Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12471 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12471 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nata il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/01/2024 del TRIB. LIBERTA di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il PG in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inannnnissibilità del ricorso;
Dato atto che il difensore della ricorrente non è comparso;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 16 gennaio 2024, il Tribunale di Ancona, investito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha annullato l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pesaro aveva applicato a NOME la misura cautelare degli arresti domiciliari. La misura cautelare era stata disposta dal G.i.p. per la ritenuta sussistenza di gravi indizi del reato di cui agli artt. 1 cod. pen., 73, commi 1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen’ Il Tribunale l’ha revocata, pur condividendo le valutazioni del G.i.p. in ordine alla sussistenza di un grave quadro indiziario, perché ha escluso il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie. Ha osservato a tal fine che l’indagata è incensurata, ha un lavoro regolare e non risulta stabilmente collegata a persone dedite a traffici illeciti.
Il difensore dell’indagata ha proposto tempestivo ricorso contro l’ordinanza del Tribunale per il riesame deducendo violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza che il Tribunale avrebbe confermato con motivazione apodittica, trascurando elementi concreti atti a dimostrare l’estraneità della NOME alla condotta illecita del coindagato. Secondo la difesa, il Tribunale avrebbe valorizzato, con argomentazione manifestamente illogica, il fatto che la donna si trovava lontana da casa, in viaggio insieme ad un uomo che aveva disponibilità di 5 kg. di hashish; avrebbe, inoltre, irragionevolmente ignorato che la sostanza era occultata in un borsone e il coindagato ha ammesso di averla detenuta per cederla a terzi, ma ha escluso di averne informato la compagna di viaggio.
Il Procuratore generale ha depositato memoria scritta chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorso è inammissibile perché difetta un interesse attuale e concreto dell’indagata a ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato.
Il Tribunale di Ancona ha escluso la sussistenza di esigenze cautelari e, per questo, ha annullato l’ordinanza con la quale NOME era stata sottoposta agli arresti domiciliari. La ricorrente si duole che sia stato ritenuto sussistente un grave quadro indiziario e censura sotto questo profilo la decisione adottata. Si deve ricordare allora che, per giurisprudenza costante, l’indagato non ha interesse ad impugnare il provvedimento del tribunale del riesame che abbia annullato l’ordinanza applicativa di una misura cautelare personale per carenza delle
esigenze cautelari quando – come nel caso di specie – il ricorso si limiti a dedurre il vizio di motivazione in ordine al ritenuto quadro gravemente indiziario. Ed invero, come è stato condivisibilmente osservato, un tal provvedimento «non pregiudica sotto alcun profilo processualmente rilevante la posizione del rcorrente» (Sez. 5, n. 1119 del 09/09/2021, dep. 2022, La Cognata, Rv. 282534,: Sez. 1, n. 45918 del 15/10/2019, Beltramelli, Rv. 277331).
L’interesse ad impugnare provvedimenti che, pur avendo revocato una misura cautelare, hanno ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza era certamente sussistente nel vigore dell’art. 405, comma 1 bis, cod. proc. per ., in base al quale: «il pubblico ministero, al termine delle indagini, formula richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’art. 273, e non sono stati acquisiti successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini». Come noto, però, questa norma è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 121 del 24 aprile 2009. Nell’attuale assetto normativo, dunque, la valutazione del compendio indiziario da parte della Corte di legittimità è priva di effetti concreti e non può vincolare o limil:are in alcun modo la decisione dei giudici successivamente chiamati a valutare la posizione dell’indagato il quale, pertanto, non ha un interesse attuale e concreto a ottenere la pronuncia richiesta (cfr. Sez. 1, n. 45918/2019, cit.; nonché Sez. 5, n. 34030 del 25/05/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 18215 del 11/12/2018, dep. 2019, Ammendola, Rv. 276527).
Nel caso di specie, questo interesse non può essere individuato nella volontà di avvalersi di una pronuncia sulla gravità del quadro indiziario al fine di ottenere un indennizzo ex art. 314 cod. proc. pen. perché nessuna deduzione in tal senso è stata formulata. Ed invero, come è stato chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, Testini, Rv. 249002: «in terra di ricorso avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale nelle more revocata o divenuta inefficace, perché possa ritenersi comunque sussistente l’interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione in riferimento a una futura utilizzazione dell’eventuale pronunzia favorevole ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, è necessario che la circostanza formi oggetto di specifica e motivata deduzione, idonea a evidenziare in termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dal mancato conseguimento della stessa, formulata personalmente dall’interessato».
6. In conclusione, il ricorso è inammissibile per carenza di interesse. Ne consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000
e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 marzo 2024
Il Consiglier,c
( estensore Il Preside