Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36534 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36534 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/05/2025 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che l’ordinanza impugnata sia annullata con rinvio;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23/05/2025, il Tribunale di Roma, decidendo quale giudice dell’esecuzione: a) revocava l’ordinanza del 18/12/2024 di restituzione a NOME COGNOME, nella qualità di liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, della somma di C 179.023,97 oggetto del sequestro preventivo che era stato disposto il 16/12/2020 dal G.i.p. del Tribunale di Roma (provvedimento eseguito solo per l’importo di C 145.507,12) nell’ambito del procedimento penale nei confronti di NOME COGNOME per il reato di truffa che si era concluso con la sentenza del 24/11/2023 del Tribunale di Roma, divenuta irrevocabile il 12/12/2023, di non doversi procedere per essere il suddetto reato improcedibile per mancanza di querela; b) revocava il decreto del 02/01/2025 di sospensione dell’efficacia
esecutiva della medesima ordinanza di restituzione del 18/12/2024; c) disponeva che il 40% della somma di C 145.507,12, pari a C 58.202,85, fosse restituita a NOME COGNOME, nella qualità di socio di RAGIONE_SOCIALE; d) rilevato che l’altro socio di RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME era deceduto, mandava la Cancelleria per l’acquisizione dal Tribunale civile di Roma dell’attestazione circa l’avvenuto deposito, nel registro delle successioni, di atto di accettazione o di rinuncia, da parte dei chiamati, dell’eredità del COGNOME, disponendo la permanenza, nelle more, del sequestro preventivo sul 60% della somma di C 145.507,12.
Nell’emettere l’ordinanza del 23/05/2025, il Tribunale di Roma procedeva, quale giudice dell’esecuzione, su richiesta di RAGIONE_SOCIALE, la quale, il 31/12/2024, aveva presentato istanza «di revoca o di sospensione dell’efficacia dell’ordinanza di revoca del sequestro preventivo e di restituzione di cose sequestrate».
Avverso la medesima ordinanza del 23/05/2025 del Tribunale di Roma, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore e procuratore speciale NOME COGNOME, NOME COGNOME, «quale persona offesa e danneggiata e avente diritto alla restituzione delle somme , in proprio e n.q. di liquidato della società RAGIONE_SOCIALE», affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen.: «Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 666 e 127 c.p.p. – Nullità della ordinanza impugnata – Carenza di legittimazione attiva, titolarità e/o interesse in capo alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di avviare incidente di esecuzione ai fini della revoca della ordinanza di “revoca del sequestro preventivo” – Difetto assoluto di motivazione – Carenza grafica».
NOME COGNOME, nelle indicate qualità, denuncia la nullità dell’ordinanza impugnata per avere il Tribunale di Roma proceduto su richiesta di un soggetto, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a, «carente della relativa legittimazione/interesse», e non potendo il procedimento di esecuzione essere avviato d’ufficio.
Il ricorrente si duole del fatto che, nonostante avesse avanzato tale doglianza sia con la memoria che aveva depositato il 10/01/2025 sia riproponendola al verbale dell’udienza del 21/05/2025, il Tribunale di Roma aveva omesso di pronunciarsi sul punto, come pure di motivare «in ordine al presupposto idonei a rendere legittimo l’avvio e la trattazione del celebrato incidente di esecuzione».
NOME COGNOME deduce che RAGIONE_SOCIALE non era soggetto «interessato» e, quindi, legittimato in proprio a promuovere il procedimento di esecuzione avverso l’ordinanza di restituzione del 18/12/2024.
Né la stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE poteva avanzare la richiesta «per “conto” dell’Erario sulla scorta di presunte “finalità di tutela” delle ragioni erariali» (così il ricorso
Dopo avere affermato che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, «la nozione di terzo interessato legittimato a potere dedurre, in sede di merito e di legittimità, in ordine alla misura cautelare (anche in sede di incidente di esecuzione) è colui che abbia o rivendichi la effettiva titolarità o disponibilità de bene» (così il ricorso), il ricorrente rappresenta che RAGIONE_SOCIALE era stata meramente «”coinvolta”» nel procedimento penale «solo per essere stata la “destinataria” della collocazione temporanea delle somme (corpo del reato) oggetto della contestata illecita apprensione (da parte del COGNOME, unico indagato e poi imputato )», tanto che la stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., nella memoria che era stata da essa depositata il 20/12/2024, aveva riferito di avere «a suo tempo trasferito la somma sequestrata e verbalizzata dalla PG pari ad Euro 147.507,12 al RAGIONE_SOCIALE come previsto dalla normativa che regola i sequestri».
