Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8935 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8935 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI LECCE nel procedimento a carico di:
COGNOME nato a LECCE il 05/08/1969
avverso l’ordinanza del 07/08/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7 agosto 2024, la Corte di appello dì Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha annullato l’ordine di esecuzione per la carcerazione n. 228/2024 Siep, emesso il 24 luglio 2024 dalla Procura Generale presso la medesima Corte di appello nei confronti di COGNOME Pasquale.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Lecce chiedendone l’annullamento per violazione degli artt. 666 e 656 cod. proc. pen.
2.1. Il ricorrente argomenta, innanzitutto, che nel provvedimento impugnato la Corte d’Appello non ha proceduto ad una autonoma determinazione ed esposizione dei criteri per cui ha ritenuto erronea la determinazione della pena residua, stabilita nella misura di anni uno, mesi undici e giorni ventiquattro di reclusione, dopo il passaggio in giudicato della sentenza n. 1029 del 2023, emessa dalla sopra indicata Corte territoriale il 7 giugno 2023.
In particolare, il ricorrente deduce che il giudice d’appello ha accolto passivamente le deduzioni difensive sulla erroneità del calcolo della misura della pena residua determinata dalla Procura generale ed ha disposto la scarcerazione del COGNOME.
Il ricorrente ha, quindi, fornito una ricostruzione dei provvedimenti giudiziari evidenziando che COGNOME NOME, con la sentenza del 7 giugno del 2023 emessa dalla Corte d’Appello di Lecce (irrevocabile 1’11 aprile 2024) è stato condannato alla pena finale di anni quattro di reclusione a titolo di continuazione con una precedente sentenza di condanna emessa 1’8 giugno del 2018 nel procedimento “Operazione RAGIONE_SOCIALE“; che in virtù della riconosciuta continuazione, la pena è stata rideterminata in ventiquattro anni di reclusione, in quanto il COGNOME (nel procedimento denominato RAGIONE_SOCIALE), aveva riportato una condanna ad anni venti di reclusione che costituiva il risultato della ritenuta continuazione con i fatti oggetto delle sentenze emesse dalla Corte di Assise di appello di Lecce del 6 dicembre 2005 e del 15 luglio 2004 della Corte di Assise di Lecce.
Nel ricorso si afferma che tale condanna ad anni venti di reclusione risulta espiata completamente alla data del 4 agosto 2019 (procedimento di esecuzione n. 166 del 2019 PG Lecce). Al riguardo il ricorrente evidenzia che le condanne del 2005 (ad anni 15 di reclusione) e del 2014 (anni due di reclusione) sono state interamente espiate, per un totale di 17 anni (procedimento di esecuzione n. 270
del 2016 PG Lecce). Inoltre, il ricorrente rileva che dalla pena di quattro anni irrogata con la sentenza del 7 giugno 2023 doveva essere sottratto il periodo presofferto (dal 26 febbraio al 2020 al 3 luglio 2021) e quello di fungibilità (dall’8 aprile 2022 al 6 dicembre 2022), con la conseguenza che la pena residua da scontarsi risulta pari a anni uno, mesi undici e giorni ventiquattro di reclusione.
Nel ricorso si specifica, poi, in data 22 novembre 2017, la Corte di appello di Lecce ha adottato un’ulteriore sentenza di condanna (nell’operazione Network), irrevocabile il 18 giugno 2019, con condanna alla pena di anni diciotto e mesi quattro di reclusione ritenuta la continuazione con i fatti del 6 dicembre 2005 e del 15 luglio 2014 (relativi a 17 anni di reclusione). In relazione a tale condanna è stata, pertanto, disposta l’esecuzione della residua pena di anni uno e mesi quattro di reclusione (procedimento di esecuzione Siep n. 274 del 2019), con espiazione della pena avvenuta dal 5 agosto 2019 al 14 novembre 2019.
Sulla base di tale ricostruzione il ricorrente deduce che il provvedimento di annullamento impugnato non contiene una indicazione dei criteri, dei conteggi e delle motivazioni poste a base della decisione, e, inoltre, che i conteggi sono da ritenersi errati.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. La Corte di Appello, nel provvedimento impugnato, espone che a fronte del calcolo della Procura, la difesa ha dedotto che NOME COGNOME ha già scontato una pena di anni ventiquattro, mesi tre e giorni undici di reclusione, tanto che con provvedimento del Gip del 3 luglio del 2021 è stata dichiarata la perdita di efficacia della misura cautelare nell’ambito del procedimento definito con sentenza del 7 giugno del 2023, ovvero proprio quello in relazione al quale è stato adottato il provvedimento di annullamento dell’ordine di esecuzione n. 228.
La Corte d’appello dà atto che il Gip, a seguito di parere favorevole del pubblico ministero, aveva dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare sul presupposto che il COGNOME avesse già eseguito la pena, inflitta con la sentenza del 7 giugno 2023, pari a 4 anni di reclusione, conclusione non contestata dalla Procura generale in udienza.
Nel provvedimento impugnato si espone anche che il Gip aveva dichiarato la perdita di efficacia della misura sulla base dell’avvenuta esecuzione di misure di
sicurezza detentive (del 9 luglio 2018), del presofferto e dei periodi di liberazione anticipata.
Sul punto, il Collegio leccese afferma che non risultano atti da cui dedurre l’errore del conteggio e, quindi, una diversa ricostruzione dei fatti ed anzi ritiene che l’assunto del Procuratore generale secondo cui parte della carcerazione sofferta fosse da ascrivere al diverso titolo (ovvero a quello di cui alla procedura n. 274/2019 Siep) risulta smentito dalla produzione difensiva dell’ordine di esecuzione n. 274/2019 relativo alla sentenza del 22 novembre 2017.
Ciò posto, deve rilevarsi che il ricorrente prospetta censure aspecifiche e generiche, limitandosi a reiterare le medesime valutazioni prospettate alla Corte d’appello senza argomentare criticamente i passaggi motivazionali del provvedimento impugnato.
Il ricorso non si confronta, specificamente, con la valutazione operata nell’ordinanza impugnata circa l’incidenza che sul calcolo della misura della pena residua ha assunto il provvedimento del Gip di perdita di efficacia della misura (disposta in relazione al procedimento cui si riferisce l’ordine di esecuzione per la carcerazione n. 228/24) sulla base dell’avvenuta esecuzione di misure di sicurezza detentive (del 9 luglio 2018), del presofferto e dei periodi di liberazione anticipata.
Né il ricorrente allega al ricorso produzione idonea a confutare il provvedimento oggetto di impugnazione al fine di affermare che parte della carcerazione sofferta fosse da ascrivere al diverso titolo con la conseguenza che a suo carico residuava ancora quella porzione di pena come calcolata nell’ordine di esecuzione n. 228/2024.
Anche in tema di incidente di esecuzione deve, pertanto, trovare applicazione il principio che governa il sindacato di legittimità, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 2019, Rv. 276970 – 01)
In conclusione, il ricorso per cassazione in oggetto va ritenuto inammissibile perché si limita a prospettare le medesime argomentazioni formulate innanzi al giudice dell’esecuzione e già respinte nel provvedimento impugnato, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma il 6 febbraio 2024
igliere estensore
Il Pr sidente