Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33977 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33977 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
.avverso l’ordinanza del 20/12/2023 della CORTE APPELLO di TRENTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 20 dicembre 2023 la Corte di Appello di Trento, quale giudice dell’esecuzione, dichiarava che la pena che NOME doveva eseguire nel territorio dello Stato era pari ad anni tre e mesi quattro di reclu da cui detrarre il periodo di custodia cautelare presofferto dal 28 maggio 2023 5 luglio 2023.
La pena come sopra determinata era quella inflitta con una sentenza emessa dal Tribunale di Valcea e parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Pitest recepita nell’ordinamento italiano con sentenza della medesima Corte di Appello di Trento.
Riteneva la Corte territoriale che la pena così determinata, in ragione tenore letterale del MAE e dei riferimenti alle norme di diritto rumene, fosse s calcolata già detraendo il periodo di custodia subito dal COGNOME in patria d marzo 2022 al 28 novembre 2022 e che, dunque, dalla stessa andasse detratto unicamente il periodo di custodia cautelare presofferto in Italia dal 28 mag 2023 al 5 luglio 2023.
Proponeva ricorso COGNOME tramite il difensore, lamentando violazione di legge, in particolare dell’art. 16 D.Lgs. 161/2010.
Secondo il ricorrente, infatti, la Corte di Appello – del tutto arbitrariam avrebbe ritenuto che la pena inflitta dalla autorità rumena, pari ad anni te e quattro di reclusione, fosse il risultato della detrazione da una maggiore pena, indicata, del presofferto in Romania, pari a mesi otto e giorni 25 di reclusion
In forza di un primo ordine di esecuzione, emesso dalla Procura AVV_NOTAIOle presso la Corte di Appello di Trento, la condanna da espiare da parte del COGNOME veniva indicata in anni tre e mesi quattro di reclusione, da cui veniva detra periodo di carcerazione presofferto in Romania, pari a mesi otto e giorni 25 reclusione.
Tale provvedimento recava un errore che veniva successivamente emendato con l’ordinanza oggetto di ricorso, in quanto non decurtava dall’entità compless della pena anche il periodo di carcerazione presofferto in Italia in attesa decisione sul MAE.
Con il provvedimento impugNOME la Corte di Appello emendava – appunto tale secondo errore, ma mutava interpretazione rispetto al passato e riteneva dalla pena inflitta dalla AG rumena fosse già stato scomputato il periodo carcerazione in Romania.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, il AVV_NOTAIO concludeva chiedendo l’annullamento con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il provvedimento impugNOME ha affrontató la questione circa l’entità della pena da scontare, già sottoposto alla sua attenzione dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIOle.
Secondo il PG presso la Corte di Appello Trento sussisteva una obbiettiva incertezza circa la detraibilità dalla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, inflitta al COGNOME, del periodo trascorso dal condanNOME in custodia in Romania, non emergendo con chiarezza dalla lettura del dispositivo delle sentenze di primo e secondo grado se la pena inflitta fosse o meno comprensiva del presofferto.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di Appello nell’impugNOME provvedimento ha superato tale situazione di incertezza, motivando la ragione per cui ha ritenuto che la pena di anni tre e mesi quattro di reclusione fosse già calcolata escludendo il presofferto.
Secondo la Corte territoriale, infatti, il MAE emesso dal Tribunale di Valcea contiene delle indicazioni inequivoche sul punto, ove alla pag. 2 afferma che – in base all’art. 72 co.1 cod. pen. rumeno – dalla pena detentiva determinata in sede di cognizione è stato detratto il periodo di detenzione, tanto che la pena da «esecutare» è pari ad anni tre e mesi quattro di reclusione.
Con tale motivazione non si confronta il ricorrente, che non offre spunti di indagine o elementi concreti atti a superare il ragionamento argomentativo della Corte di Appello; non contesta la lettura del MAE fornita nell’impugNOME provvedimento, né il contenuto della norma di legge citata, limitandosi a richiamare il dispositivo della sentenza di primo grado che, in difetto di una lettura coordinata con il MAE e con la norma del codice di rito, come proposta nell’impugNOME provvedimento, contiene degli indubitabili profili di equivocità.
Posto, dunque, che – da un lato – il ricorrente non ha contestato le argomentazioni contenute nell’ordinanza impugnata e, dall’altro, ha riproposto le medesime censure in maniera del tutto assertiva, il ricorso deve esser rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua
Così deciso il 9 maggio 2024
CORTE SUPREMA DI CASSAZIOr