Per tali ragioni, RAGIONE_SOCIALE «non rivestiva la qualità di “terzo interessato”» e, in particolare, non era titolare delle somme indicate (le quali erano state oggetto, in sede di-sede-di insinuazione al passivo del RAGIONE_SOCIALE, di riconoscimento di un credito in favore di RAGIONE_SOCIALE) e, dunque, non era legittimata a richiedere la revoca dell’ordinanza di revoca del sequestro preventivo.
Al momento della presentazione di tale richiesta, RAGIONE_SOCIALE non aveva neppure la disponibilità «”in concreto”» delle somme, atteso che, come detto, esse erano stata da essa trasferite al RAGIONE_SOCIALE.
Il COGNOME puntualizza che il Tribunale di Roma, nel processo di cognizione, aveva negato sia la costituzione di parte civile di RAGIONE_SOCIALE sia che tale società fosse persona offesa, legittimata a proporre querela, o danneggiata dal reato, tanto che lo stesso Tribunale aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato NOME COGNOME per mancanza della querela.
Pertanto, il Tribunale di Roma avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’istanza di RAGIONE_SOCIALE «anche nella ipotesi di qualificazione della medesima istanza ex art. 667 co. 7 cpp come “opposizione”».
Il ricorrente ribadisce la mancanza assoluta di motivazione sul punto in questione.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen.: «Illegittimità dell’ordinanza impugnata Insussistenza delle condizioni per l’applicabilità del rito di cui all’art. 127 cpp Insussistenza di una violazione del contraddittorio in sede di emissione della ordinanza di revoca del sequestro del 18.12.2024 – Insussistenza dei requisiti per l’avvio dell’incidente di esecuzione in forza della già intervenuta decadenza della
misura cautelare reale del sequestro preventivo ex art. 323 cpp – Mancanza, apparenza e illogicità della motivazione».
NOME COGNOME deduce l’illegittimità dell’ordinanza impugnata in quanto, posto che, a norma dell’art. 323 cod. proc. pen., poiché con la sentenza di non doversi procedere del 24/11/2023 del Tribunale di Roma non era stata disposta la confisca, il sequestro preventivo aveva perso la sua efficacia, dovendo il giudice solo ordinare la restituzione delle cose sequestrate a chi ne aveva diritto – con la conseguenza che il Tribunale di Roma, accogliendo l’istanza di dissequestro e restituzione del COGNOME, non aveva fatto altro che adottare un atto “ricognitivo” della già intervenuta «decadenza» ex lege della misura cautelare reale -, da ciò discenderebbe l’inammissibilità della richiesta avanzata da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. diretta ad avviare un procedimento di esecuzione, atteso che, appunto, l’ordinanza del 18/12/2024 era meramente “confermativa” delle statuizioni della sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Roma aveva applicato l’art. 323 cod. proc. pen.
Pertanto, «ritenere ammissibile l’avvio di un incidente di esecuzione all’indomani di un procedimento penale definito con sentenza di non doversi procedere (irrevocabile) che normativamente determina, anche ai sensi dell’art. 323 c.p.p. la perdita di efficacia del sequestro preventivo, costituisce provvedimento illegittimo, inammissibile ed erroneo», adottato in violazione degli artt. 127, 323 e 666 cod. proc. pen., oltre che in totale carenza di motivazione sul punto. Né il Tribunale di Roma avrebbe «valutato la rilevanza né motivato in ordine alla “disapplicazione”» dell’art. 323 cod. proc. pen.
Il ricorrente aggiunge che RAGIONE_SOCIALE avrebbe erroneamente dedotto la violazione dell’art. 263 cod. proc. pen., atteso che tale articolo, considerata la sua collocazione, attiene al sequestro probatorio e non al sequestro preventivo.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen.: «Nullità della ordinanza impugnata atteso il mancato riconoscimento in capo al ricorrente del diritto alla restituzione delle somme di cui al sequestro anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2490 cc Errata valutazione in punto di sussistenza di legittimazione attiva del ricorrente Assenza di motivazione ed illogicità manifesta della medesima in ordine agli effetti dell’effetto successorio nonché in ordine al trasferimento ai soci dei diritti e beni non compresi nel bilancio finale di liquidazione».
