, in data 4 giugno 2025, il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dal Giudice per le indagini preliminari di Torre Annunziata nei suoi confronti il 23 maggio 2025.
Ne chiede l’annullamento, tramite il difensore di fiducia, articolando due motivi di ricorso, di seguito sintetizzati.
2.1. Con il primo deduce inosservanza di legge in relazione agli artt. 125 e 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. e vizi motivazionali, con riferimento al profilo delle esigenze cautelari.
Il pericolo di condotte reiterative non è configurabile in relazione al contestato reato di induzione indebita di cui all’art. 319 -quater cod. proc. pen., in ragione della cessazione dalla carica di Sindaco del comune di Sorrento già ricoperta dall’indagato, cui è seguito l’insediamento del Commissario prefettizio.
Il Tribunale non avrebbe fatto buon governo del consolidato insegnamento in forza del quale, nei reati contro la Pubblica Amministrazione, il giudizio di prognosi sfavorevole sulla pericolosità sociale dell’incolpato non è di per sé impedito dalla circostanza che l’indagato abbia dismesso la carica o esaurito l’ufficio nell’esercizio del quale aveva realizzato la condotta addebitata.
La validità di tale principio va, difatti, rapportata al caso concreto, dovendo il rischio di ulteriori condotte illecite del tipo di quella contestata essere r almeno probabile da una permanente posizione soggettiva dell’agente, che gli consenta di continuare a mantenere, pur nell’ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso.
2.2. Con il secondo motivo si deduce inosservanza di legge in relazione agli artt. 125 e 274, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., e vizi motivazionali con riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari correlate al pericolo di inquinamento probatorio.
Un tale pericolo, ove pure configurabile, difetterebbe di concretezza ed attualità, in quanto: a) la possibilità che il ricorrente cancelli da remoto le chat probatoriamente significative è stata neutralizzata dalla acquisizione di copia forense del suo telefono; b) la possibilità che egli avvicini, per il tramite fiduciari, le vittime di condotte analoghe a quelle per cui si procede, per indurle a ritrattare, è ipotesi meramente congetturale, non suffragata da riscontri oggettivi.
In data 21 settembre 2025 è pervenuta a mezzo EMAIL, presso la Cancelleria di questa Corte, dichiarazione di rinuncia al ricorso da parte del difensore dell’indagato, munito di procura speciale, formulata sulla premessa che la misura intramuraria è stata sostituita con quella degli arresti domiciliari.
La dichiarazione abdicativa, quale atto formale, irrevocabile e recettizio, è stata, dunque, ritualmente effettuata dal difensore nelle forme previste dall’art.
589 cod. proc. pen. ( v. Sez. U, n. 12603 del 24/11/2015, dep. 2016, Celso, Rv. 266244 – 01) ed è stata ritualmente trasmessa per via telematica ai sensi dell’art. 111-bis cod. proc. pen.
Deve poi osservarsi che, con la disposta sostituzione della misura carceraria, la finalità perseguita con il ricorso ha trovato concreta attuazione, sicché risulta venuto meno l’interesse a impugnare.
Configurato dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. quale condizione della impugnazione, tale interesse deve sorreggere il gravame anzitutto nel momento genetico della sua proposizione, ma, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, deve altresì persistere nella fase della decisione (v. Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, COGNOME, Rv. 251693/4).
La nozione della carenza d’interesse sopravvenuta ricorre, in particolare, quando l’attualità sia venuta meno a causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore, assorbendo la finalità perseguita dall’impugnante, ovvero perché la stessa abbia già trovato concreta attuazione, ovvero, infine, in quanto abbia perso ogni rilevanza per il superamento del punto controverso.
Nel medesimo arresto, il NOME Collegio ha precisato che la relativa nozione non può essere basata sul concetto di soccombenza in senso proprio tipica delle impugnazioni civili, le quali presuppongono un processo di tipo contenzioso, e quindi una lite intesa come conflitto di interessi – ma va piuttosto individuata, in ambito penale, in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finali negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo.
Pur consapevole dell’esistenza di un diverso e minoritario indirizzo (espresso da Sez. 2, n. 36035 del 09/10/2025, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 39521 del 4/7/2018, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 273882 -01; Sez. 5, n. 23636 del 21/3/2018, Horvat, Rv. 273325-01), in forza del quale, in ipotesi di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, dipesa da causa non imputabile al ricorrente, può essere disposta condanna solo al pagamento delle spese processuali, ma non anche al versamento della sanzione in favore della Cassa per le ammende, presupponendo, quest’ultimo, una colpa non ravvisabile in concreto (v.Corte cost. n. 186 del 13/06/2000), ritiene il Collegio di dare continuità all’orientamento che, nel solco delle Sezioni Unite COGNOME, esclude che possa essere irrogata la condanna, non solo alla sanzione
pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, ma anche al pagamento delle spese processuali (in tal senso Sez. 1, n. 15908 del 22/02/2024, COGNOME, Rv. 286244 – 01; Sez. 3, n. 29593 del 26/5/2021, COGNOME, Rv. 281785; Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017, dep. 2018, Rezmives, Rv. 272308; Sez. 6, n. 19209 del 31/1/2013, COGNOME, Rv. 256225; Sez. 6, n. 22747 del 6/3/2003, COGNOME, Rv.226009; Sez. 1, n. 1695 del 19/3/1998, COGNOME, Rv. 210561).
In conseguenza di una ipotesi di inammissibilità tanto peculiare, che prescinde da profili di colpa e altresì di soccombenza – pure nell’accezione meramente “virtuale” in cui essa è stata in taluni arresti richiamata – il ricorrente rinunciante deve essere sollevato da ogni conseguenza di natura sfavorevole inerente al regolamento delle spese de processo.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Così deciso in Roma il 2 ottobre 2025.