NOME COGNOME deduce l’erroneità dell’ordinanza impugnata «sia in punto di revoca della ordinanza di restituzione delle somme in favore del COGNOME n.q. di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, sia in punto di ritenuta insussistenza della di lu legittimazione attiva, sia – per l’effetto – in relazione alla disposta restituzi
delle somme in favore del socio al 40% e contestuale “mantenimento” del vincolo reale sul restante 60%».
Rappresenta che «l’unico soggetto legittimato attivo» era, come risulterebbe dal capo d’imputazione, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, atteso che la somma in sequestro, solo provvisoriamente «”accantonata”» presso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., costituiva il credito della suddetta società nei confronti del RAGIONE_SOCIALE
Pertanto, non vi sarebbe «chi non veda» che egli era, in quanto liquidatore, nominato il 07/08/2019 «con carica a tempo indeterminato», l’«unico soggetto legittimato e titolato alla restituzione delle somme a dispetto di quanto indicato nel provvedimento impugnato».
NOME COGNOME sottolinea che la cancellazione di RAGIONE_SOCIALE dal registro delle imprese era intervenuta ai sensi dell’art. 2490, ultimo comma, cod. civ., cioè in ragione del mancato deposito del bilancio di cui allo stesso articolo per oltre tre anni.
Dopo avere trascritto l’ultimo comma dell’art. 2490 cod. civ. e il secondo comma dell’art. 2495 cod. civ., afferma che, «er l’effetto», la sua carica di liquidatore e i suoi correlativi poteri non avrebbero potuto che essere ritenuti, «tuttora, in essere e permanenti».
Sarebbe, poi, «inammissibile», avere disposto il mantenimento del vincolo reale sul 60% delle somme nonostante lo stesso vincolo si dovesse ritenere venuto meno per effetto della sentenza di primo grado.
Il COGNOME espone che non esistere una norma del Codice civile concernente l’ipotesi di crediti residui o di sopravvenienze attive nel caso di «estinzione (di diritto e per mancato deposito dei bilanci/inattività della società) della società dal registro delle imprese» – atteso che l’art. 2495 cod. civ. disciplina solo l’ipotesi d sopravvenienze passive -, e che, nel caso in esame, «essendovi stata una chiusura d’ufficio della RAGIONE_SOCIALE per mancato deposito dei bilanci», le somme in questione andrebbero inquadrate tra le sopravvenienze attive.
NOME COGNOME deduce ancora che: a) le Sezioni unite civili della Corte di cassazione (sono citate le sentenze n. 6070, n. 6071 e n. 6072 del 12/03/2013) avrebbero affermato che «residuerebbe la responsabilità ed il dovere dell’amministratore/liquidatore (pur della società estinta) in relazione all’incasso di tali crediti» (così il ricorso) non compresi nel bilancio finale di liquidazione del società estinta, e avrebbero attribuito al liquidatore «responsabilità per il “mancato espletamento” di attività “giudiziali o stragiudiziali” tese al recupero, anche postestinzione, dei crediti e/o delle sopravvenienze attive» (così il ricorso); b) alcuni tribunali avrebbero precisato che, venuta meno la personalità giuridica dell’ente a
seguito della sua estinzione, «non verrebbe meno la sua soggettività, come rappresentata dal liquidatore».
Il Tribunale di Roma avrebbe invece «omesso, fornendo una motivazione del tutto apparente, di valutare come il Liquidatore rappresenti, comunque, la società quale rappresentante dei soci anche in ipotesi di estinzione della RAGIONE_SOCIALE» (sono nuovamente invocate le pronunce delle Sezioni unite civili citate sopra).
Fermo restando ciò, cioè che il liquidatore «rappresenterebbe comunque l’ente societario per il protrarsi della sua “soggettività”», il COGNOME deduce ch «l’estinzione della società potrebbe comunque essere – sempre – cancellata».
Infatti, secondo la «dottrina e la recente giurisprudenza», laddove vi siano sopravvenienze attive, il liquidatore, incassate le somme, potrebbe avvalersi della previsione di cui all’art. 2191 cod. civ. e chiedere la cancellazione dell’iscrizione della cancellazione, con la conseguente “reviviscenza”, con effetto retroattivo, della società.
Il Tribunale di Roma avrebbe pertanto «dovuto valutare come sia che si ritenga crearsi uno stato di comunione tra i soci ex art. 2495 c.c. ovvero la permanenza della soggettività giuridica (pur con estinzione della personalità giuridica) ovvero ancora il diritto-dovere del Liquidatore di procedere alla cancellazione dell’estinzione, non vi era dubbio che colui che potesse agire per ottenere l’incasso fosse il liquidatore della società estinta e, quindi, nel caso d specie il COGNOME in proprio», il quale, incassate le somme, avrebbe potuto procedere o alla ripartizione diretta tra i soci, detratte le spese di gestione attività, o provocare, ex art. 2191 cod. civ., la revoca dell’estinzione e convocare poi i soci per una «vera e propria assemblea della società “ri-nata”».
Sarebbe, invece, del tutto priva di fondamento giuridico la decisione del Tribunale di Roma là dove esso «pur riferendo di un “fenomeno successorio” riteneva che i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscano in via diretta ai soci pur in regime di “comunione indivisa”». Sarebbe sfuggito allo stesso Tribunale il punto che «non si trattasse di individuare la destinazione di somme “non compresi nel bilancio di liquidazione” che nel caso di specie non era stato depositato (di qui l’estinzione): ma di valutare l’esito (in punto di destinazione) di crediti o poste attive, come nel caso di specie, “sopravvenute”. Per l’effetto, anche laddove la RAGIONE_SOCIALE avesse depositato rettamente il bilancio di liquidazione, in ogni caso le somme di cui all’odierno giudizio non sarebbero “state incluse” nel medesimo in quanto – per l’appunto sopravvenute».
Il Tribunale di Roma avrebbe omesso di motivare sul punto di «valutare la destinazione delle somme che siano inquadrabili nell’alveo delle c.d. sopravvenienze attive a fronte di quanto previsto dall’art. 2191 c.c. con la
conseguente possibile cancellazione dell’iscrizione della cancellazione con conseguente “reviviscenza” della società». Iscrizione della cancellazione che, se effettuata in presenza di un attivo non liquidato, anche se sopravvenuto alla cancellazione, come nel caso di specie, sarebbe illegittima per la mancanza delle condizioni previste dalla legge e legittimerebbe il ricorso all’art. 2191 cod. civ., con la conseguente “reviviscenza”, con effetto retroattivo, della società.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.: «Nullità dell’ordinanza impugnata – Abnormità della stessa in quanto emessa in uno stato di carenza di potere in concreto Deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale Esercizio di un potere previsto dall’ordinamento in una situazione legale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge ovvero al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite».
NOME COGNOME denuncia l’abnormità dell’ordinanza impugnata, vizio che deriverebbe sia dalla carenza di potere del Tribunale di Roma di avviare sostanzialmente d’ufficio il procedimento di esecuzione, sia dal fatto che l’emissione della sentenza di primo grado aveva determinato l’inefficacia del sequestro preventivo, con la decadenza di tale misura cautelare reale per effetto del passaggio in giudicato della stessa sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché è proposto da un soggetto non legittimato.
Preliminarmente, è necessario ripercorrere brevemente la vicenda processuale.
Con sentenza del 24/11/2023, divenuta irrevocabile il 12/12/2023, il Tribunale di Roma dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di truffa aggravata ai danni di RAGIONE_SOCIALE perché l’azione penale non poteva essere iniziata per mancanza della querela.
Il Tribunale di Roma, peraltro, ometteva di statuire in ordine alla somma di denaro che era stata sottoposta a sequestro preventivo con decreto del 16/12/2020 del G.i.p. del Tribunale di Roma (il cui decreto di sequestro della somma di C 179.023,97 aveva potuto essere eseguito solo per la somma di C 145.507,12) e che era di spettanza della persona offesa della menzionata truffa aggravata RAGIONE_SOCIALE
La somma di denaro era stata sequestrata su di un conto corrente nella disponibilità del COGNOME acceso presso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
In accoglimento dell’istanza del 12/12/2024 presentata da NOME COGNOME in proprio e nella qualità di liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, il Giudice del Tribunale di Roma, con provvedimento del 18/12/2024, adottato de
plano, revocava il sequestro preventivo della somma di denaro e disponeva la restituzione di esso «all’istante, nella qualità di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE».
Tale provvedimento del 18/12/2024 del Tribunale di Roma costituisce pertanto un’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione ai sensi del combinato disposto degli artt. 676, comma 1, e 667 comma 4, cod. proc. pen.; il quale combinato disposto prevede che il giudice dell’esecuzione è competente a decidere «in ordine alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate» (primo periodo del comma 1 dell’art. 676 cod. proc. pen.) e procede, in questo caso, a norma dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen. (secondo periodo del comma 1 dell’art. 676 cod. proc. pen.) e, cioè, «senza formalità con ordinanza» (primo periodo del comma 4 dell’art. 667 cod. proc. pen.).
Con istanza del 27/12/2024, RAGIONE_SOCIALE chiedeva la revoca o la sospensione dell’efficacia dell’ordinanza del 18/12/2024 con la quale, come si è appena detto, il Giudice del Tribunale di Roma aveva revocato il sequestro preventivo della somma di denaro e ne aveva (disposto la restituzione a NOME COGNOME nella qualità di liquidatore di RAGIONE_SOCIALE
Tale istanza del 27/12/2024 di RAGIONE_SOCIALE si deve pertanto ritenere costituire un atto di opposizione, contro l’ordinanza del 18/12/2024 del Giudice del Tribunale di Roma, proposto ai sensi del secondo periodo del comma 4 dell’art. 667 cod. proc. pen. («Contro l’ordinanza possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice il pubblico ministero, l’interessato e il difensore; in tale caso si procede a norma dell’art. 666»).
Procedendo, appunto, nelle forme partecipate di cui all’art. 666 cod. proc. pen., il Giudice del Tribunale di Roma emetteva l’ordinanza del 23/05/2025, con la quale, come si è già detto nella parte in fatto: a) revocava l’ordinanza del 18/12/2024 di restituzione a NOME COGNOME, nella qualità di liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, della somma oggetto del sequestro preventivo che era stato disposto il 16/12/2020 dal G.i.p. del Tribunale di Roma (e che era stato eseguito solo per l’importo di C 145.507,12); b) revocava il decreto del 02/01/2025 di sospensione dell’efficacia esecutiva della medesima ordinanza di restituzione del 18/12/2024; c) disponeva che il 40% della somma di C 145.507,12, pari a C 58.202,85, fosse restituita a NOME COGNOME, nella qualità di socio di RAGIONE_SOCIALE; d) rilevato che l’altro socio di RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME era deceduto, mandava la Cancelleria per l’acquisizione dal Tribunale civile di Roma dell’attestazione circa l’avvenuto deposito, nel registro delle successioni, di atto di accettazione o di
rinuncia, da parte dei chiamati, dell’eredità del COGNOME, disponendo la permanenza, nelle more, del sequestro preventivo sul 60% della somma di € 145.507,12.
Avverso tale ordinanza del 23/05/2025 del Giudice del Tribunale di Roma, ha proposto ricorso per cassazione, in proprio e nella qualità di liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, secondo la previsione del comma 6 dell’art. 666 cod. proc. pen. («Il giudice decide con ordinanza. Questa è comunicata o notificata senza ritardo alle parti e ai difensori, che possono proporre ricorso per cassazione»).
Così brevemente ripercorsa la vicenda processuale – la quale, come si è visto, si è pertanto svolta secondo la scansione procedimentale che è prevista dalla legge -, occorre esaminare per primo, per ragioni che risulteranno in seguito evidenti, il terzo motivo.
3.1. Esso è manifestamente infondato. Con la sentenza n. 6070 del 12/03/2013, le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno affermato i principi secondo cui, dopo la riforma del diritto societario, attuata con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali n rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (Rv. 625323-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Muovendo dalla premessa, che avevano già fatto propria con le sentenze n. 4060, n. 4061 e n. 4062 del 22/02/2010, secondo cui, a seguito della menzionata riforma del diritto societario, la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese provoca l’estinzione di tale ente, le Sezioni unite civili, chiamate a pronunciarsi su quale fosse la sorte, tra l’altro, per quanto qui interessa, dei residui attivi non liquidati e delle sopravvenienze attive della liquidazione di una società cancellata dal registro delle imprese, dopo avere riscontrato il silenzio del legislatore su tale punto («il legislatore ne tace»; pag. 10), hanno argomentato
come, anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione, come nei rapporti passivi ex art. 2495, secondo comma, cod. civ., «venga a determinarsi un analogo meccanismo successorio», nel senso che, una volta venuto meno il vincolo societario, «la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale» – cioè, evidentemente, ai soci -, dovendosi ritenere che, «sparita la società, s’instauri tra i soci medesimi, ai quali quei diritti e quei beni pertengono, un regime di contitolarità o di comunione indivisa» (pag. 12).
Spostando la propria attenzione sul versante processuale, le Sezioni unite civili hanno affermato gli ulteriori principi secondo cui la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 della legge fallimentare). Pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e seguenti cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.; qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso (Rv. 625324-01).
3.2. Posti gli indicati principi, affermati dalle Sezioni unite civili della Corte cassazione, si deve osservare come il Tribunale di Roma, che li ha in parte espressamente richiamati, ne abbia fatto, nell’ordinanza impugnata, pertinente e corretta applicazione.
Dopo avere rilevato che RAGIONE_SOCIALE era stata cancellata d’ufficio dal registro delle imprese il 21/11/2020, ai sensi dell’art. 2490, ultimo comma, cod. civ. (cioè in ragione del mancato deposito del bilancio di cui allo stesso articolo per oltre tre anni) – cancellazione che, come dispone espressamente l’ultimo comma dell’art. 2490 cod. civ., produce «gli effetti previsti dall’art. 2495» dello stesso codice e, quindi, l’estinzione della società -, il Tribunale di Roma ha correttamente reputato che, quindi, alla stregua dei principi che erano stati affermati dalla menzionata sentenza del 2013 delle Sezioni unite civili, gli aventi diritto alla restituzione delle somme in sequestro erano i soci (NOME COGNOME e NOME COGNOME) dell’estinta RAGIONE_SOCIALE e non tale ormai estinta società e, quindi, il liquidatore (NOME COGNOME) che l’aveva
rappresentata quando essa era “in vita”, né, tanto meno, lo stesso NOME COGNOME in proprio. Il quale NOME COGNOME è stato pertanto correttamente ritenuto privo di legittimazione attiva in entrambe tali qualità.
Rispetto a tale del tutto corretta conclusione del Tribunale di Roma, si può aggiungere che: a) diversamente da quanto è asserito dal COGNOME, le sentenze n. 6070, n. 6071 e n. 6072 del 12/03/2013 delle Sezioni unite civili non hanno affermato la possibilità di una responsabilità del liquidatore «per il “mancato espletamento” di attività “giudiziali o stragiudiziali” tese al recupero, anche postestinzione, dei crediti e/o delle sopravvenienze attive», né che «il Liquidatore rappresenti, comunque, la società quale rappresentante dei soci anche in ipotesi di estinzione della RAGIONE_SOCIALE»; b) la vicenda in esame non ha nulla a che vedere con un’ipotizzata “cancellazione della cancellazione” dal registro delle imprese, la quale, peraltro, come è stato chiarito sempre dalla sentenza n. 6070 del 12/03/2013 delle Sezioni unite civili, richiederebbe non solo la sussistenza di rapporti non definiti facenti capo alla società cancellata ma la prova che essa abbia continuato a operare – e, quindi, a esistere – anche dopo l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese (pagg. 6-7).
Da quanto si è esposto con riguardo alla manifesta infondatezza di tale terzo motivo di ricorso, discende che il ricorrente non è titolare, né in proprio né nella qualità di liquidatore dell’estinta RAGIONE_SOCIALE, del diritto alla restituzione della somma in sequestro, della quale sono invece titolari i soci di RAGIONE_SOCIALE, ai quali lo stesso diritto si è trasferit per effetto dell’estinzione della società provocata dalla cancellazione di essa dal registro delle imprese.
Da ciò consegue, sul piano processuale, che NOME COGNOME, non essendo titolare della somma in sequestro, si deve ritenere non legittimato a impugnare, con il ricorso per cassazione, l’ordinanza del 23/05/2025 con la quale il Tribunale di Roma ha disposto la revoca della sua precedente ordinanza del 18/12/2024 di restituzione della medesima somma e la restituzione di essa ai soci dell’estinta RAGIONE_SOCIALE
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14/10/2025.